Cos’è la Marabbecca? Con Viola Di Grado in questa intervista abbiamo parlato della figura sfuggente e oscura appartenente al folclore siciliano che, nelle pagine dell’ultimo libro dell’autrice, si contamina con un contesto psicologico moderno, generando una lettura ipnotica capace di condurre ciascuno nel cuore del proprio “buio personale”.
La Marabbecca non ha volto e, al contempo, ha molti volti, proprio come plurime e inconoscibili sono le facce del Male. Secondo la leggenda, questo strano essere vive nell’oscurità di un pozzo e trasforma chiunque lo guardi in nulla.
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Le pagine di Marabbecca (La nave di Teseo, 2024) sono esplosive come la colata lavica dell’Etna e, al contempo, insondabili come un mistero; mettono alla prova il lettore in un continuo gioco di specchi, costringendolo, infine, a guardarsi dentro.
L’autrice, del resto, non è certo meno sfuggente ed enigmatica: parlando con Viola Di Grado si ha la sensazione di entrare in vivo contatto con la sua scrittura, tra sentenze lapidarie e accostamenti onirici, esplorando quella “lingua viva” e incandescente che, sin dal premiato esordio con Settanta acrilico trenta lana nel 2011, l’ha resa una delle più potenti voci della narrativa contemporanea.
Ogni suo romanzo dischiude un nuovo mondo, conduce il lettore in un territorio labirintico, profondo come un abisso, da dove, forse, non c’è davvero via d’uscita. Così è Marabbecca che mantiene intatto il suo mistero e si presta a molteplici chiavi di lettura: qual è il confine tra ciò che è amore e ciò che amore non è? La natura intima dell’uomo è buona o malvagia? Esiste una soglia invisibile che separa la luce dal buio?
Ne abbiamo parlato con Viola Di Grado in questa intervista.
- In questo nuovo romanzo, attraverso le parole, hai trasformato la luce della Sicilia in buio, nell’oscurità della Marabbecca. In una precedente intervista avevi dichiarato che tu non hai patrie e hai aggiunto: "La Sicilia è solo un luogo. Di impareggiabile ha la luce".
Quindi cos’è per te la Sicilia: è luce o buio?
La luce estrema, la luce del Sud, è una “luce luttuosa”. Infatti la descrive benissimo Vitaliano Brancati, dicendo che in qualche modo la luce della Sicilia porta in sé il presentimento della morte. Io sono molto d’accordo, quella del Sud è una luce mortifera, proprio perché estrema, no?
- Nel libro descrivi la Sicilia come “un utero da lasciare”, toccando, secondo me, un nervo scoperto: la fuga dei giovani dal Sud e anche la cosiddetta “fuga dei cervelli” dall’Italia. Scrivi “i genitori che ti voglio bene ti dicono scappa dall’isola, scappa”. Chi resta diventa di pietra, come chi guarda negli occhi la Marabbecca. Secondo te è un fenomeno più siciliano o italiano in generale?
Io credo sia una caratteristica ancor di più siciliana. Naturalmente, legate a questo fenomeno, ci sono profondissime ragioni socio-economiche e storiche, purtroppo. Ma che hanno anche a che fare con tutte le invasioni che ha subito la Sicilia nel corso della sua storia. È come se la Sicilia avesse maturato una sorta di complesso di inferiorità; e quindi le persone che ci abitano sentono questo imperativo di scappare, come se dovessero scappare, più che dalla Sicilia, da sé stessi.
- In Marabbecca, attraverso il rapporto tra Igor e Clotilde, descrivi molto bene la fenomenologia di una relazione tossica. Lei si sente imprigionata in un amore “che è una bugia”. È un argomento molto attuale, soprattutto oggi che la parola femminicidio è all’ordine del giorno. Secondo te cosa spinge le donne a non reagire, a restare impigliate in queste dinamiche?
Purtroppo spesso il persecutore esterno coincide con il persecutore interno. Nel senso che, se tu il tuo persecutore ce l’hai già dentro, si crea questa bruttissima complicità tra l’inconscio e la persona che ti opprime. Quindi la conseguenza è che molte persone non riescono a tirarsi fuori da queste situazioni di violenza perché sentono inconsciamente di meritarla. Oppure identificano come “amore” questo amore che hanno imparato: se sin dall’infanzia hanno appreso dai genitori un amore così insano, poi vivono una situazione del genere e la identificano come “amore”.
- Il libro è anche un messaggio rivolto alle donne che vivono una situazione di violenza. Cosa vorresti dire a chi vive una situazione del genere?
Non direi che è proprio un messaggio. A me più che lasciare messaggi interessa raccontare come sono le cose, poi ognuno dei miei libri ne fa quello che ne vuole fare. Però, se potessi dare un consiglio, in queste situazioni secondo me la chiave è sempre la “conoscenza” e la “consapevolezza”, soprattutto conoscere “come si è”. Perché solo conoscendo te stesso sei in grado di capire perché ti trovi in una data situazione, se è la situazione per te, perché l’hai scelta e, di conseguenza, se sei disposto ad accettarla.
- In una precedente intervista hai detto che: “L’amore è contagio, risonanza di traumi”. Devo dire che questa idea ritorna in tutti i tuoi libri. Possiamo descrivere in questi termini il rapporto tra Clotilde e Angelica?
Entrambe hanno sofferto molto, anche se per ragioni diverse, e affrontano in maniera diversa il dolore. Sicuramente si avvicinano l’una all’altra nel tentativo di trovare nell’amore una soluzione e non è detto che ci riescano.
- Io in questo libro ho letto anche un’indagine sulla natura del Male che, proprio come la Marabbecca, non ha un volto preciso, è difficile da identificare. Secondo te, di fatto, l’intima natura dell’uomo è malvagia?
A eccezione dell’uno per cento, circa, secondo me gli esseri umani sono davvero senz’anima. Io non credo nell’essere umano. A me l’umanità fa molta paura, perché la maggior parte delle persone non sono capaci di interessarsi veramente all’altro, non sono in grado di provare empatia.
Gli animali hanno tutti un’anima, sulle piante non mi esprimo (ride, Ndr), sono agnostica sulla natura dell’anima delle piante; ma tra gli esseri umani solo l’uno per cento ha un’anima.
- A proposito di animali. In Marabbecca dedichi molto spazio al linguaggio degli uccelli, rientra nella ricerca linguistica che in fondo si ritrova in tutti i tuoi libri. C’è un uccello in particolare, il Manachino delizioso, che è disposto a sacrificare sé stesso, il suo volo, per il suo canto. Io in questa immagine ho trovato un’allegoria della tua scrittura, è così?
Mi piace questa intuizione. Perché effettivamente è quello in cui credo. Penso che la bellezza, l’arte, possano salvare, se non tutto, almeno la maggior parte delle cose. Per me la scrittura è tutto. E, come dicevo, non credo negli esseri umani, ma in compenso confido molto negli animali.
- Il padre è una figura che rimane sempre sullo sfondo del romanzo, eppure si rivela centrale. A me è sembrata una chiave di lettura importante. Possiamo dire che è lui il trauma da cui si origina la storia?
Sì, sicuramente la sua perdita è centrale nella storia. Poi è difficile sezionare nel dettaglio un libro: dire, ad esempio, il 50% del trauma è la morte del padre, 30% trauma di Igor. Però in un certo modo è tutto collegato: ad esempio, Clotilde dice un paio di volte che i genitori avevano un pessimo rapporto e che quindi lei ha interiorizzato dall’infanzia una forma di amore non sana, che è poi quello che l’ha condotta a cercare in Igor un altro tipo di trauma. Quindi sì, ha senso quello che dici, perché il padre comunque fa parte della costellazione emotiva del romanzo; ma, d’altra parte, lui coincide anche con il fulcro amoroso del romanzo. Per Clotilde lui è ancora più importante di quanto lo siano Angelica o Igor, il padre è una specie di divinità. Tutti i morti, in fondo, diventano Dei. Sono d’accordo nel dire che ha un ruolo simbolico forte.
- Nel recente film di Wenders, Perfect Days, si dice che Patricia Highsmith riesce a mostrare come “ansia e paura non siano la stessa cosa”. L’ho subito accostata a te, che ne hai anche tradotto in italiano i diari. Anche la tua scrittura in fondo mantiene la stessa dissociazione?
Non ci ho mai pensato, nel senso che ansia e paura non sono due cose a cui penso quando rifletto sugli stati d’animo dei miei personaggi. Ovviamente queste sensazioni ci sono, ma non sono qualcosa a cui penso in modo cosciente o che interrogo. Nei miei libri c’è di sicuro il “perturbante”, perché anche quello è un problema di confine. Marabbecca è un romanzo di confine: c’è il confine tra verità e menzogna; il confine tra reale e irreale; ma anche il confine tra ciò che ti fa bene e ciò che ti può distruggere. E molto spesso l’amore è in quel confine lì. Ed è uno dei motivi per cui l’amore è spesso portatore di ansia, anzi, direi sempre.
- Cos’è per Viola Di Grado la Marabbecca?
È un personaggio affascinante, proprio perché senza volto, quindi può essere tutto e può essere nulla. Quindi nel libro tutti i personaggi, a turno, diventano la Marabbecca. Per me la Marabbecca è l’inconscio, è il buio personale che ci abita.
- Nei tuoi libri lavori molto sul linguaggio. Sei riuscita a creare una sorta di “nuova lingua”, che è soltanto tua, di Viola Di Grado. E chi legge lo sente, ti riconosce immediatamente nella tua scrittura, ti identifica. Come sei arrivata a creare questo linguaggio?
Ti ringrazio, ma non saprei come risponderti. Nel senso che è la mia scrittura; da dove nasce la precisione di un proprio stile chi lo sa, no? Di solito mi baso molto sull’istinto, scrivo istintivamente, poi a volte ritorno su ciò che ho scritto cercando di correggere, modificare, ma senza mai intervenire troppo. Penso che la scrittura debba assomigliare al mondo che racconta. Nel caso di Marabbecca è stata una scrittura esplosiva, come la colata lavica dell’Etna.
- Il tuo esordio Settanta acrilico trenta lana, nel 2011, era stato una rivelazione. A ventitré anni, sei stata la più giovane vincitrice del Premio Campiello Opera Prima e ti sei classificata nella dozzina dello Strega.
Quanto ti senti cambiata, come scrittrice, da allora?
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Completamente, in realtà. Del tutto. Mi sento un’altra persona. Infatti mi è capitato nei giorni scorsi che mi facessero delle domande su Settanta acrilico trenta lana e io mi sentivo a disagio, perché mi sembrava di rispondere sul romanzo di un’altra persona. Pensavo: io non lo so, dovresti chiederlo alla me di ventitré anni.
Comunque ora posso anche rispondere, ma sarebbe una “bugia”, perché ti risponderebbe la me di adesso.
- C’è un tuo romanzo, in particolare, a cui ti senti più legata?
Sì, c’è, ma qual è non te lo dico (sorride, Ndr). Voglio tenerlo per me.
Recensione del libro
Marabbecca
di Viola Di Grado
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La mia Marabbecca è il buio dell’inconscio”: intervista a Viola Di Grado
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