Utz
- Autore: Bruce Chatwin
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
Una vita per la porcellana o una vita di porcellana. Alla fine è il vero dubbio nella vita di Kaspar UTZ, deceduto "il 7 marzo 1974, un’ora prima dell’alba nel suo appartamento di via Siroka 5 che dava sul vecchio cimitero ebraico di Praga". Una morte prevista la sua, e al contempo inaspettata, che avviene in un mattino di fine inverno.
Inizia, così, con la fine della vita di un “qualcuno”, il romanzo di Bruce Chatwin che porta il cognome del protagonista come titolo, Utz (appunto), edito in Italia nel 1988 nella collana degli “Gli Adelphi” (la quinta edizione è del 2012, con traduzione di D. Mazone) e altresì piacevolmente ascoltabile in audiolibro dalla voce di Lino Guanciale nei podcast di “Ad Alta Voce” di Rai Radio 3.
Un piccolo testo, poco più di in centinaio di pagine, che racchiude una vita in sospeso tra l’eterno dubbio tra il vivere per qualcosa, il vivere di qualcosa e il vivere per qualcuno. Romanzo breve che è scoperta e riscoperta, ancora attuale, spesso messo in ombra dalle opere più note di questo autore che nel viaggio nel mondo e nel “dentro di sé” ha individuato radici profonde di riflessione.
Ma chi è UTZ? Il nome, breve, stringato, condensa le molte sfaccettature del personaggio intorno a cui ruota la storia. Nel primo significato, quello di base, UTZ
“Ha una connotazione negativa. Significa: ubriaco, scemo, baro, venditore di ronzini. Ma nel il dialetto della bassa Svevia Heinzen kunzen Utzen der Butzen è l’equivalente di Tizio Caio e Sempronio”.
Un emerito signor nessuno, insomma, difficile persino da descrivere (a detta della voce narrante), dai connotati che si confondono tanto dal dubitare di ricordarlo con i baffi o meno, fino a decidere che forse sì, i baffi in fin dei conti gli aveva.
Uno spirito debole Kaspar UTZ? In apparenza certamente, tanto da ambire e scegliere come missione e scopo della vita "il collezionare". Quasi a trovare in questa ossessione del fuori da sé la vera forza del suo essere e motivazione del suo vivere.
Ma cosa collezionare? Certamente nulla di comune e banale. Ma l’esaltazione e la straordinarietà. La delicatezza al tatto e alla fattura. Qualcosa che al vederlo suscita devozione e deferenza.
Le Porcellane di Meissen, puro oro lucente sono tutto questo. Per fattezza, lucentezza inarrivabile e perfetta. Senza macchia e senza paura. Tazze, piatti, stoviglie, ma soprattutto statuine rappresentanti la vita comune immaginaria e immaginata sono la sua collezione. Trasposizione lineare di una vita senza macchia alcuna. Porcellane magiche, quelle di Meissen, soprattutto le statuine che sembrano magiche, dotate di natura propria e forse anche di anima. Preziose a tal punto da farle vedere a pochi eletti, e tra questi sicuramente non il partito comunista cecoslovacco, i cui impiegati (o spie) tallonano UTZ per sottrarre i prezzi più pregiati che sanno esistere, ma non dove siano nascosti. Preziosi talismani da custodire e da essere custoditi da chi gli è fedele, da chi lo ama fino a diventare sua sposa, da chi sa: Marta.
Sono porcellane celate perché preziose, protette poiché rappresentazione e trasposizione “immaginata” di una vita sperata, ideale a cui ogni uomo ambisce, ma fragili poiché una scheggia e una crepa possono modificare fino a farle crollare, tramutandole in altro dal sé.
La storia di Utz, snella per sintassi, scarna in dialoghi chiari e veloci, puntuale nella scelta delle parole, nella passione per le porcellane (che rasenta l’ossessione erotica), individua, custodisce e protegge uno spirito ribelle, che anela alla libertà.
Idee, paure, amicizie, convinzioni politiche di un nobile che è più un borghese “piccolo piccolo” assumono valenza di dilemma. In un collezionismo che è scusa per scampare alla vita, delega a vivere e a fare ricalcando un binomio e parallelo dove Arlecchino di Porcellana di Meissen sta a UTZ come il Golem sta al rabbino Jehuda Löw.
La devozione alla collezione lascia, però, piano piano spazio alla necessità di sentirsi a casa, alla nostalgia di qualcuno che ci aspetti in quella casa. Le porcellane (valori senza spirito) si rivelano freddi e fini a se stessi. Come il collezionarli. Automi senza anima e spirito che in un attimo possono ritornare polvere. Il loro mondo ideale e immortale immutabile è opaco e al contempo fragile.
Utz, nell’ultimo atto della vita urla (a modo suo), ne comprende il valore limite e agisce. Rimpiange e sorride con il lato della bocca alla sua storia fino a lì, e si prepara ad accettare la vulnerabilità del futuro che gli rimane e lo attende e che lo porterà alla morte.
Abbraccia un diverso amore, fatto di legami veri e reciproci. Come Arlecchino e Colombina che nella commedia dell’arte “giocano” a conoscersi per amarsi, così Kaspar Utz alla fine riconosce in Marta la sua Colombina: legame da sempre stretto nel suo cuore.
Un amore imperfetto, scivoloso, opaco, ma reale, che potrà rimanere davvero immutato nella sua imprecisione, ma tangibile nella sua realtà. Poiché anche se valori e legami si trasformano, UZT, ubriaco, scemo, baro, venditore di ronzini, l’equivalente di Tizio Caio e Sempronio, da uomo opaco e vulnerabile si trasforma divenendo uomo libero e ricco nello spirito e caldo nel cuore.
Utz
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