Viola Di Grado nasce a Catania nel 1987, figlia di Antonio Di Grado, uno dei massimi
studiosi di Sciascia e De Roberto, e di Elvira Seminara, scrittrice. Laureata in lingue orientali a
Torino, è stata in Erasmus a Leeds. Ha viaggiato in Cina e Giappone e adesso si sta specializzando
in filosofia cinese a Londra. Il suo primo romanzo ‘Settanta acrilico trenta lana’, pubblicato
da E/O nel 2011, è stato candidato al premio Strega, finalista al premio Edoardo Kihlgren 2011, oltre ad aggiudicarsi il Premio Rapallo Carige Opera Prima e il prestigioso Premio Campiello Opera Prima.
Viola, ti do il benvenuto a quella che non sarà la solita intervista chilometrica, ma solo 4
chiacchiere contate.
- Prima chiacchiera: ‘Settanta acrilico trenta lana’ nasce da un buco, quello in cui
finiscono il padre di Camelia e l’amante in un incidente d’auto. È un momento che sconvolge
l’equilibrio restituendo a Camelia e a sua madre, che i buchi li fotografa, ossessionata, una
vita fatta di lunghi silenzi. Come ti è venuta quest’idea? Sei finita anche tu in un buco,
metaforicamente parlando, che ti ha prima cambiata e poi ha ispirato questa storia?
No, per fortuna non sono finita in nessun buco. L’idea è venuta a poco a poco, in che
modo non lo so. So che da molto tempo i caratteri cinesi volevano salvare la vita di un mio
personaggio, insomma, io volevo che lo facessero. Poi si sono aggiunte le lavatrici e i vestiti
deturpati, il silenzio scandito dall’alfabeto di sguardi, e il resto. E io ho cucito il tutto in varie
trame simboliche che m’interessavano ancora più della trama in sé: volevo che ogni simbolo
raccogliesse in sé la totalità della storia, come nella “rete di Indra” buddhista, dove ogni
particolare equivale all’intero universo.
- Seconda chiacchiera: Camelia vive con la madre a Leeds, una città "dove l’inverno è
cominciato da così tanto tempo che nessuno è abbastanza vecchio da aver visto cosa c’era
prima"; abitano in Christopher Road, "una via talmente brutta da essere una prova che Dio
non esiste", dove "i fiori muoiono prima di sbocciare perché non c’è sole, e i feti hanno il
vizio di strozzarsi con la placenta". A Christopher Road "non comincia mai niente. Semmai
finisce. Finisce tutto, anche le cose che non sono mai cominciate". È stato così traumatico il
tuo Erasmus a Leeds? Cosa ti ha lasciato di positivo, se qualcosa di positivo ti ha lasciato, al di
là degli spunti per il libro, naturalmente?
La mia permanenza a Leeds non è stata affatto traumatica né apocalittica, anzi è stata
fantastica. La città mi piace molto, è bella e culturalmente vivace. Vedevo molti film ed
esploravo molto i paesini vicini, a volte in macchina per qualche giorno oppure in treno
perché amo i treni. Soprattutto viaggiavo quando il freddo e la pioggia non lo rendevano
un’impresa facile, e le campagne erano scivolose e ostili.
- Terza chiacchiera: La motivazione del Premio Campiello Opera Prima parla di spiccata originalità linguistica,
spinta fino alla visionarietà. ‘Settanta acrilico trenta lana’ rappresenta un raro caso in
cui trama e linguaggio si completano in un concentrato inaspettato. Hai lavorato molto
sull’aspetto linguistico della narrazione oppure hai semplicemente seguito la voce naturale
della tua scrittura?
Entrambe le cose. Quello è il modo in cui istintivamente riscrivo il mondo, ma coincide con
delle idee precise che ho su cosa per me dev’essere la scrittura, su dove deve colpire e dove
deve lasciare porte aperte. Soprattutto la mia estetica è quella di “dimenticare il linguaggio”,
come diceva il filosofo cinese Zhuangzi: usarlo senza cadere nelle trappole delle associazioni e
convenzioni che si porta dietro, ri-significarlo.
- Quarta chiacchiera: Nella tua famiglia si è sempre respirata aria di letteratura. Tua madre è
una scrittrice, tuo padre un italianista. Quanto ha contato per la tua formazione e quanto può
pesare, se pesa, portare avanti l’eredità genetica e attitudinale di due persone di successo?
Proprio perché crescevo circondata dai libri cercavo altri tipi di creatività, tipo creavo
giochi da tavola che seguivano strane logiche. Poi ho inventato un mio alfabeto personale con
cui a 5 anni sono approdata alla scrittura. No l’eredità genetica non mi pesa, semmai sono
contenta di avere il gene della scrittura, anche se certo è un gene egocentrico, crede di essere
responsabile di tutto.
Questa era l’ultima chiacchiera: non mi resta che salutarti e ringraziarti per aver accettato il
mio invito. Se vuoi lasciare un messaggio al mondo intero, qui puoi farlo.
E’ già nel libro, nascosto con cura sotto certe parole prive di spiragli.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Viola Di Grado
Autrice che ti incuriorisce.