Villa Ventosa
- Autore: Anne Fine
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
Villa Ventosa, romanzo di Anne Fine edito in Italia da Adelphi (2000) con la traduzione di Olivia Crosio, è una commedia amara sui legami familiari. I protagonisti, Lilith Collett e i suoi quattro figli, ormai adulti, sono imprigionati in un gioco al massacro che sembra immodificabile. Nella visione dell’autrice, però, dalle trappole psicologiche è sempre possibile, anche se non facile, uscire, con vantaggio per tutti, carcerieri e prigionieri.
Le trame di Anne Fine sono congegni perfetti e sofisticati. Non superano il confine oltre il quale un romanzo può definirsi noir perché non c’è spargimento di sangue, non ci sono coltellate né spari. Ma tutti i peggiori sentimenti degli esseri umani vanno in scena disintegrando qualsiasi luogo comune sulla famiglia. No, i vincoli di parentela, i cosiddetti legami di sangue non implicano necessariamente amore, dedizione, tenerezza, sorridenti sacrifici. In famiglia ci si odia, si covano rancori, ci si sente soffocare, si litiga per ragioni spesso futili, ci si vendica senza pietà. Ma l’autrice non ci mostra solo questo, della famiglia e degli esseri umani. Ci sono anche il sostegno reciproco, la solidarietà, il calore. Ma è tutto un intrico di emozioni di segno opposto, di guerre sotterranee e sforzi per andare d’accordo, di lodi affettuose e invidie.
“Che madre è quella che accoglie anche la versione più splendida di te con un tale disprezzo che finisci per scambiare le sue parole per approvazione? Che infanzia è quella da cui esci talmente inesperta in fatto di lodi che non conosci neppure le parole giuste per trasmetterle?”
Leggendo Villa Ventosa si ha la sensazione che, all’inizio, su un metaforico banco degli imputati ci sia Lilith, madre tutt’altro che accogliente di Tory, Gillyflower, William e Barbara. Velenosa, prevaricatrice, Lilith si accanisce sul giardino lussureggiante che un tempo circondava la casa di famiglia e che ai suoi figli (soprattutto a Barbara e a William) è tanto caro, potando, tagliando, abbattendo ed estirpando. E, di pari passo, si accanisce sui quattro figli, gratificandoli della sua disapprovazione, della sua indifferenza, dei suoi rifiuti. Ma, a un certo punto, ci viene presentato anche il punto di vista di Lilith, si indagano le sue ragioni, si scopre il senso di oppressione che per lei ha comportato il ruolo materno.
“Che errore quello delle donne che cercavano sempre di espiare ogni impulso di autoconservazione con ridicole profferte di un ulteriore sacrificio di sé! Il problema era che nessuna immaginava quanto finemente e quanto a lungo la ruota della vita ti potesse sbriciolare. Sotto questo aspetto, era un po’ come il parto: se fosse possibile premere un bottone per mettere fine alla faccenda nel momento stesso in cui diventa troppo sgradevole, nascerebbero pochissimi bambini. E ben pochi arriverebbero all’età adulta se, nello stesso modo, le donne potessero dire stop nel momento in cui si rendono conto di com’è diventata la loro vita. Che affare: una vita completamente divorata dagli altri – e poi la vecchiaia”.
Fra la tremenda matriarca e i suoi nevrotici figli si inserisce Caspar, il maturo compagno di William. L’improvviso annuncio delle nozze imminenti di Barbara, obesa e infelice, e l’intervento pesante di Caspar nelle decisioni di famiglia scombinano i piani di Lilith, in procinto di sconvolgere, con la realizzazione di un proprio agognato progetto, tutti gli equilibri. E a volte, sembra dirci Anne Fine ‒ come già nel romanzo Lo diciamo a Liddy? ‒ trovare la via d’uscita da un malsano modus vivendi appare un’impresa gigantesca, alla quale la maggior parte degli esseri umani preferisce sottrarsi, scegliendo l’immobilità e l’autocommiserazione. Finché qualcuno inizia a ribellarsi e il cambiamento, tanto desiderato quanto temuto, comincia a farsi strada.
Con i toni della commedia che le sono propri, l’autrice ci serve un amaro ritratto di famiglia in un giardino.
Villa Ventosa
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