Viaggio in Italia
- Autore: J. Wolfgang Goethe
- Genere: Letteratura di viaggio
- Categoria: Narrativa Straniera
“Chi si collochi nel punto più alto, occupato un tempo dagli spettatori, non può fare a meno di confessare che forse mai il pubblico d’un teatro ha avuto innanzi a sé uno spettacolo simile. A destra, sopra rupi elevate, sorgono dei fortilizi; laggiù in basso la città (…). Lo sguardo abbraccia inoltre tutta la lunga schiena montuosa dell’Etna, a sinistra la spiaggia fino a Catania, anzi fino a Siracusa (…). Se poi da questo spettacolo si volge l’occhio (…), ecco a sinistra tutte le pareti della roccia, e fra queste ed il mare la via che serpeggia fino a Messina, e gruppi e ammassi di scogli nello stesso mare, e la costa della Calabria nell’ultimo sfondo (….). Non è da dimenticare che abbiamo goduto la vista di questa bella spiaggia sotto il cielo più puro, dall’alto d’un balconcino, fra rose che occhieggiavano e usignoli che cantavano”.
Sono annotazioni queste che Johann Wolfgang Goethe scrive facendo dal 2 aprile al 15 maggio del 1787 il “tour” in Sicilia e le riferisce a Taormina, l’ammaliante cittadina che, fondata da coloni greci, si attestarono sulle pendici del vicino colle "dalla forma di toro", a strapiombo sul mare Jonio (Il nascente centro abitato prese il nome di “Tauromenion”, toponimo composto da “Toro” e dalla forma greca “Menein” che significa rimanere). Goethe compie il suo viaggio in Italia dal 1786 al 1788 e fa il suo resoconto nel libro che, appunto, ha come titolo “Viaggio in Italia”. L’edizione in mio possesso è quella della casa editrice Sansoni (Firenze, 1959), recante la raffinata edizione di Orio Vergani, il quale, sin dalle prime pagine si pone domande allo scopo di far luce sulle motivazioni che indussero Goethe, sotto il falso nome del signor Möller, a scoprire l’Italia e darne la sua immagine attraverso lettere spedite dalle tappe del suo percorso, datate con l’indicazione del giorno della settimana e del mese.
Del resto, lo stile è abbastanza confidenziale, egli descrive parlando, racconta ed è come se usasse il pennello. Il fascino del mito, sicuramente dovette agire nel suo animo irrequieto: e di certo quel mito che, dopo la discesa agli inferi, conduce alla luce, alla rinascita
“della lucente e sempre rinnovata Demetra”
Anche il racconto omerico di Nausicaa egli reinterpreta come pellegrino che trova una poetica disposizione di spirito. Le pagine sulla Sicilia sono suggestive, luminose, animate dallo sguardo che si apre alla vista del mare e dei monti. A Palermo resta incantato dalla visione di monte Pellegrino:
“il più bel promontorio del mondo”.
E tanta dolcezza e mitezza gli comunicava l’aria profumata, anche se non manca di rilevare la presenza d’immondizia per le strade. Il materiale è vario e appetitoso, fresco e vivace. E vale la pena di accennare alla vista che egli compie alla caverna dove furono scoperte le ossa di santa Rosalia che lì si era chiusa in romitaggio, o a fermare l’attenzione sulla visita che egli, da massone, fa nell’abitazione del leggendario Cagliostro visto come
“uomo straordinario”.
Si riterrebbe significativo soffermarsi sui ritratti di Alcamo e di Segesta, di Girgenti (l’attuale Agrigento), che gli si mostra con l’esuberante bellezza della “valle dei templi”, e di tante altre cittadine, i cui campi fertili e verdeggianti abbondano di buone messi. A Catania visita il palazzo Biscari, il Convento dei Benedettini e raggiunge l’Etna. Il viaggio termina nella Messina disastrata dal sisma. E a questo punto è doveroso riportare la sintesi delle sue impressioni sulla scoperta dell’Isola, un “deserto di fertilità” capace di resistere alla “perfidia” del tempo, alle “violenze” della natura, alle “ostilità” dei conquistatori:
“Cartaginesi, greci, Romani e non so quante altre razze dopo di loro hanno costruito e hanno distrutto. Selinunte è metodicamente devastata; per rovesciare i templi di Girgenti non sono bastati due millenni; sono bastate poche ore, per non dir pochi istanti, per distruggere Catania e Messina”.
La generosità, alimentata dall’energia della Madre Mediterranea, non aveva fatto scorgere a Wolfgang Goethe l’incuria degli uomini.
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