Vento e flipper di Murakami Haruki

Dopo essere stato colto da una sorta di illuminazione durante una partita di baseball: “farò lo scrittore!”, in “Vento e flipper”, questi due racconti scritti sul tavolo della cucina da Murakami Haruki, all’esordio della sua carriera, si adempie un destino.

Ascolta la canzone del vento, il primo racconto pubblicato nel 1979 e Flipper il secondo pubblicato nel 1973, sono collegati tra loro e raccontano degli stessi personaggi in due periodi diversi della loro vita, da studenti a vent’anni e da lavoratori qualche anno più tardi. Il punto di riferimento è il bar da Jay, un cinese di mezza età che silenziosamente assiste a tutta l’inquietudine dei due, il protagonista e il Sorcio, l’amico ricco e disincantato che fatica a trovare una propria identità.
Birre, sigarette, giri in macchina, incontri con ragazze che incarnano l’amore e l’incapacità dei due di trovare un canale di comunicazione che annulli le distanze in una storia, anzi due, da beat generation del Sol Levante.
Ad eventi esilaranti, tipo il funerale celebrato a un pannello di comando, o personaggi fuori dalle righe, come le gemelle che vivono nella casa del protagonista, si contrappongono le amarezze della vita come il senso di impotenza nei confronti di chi non sopravvive ai mali dell’esistenza.
Racconti di un quotidiano reso surreale dalla visione metafisica del protagonista, dove la morte in fondo non è che il prezzo da pagare, necessario all’evoluzione, e il desiderio di ciò che si vuole ottenere una forza talvolta distruttrice, mentre una vaga consapevolezza sul valore prezioso delle relazioni umane man mano prende forma.
Il Flipper, con le sue luci scintillanti e le promesse, i premi e quel record da confermare, che - come una donna sensuale e irraggiungibile - diventa l’eldorado del protagonista è, in una visione allargata, simbolo di un’epoca; da là a qualche decennio l’umanità stringerà un patto di sangue con una nuova forza dal potere immenso: la tecnologia, che porterà al cambiamento radicale di un’intera società. Ma quando Murakami Haruki scrisse questi racconti tutto ciò non poteva che essere un’intuizione.
Racconti, sicché, di giornate che scorrono all’apparenza sempre uguali, eppure si arriva fino all’ultimo capoverso col fiato rotto e ci si ritrova a sussultare per l’immagine sensoriale di una giornata che passa davanti alle finestre a scandire il tempo che scorre e qualcosa di perso che forse non tornerà più. Un filo di malinconia corre così tra le righe, nonostante i diversi accenni ironici e divertenti che farciscono le giornate del protagonista, il quale non smette mai di porsi un costante interrogativo sul senso stesso della vita.