Il 13 ottobre 1828 si spegneva a Milano Vincenzo Monti, massimo esponente del nostro Neoclassicismo, dopo sofferenze fisiche, problemi agli occhi, una paralisi.
È impossibile presentare una carrellata della sua produzione esclusivamente poetica e teatrale, tanto ricca quanto disordinata. Altrettanto arduo dare un volto coerente a tale massa eterogenea, all’intellettuale, all’uomo. O forse no?
È vero che mutò casacca religiosa e politica. È altrettanto vero che tre principi poetici rimangono invariati. Occorre imitare gli antichi che, soli, hanno raggiunto l’eccellenza nell’arte. La riproposta dei classici ha una valenza patriottica. Il canone dell’originalità risiede nel come, non nel contenuto.
Si cimentò in tutti i generi letterari senza concentrarsi in uno specifico, di conseguenza non diede apporti significativi a nessuno.
Scrive testi di occasione e celebrativi, poemetti epici, poemi su eventi storici contingenti, tragedie e traduzioni, l’ambito nel quale diede i risultati più brillanti, convincenti e duraturi.
Le parole lapidarie diGiacomo Leopardi lo inchiodano ai suoi limiti:
Poeta veramente dell’orecchio e dell’immaginazione, del cuore in nessun modo.
Vincenzo Monti: la vita
Per Madame de Stael fu il “premier poète d’Italie” in virtù di un camaleontismo artistico che gli permise di adattarsi a gusto, sensibilità e venti politici.
Benedetto Croce lo valorizza coniando nel 1912 la definizione di “poeta della poesia” che gli calza a pennello.
Nel secolo precedente De Sanctis lo declassa come “segretario dell’opinione pubblica dominante privo di impulso morale”. Lo stesso Foscolo ne aveva censurato la scelta di mettere l’ingegno al servizio del potere. Come dar loro torto?
A Roma Monti, segretario del nipote di papa Pio VI, si fa notare come poeta cortigiano misurandosi in quasi tutti i generi poetici in voga. A Milano, dove ripara in clandestinità per sospette simpatie giacobine, si propone come poeta ufficiale della Repubblica Cisalpina. Durante una parentesi parigina si scaglia contro Giovanna d’Arco emblema del nazionalismo cattolico francese, un’intoccabile.
Non è farina del suo sacco, perché traduce in ottave ariostesche La Pulzella d’Orleans (La pucelle d’Orléans), il poema eroicomico di Voltaire del 1752.
È del periodo Napoleonico l’apice del suo successo, tanto che nel 1804 viene nominato poeta ufficiale del governo e due anni dopo storiografo ufficiale del Regno d’Italia. Terminata la parabola napoleonica, canta il ritorno degli Austriaci a Milano tentando di conquistare la fiducia degli ultimi dominatori. Non ne ha bisogno. Gli Austriaci gli offrono la co-direzione della “Biblioteca italiana”. La rifiuta, ma l’episodio dimostra che il suo prestigio letterario è rimasto indenne. In seguito, rare le incursioni poetiche, convoglia i suoi interessi sulla questione della lingua.
Forse sarebbe più imparziale definirlo “un poeta al servizio del presente”.
I maligni insinuano che dietro le capriole politiche ci fosse la moglie, l’attrice Teresa Pickler, celebrata in numerose tele neoclassiche per la sua avvenenza. Al netto del photoshop degli artisti di tutti i tempi, è uno schianto dal seno generoso. Quando l’infelice Jacopo Ortis esclama "Dopo quel bacio mi son fatto divino", parla proprio della moglie del Monti su cui è modellata la Teresa del romanzo. Fu solo una Musa? Pare proprio di no.
Quanto agli ideali è difficile affermare se ne fu privo o indifferente. Ma di fronte a tecnica, virtuosismo, emulazione creativa: chapeau!
Riportiamo per sommi capi i due testi più celebri. Quelli che fino a una trentina di anni fa avevano ancora piena cittadinanza nella pratica didattica.
Ode al signor di Montgolfier di Vincenzo Monti
È un componimento di occasione, risalente al febbraio 1784, conforme alla concezione celebrativa della poesia montiana. Affronta un argomento di grande attualità, trasfigurandolo in immagini mitologiche che sublimano e impreziosiscono l’eccezionalità dell’impresa.
Prende spunto da un fatto di cronaca accaduto nell’agosto 1783, quando dal Campo di Marte a Parigi si alza in volo un pallone gonfiato con idrogeno suscitando la meraviglia della cittadinanza. Anche se a organizzare l’evento furono un gruppo di studiosi di fisica e chimica, i dedicatari sono i fratelli Mongolfier che per primi avevano ideato un pallone di carta gonfiato ad aria calda.
L’impresa offre il destro per esaltare in 140 versi settenari altre scoperte quali gravità, pressione atmosferica, spettro solare che insieme al volo sembrano avvicinare l’uomo al sogno dell’immortalità. Ed è proprio l’esaltazione del coraggio che sfida le leggi della natura l’anima di un componimento, i cui riferimenti mitologici non sono certo di prima mano.
L’ode fa dello scienziato il simbolo dell’uomo moderno e di Vincenzo Monti un novello Orfeo.
Vincenzo Monti traduzione dell’Iliade
Fu il lavoro di una vita la traduzione in endecasillabi sciolti dell’Iliade omerica, oggetto di un labor limae indefesso fino all’ultima edizione del 1825.
Sapevate che dietro c’è lo zampino di Ugo Foscolo?
Infatti l’autore dei Sepolcri lo convinse a tradurre il primo canto dell’Iliade per un libro che avrebbe dovuto raccogliere in sfida anche la traduzione del Cesarotti e dello stesso Foscolo. Monti ha una scarsa padronanza del greco perciò si approccia a Omero grazie alla mediazione di traduzioni latine e italiane e all’aiuto di esperti grecisti.
Contrariamente a Foscolo, non crede nell’obbligo di una traduzione fedele all’originale, quanto a una traduzione creativa vicina al presente di chi scrive. Per questo motivo elimina epiteti, aggettivi stereotipati, il refrain di strutture ripetute, cifra stilistica di Omero. Insomma “Achille piè veloce” e “Atena occhi azzurri” qui non li trovate. In compenso inserisce aggettivi, insegue la variazione lessicale con l’eleganza classicista del suo tempo.
Sulla traduzione grava pungente l’epigramma di Foscolo:
Questi è Monti poeta e cavaliero/gran traduttor dei traduttor di Omero.
Oggi la critica tende a mettere in luce la capacità di attualizzazione storica e culturale del mondo omerico, perché l’eroismo Greco trapiantato nell’Italia napoleonica ben si adatta al patriottismo risorgimentale.
Osserva a riguardo il Ferroni:
L’epica antica sembra trasformarsi nell’espressione del nuovo spirito militare che penetrava anche in Italia e che avrebbe avuto un ruolo essenziale nel Risorgimento e ciò costituisce una delle ragioni del successo di questa traduzione.
Per quelli della mia generazione Cantami, o Diva, del Pelìde Achille l’ira funesta rimane un ricordo scolastico indelebile.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Vincenzo Monti, il “primo poeta d’Italia”
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri Storia della letteratura Vincenzo Monti
Ottimo profilo di Monti, vittima di stereotipi per cui lo si studiava in contrapposizione a Foscolo o Leopardi, uscendone ovviamente malconcio. La sua capacità versificatoria e la sua arte meriterebbero una rivalutazione, anche in ottica postmoderna.