Vincenzo Monti (Alfonsine, 19 febbraio 1754 – Milano, 13 ottobre 1828) è l’esponente più rappresentativo del Neoclassicismo italiano. Apprezzato (e sopravvalutato) dai contemporanei e per gran parte dell’800, oggi la portata della sua opera è stata di gran lunga ridimensionata. Resta tuttavia un intellettuale di spicco, una figura nella quale si ravvisano alcune delle caratteristiche e delle contraddizioni che segnarono la cultura e la letteratura a cavallo fra ’700 e ’800.
In Vincenzo Monti, uomo e artista, si concretizzano, seppur solo in superficie, quelle lacerazioni e quei turbamenti che caratterizzarono il passaggio dal XVIII al XIX secolo.
Ultimo poeta cortigiano, incarnazione stessa del vecchio intellettuale italiano prossimo ad estinguersi, dallo studio di Monti non si può ad ogni modo prescindere, non fosse altro che come fonte di spunti per autori molto al di sopra di lui, in particolare Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi.
In occasione dell’anniversario della sua morte, analizziamo la biografia, le opere e i tratti essenziali della poetica montiana.
Vincenzo Monti: la vita
Vincenzo Monti nacque il 19 Febbraio 1794 a Fusignano di Alfonsine, vicino Ravenna, da una famiglia di proprietari terrieri.
Compì un corso regolare di studi prima in seminario poi all’Università, dove si iscrisse ai corsi di Giurisprudenza e Medicina, ma la sua vera e grande passione era la letteratura.
Il successo arrivò presto, subito dopo essere stato ammesso all’ Accademia dell’Arcadia.
Il poemetto La visione di Ezechiello, dedicato al Cardinale Scipione Borghese, gli permise di ottenere la protezione di quest’ultimo e di trasferirsi a Roma, dove visse dal 1778 al 1797.
Fu questo un ventennio importante sia dal punto di vista personale che professionale.
Proprio nella Città Eterna, nel 1791, convolò a nozze con Teresa Pikler, da cui ebbe i figli Costanza e Francesco.
Naturalmente propenso, come gli rinfacceranno i detrattori, a cambiare visione politica a seconda della direzione del vento, nel 1797 Monti fu costretto a scappare da Roma e a rifugiarsi a Milano, dove visse fino alla morte.
Sospettato di simpatie giacobine, lui che in precedenza si era mostrato pubblicamente contrario alla Rivoluzione Francese, per riparare nella città lombarda non esitò a chiedere la protezione di Napoleone.
Ma anche la parabola politica e militare dell’Imperatore finì e il poeta, ancora una volta per convenienza, non disdegnò di esaltare i vincitori austriaci.
Monti lavorò, scrisse, compose e tradusse fino alla morte, nonostante i gravi problemi di salute che lo afflissero negli ultimi anni della sua esistenza.
Dopo aver perso gradualmente e quasi del tutto la vista e l’udito, un ictus gli paralizzò metà del corpo.
Nel tentativo di alleviare le sue sofferenze, gli si strinsero attorno i familiari e l’amico Alessandro Manzoni, che non mancava mai di fargli visita.
Monti si spense la mattina del 13 Ottobre 1828.
Vincenzo Monti: le opere
Vincenzo Monti è stato un intellettuale e un artista prolifico, che ha lavorato intensamente e su più fronti fino a poco prima della morte.
Nella vasta produzione montiana si possono individuare varie fasi, ciascuna afferente ad altrettanti periodi della vita e della momentanea collocazione politica dell’autore.
Di seguito le opere più importanti e relativa cronologia.
Le opere del periodo romano
Sono quelle composte fra il 1778 e il 1797, ovvero negli anni trascorsi nella città papale.
Tra le più famose citiamo:
- Le odi Prosopopea di Pericle (1779) e Al signor di Montgolfier (1784). L’occasione della stesura, per entrambe, giunse da eventi occasionali. La prima fu scritta all’indomani del ritrovamento di un antico busto di Pericle, la seconda in concomitanza del primo volo in pallone aerostatico. In Prosopopea di Pericle Monti esalta la fioritura culturale di Roma sotto il pontificato di Pio VI, ne Il signor di Montgolfier invece, in piena sintonia con le idee illuministiche, esprime entusiasmo e speranza nei confronti del progresso scientifico
- La bellezza dell’Universo (1781), un poemetto per il quale prende a modello Mondo creato di Torquato Tasso
- Sciolti a Sigismondo Chigi e Pensieri d’amore (1782), ispirati al romanzo epistolare I dolori del giovane Werther del tedesco Johann Wolfang von Goethe
- Feroniade, un’opera scritta con l’intento di esaltare il progetto di risanamento delle paludi pontine, ma pubblicata soltanto postuma nel 1832
- Bassvilliana (1793), uno dei componimenti più celebri di Monti. Ferocemente antifrancese, l’autore esprime rabbia e dissenso nei confronti degli orrori del giacobinismo, esaltando al contempo la Fede redentrice. Il nome deriva da quello di Nicolas-Jean Hugou de Bassville, un rivoluzionario francese assassinato a Roma. La Bassviliana venne scritta all’indomani del fatto di cronaca, che aveva trovato vasta risonanza sulla stampa
- Le tragedie Aristodemo (1786) e Galeotto Manfredi (1788).
Le opere su Napoleone
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Trasferitosi a Milano, dopo aver avversato le idee rivoluzionarie, per non perdere protezione, onori e allori, Monti non si fece scrupolo di diventare un "protetto" di Napoleone Bonaparte.
Le opere del periodo milanese hanno il preciso ed evidente intento di adulare l’Imperatore.
Esse sono:
- Prometeo (1797)
- L’ode Per la liberazione d’Italia (1801)
- Il poema in 5 atti In morte di Lorenzo Mascheroni (1801), in cui la scomparsa del noto scienziato diventa l’ennesima occasione per esaltare le doti di Napoleone e per dimostrare tutta la fiducia possibile nelle sue capacità ed intenzioni
- Caio Gracco, una tragedia di stampo classico.
Le opere del periodo della Restaurazione
Con la fine dell’era napoleonica e l’avvento della Restaurazione, ecco che Monti si schierò, nuovamente, con il vincitore.
Le opere teatrali di stampo classicheggiante ll mistico omaggio (1815), Il ritorno d’Astrea (1816) e Invito a Pallade (1819), omaggiano spudoratamente i nuovi governanti.
Al 1896 infine, risale la stesura dell’ultima opera di Monti, stavolta di contenuto intimo e personale: Pel giorno onomastico della mia donna Teresa Pikler, dedicato alla moglie.
Vincenzo Monti e la traduzione dell’Iliade di Omero
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Monti è stato un eccellente traduttore ed è in tale ambito che si colloca il suo capolavoro, la traduzione dell’Iliade (1810).
L’opera è tutt’altro che fedele al testo originario, che ripropone invece in forme neoclassiche auliche e sonore, ma proprio da ciò trae tutta la sua forza artistica ed espressiva.
Finalmente esente dall’esigenza di dover compiacere un protettore piuttosto che un altro, nel trascrivere il capolavoro omerico l’autore ebbe la possibilità di muoversi tra gli schemi metrici a lui più congeniali, con risultati eccellenti sotto ogni profilo.
Stilisticamente ineccepibile e composta da versi dalla cadenza vibrante ed armoniosa, la traduzione dell’Iliade è talmente libera da poter essere considerata quasi un’opera a sé, la più originale dell’intera produzione montiana.
Vincenzo Monti: tratti poetici e critica
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Vincenzo Monti abbracciò pienamente i canoni della cultura e della poetica neoclassiche.
Per lui la poesia era essenzialmente “meraviglia e diletto”, evocatrice di suoni, immagini e colori che non hanno altro compito se non quello, pur nobilissimo, di abbellire la realtà, cruda e meschina, per renderla più accettabile.
La sua unica fonte di ispirazione furono i poeti antichi e la mitologia classica.
La fortuna e la fama di cui Monti godette a lungo in passato, furono in larga misura immeritate.
La plateale disponibilità a cambiare atteggiamento politico per interesse gli procurò indebite onorificenze e gratificazioni in vita, ma anche accese stroncature da parte di chi, non a torto, gli rimproverava un comportamento ipocrita ed opportunistico.
Oggi le opere di Monti vengono considerate non tanto per il loro supposto valore artistico, oggettivamente discutibile, ma per quello documentario, come testimonianza del gusto e delle tendenze di una intera epoca.
L’assenza di pathos, di sensibilità profonda e di alti ideali, ha fatto sì che Monti, sebbene fosse un maestro nel padroneggiare il verso, la metrica, il suono, le immagini, i ritmi e tutto quanto appartiene all’ars poetica, non sia diventato mai né un grande poeta né un grande artista.
A dir poco abissale appare la differenza con l’amico e contemporaneo Ugo Foscolo, opposto per carattere e per questo ostacolato in vita nella strada verso il successo, ma in seguito unanimemente riconosciuto come uno dei più grandi poeti del suo tempo e non solo.
Giacomo Leopardi definì Monti:
Poeta dell’orecchio e della immaginazione, ma del cuore in nessun modo.
Esprimendo in maniera breve e concisa, il giudizio critico più efficace ed esaustivo che sia mai stato dato sul conto dell’artista romagnolo.
A cui va riconosciuta la perfezione formale, ma senza anima e cuore, l’arte resta vuota e superficiale.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Vincenzo Monti: vita, opere e poetica
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