Vita di Gesù
- Autore: Ernest Renan
- Genere: Religioni
- Categoria: Saggistica
Papa Wojtyla sospese dall’insegnamento nell’università di Tubinga il teologo Hans Küng che, con il grande successo di pubblico ottenuto dal suo libro “Dio esiste?”, si era reso portavoce di una forte critica alle teorie ufficiali vaticane. Un destino analogo, e di ben più ampia rilevanza, ebbe Ernest Renan, che nel 1863 venne revocato dalla Cattedra al Collège de France per il clamore suscitato da un suo libro considerato eretico: “Vita di Gesù”. Renan nacque a Treguier nel 1823 e molto giovane si indirizzò verso studi religiosi al Seminario di San Sulpicio, a Parigi. Non prese però la veste talare, già tormentato da dubbi circa la veridicità della lettura canonica dei testi sacri. Filologo, studioso di lingue semitiche, mantenne per quindici anni la cattedra universitaria di lingua ebraica, viaggiando in Palestina e dedicandosi a pubblicazioni specialistiche. Quando ormai la sua fama era consolidata, pubblicò questa “Vita di Gesù”, che doveva far parte di una più vasta storia del cristianesimo. Lo scandalo che l’opera sollevò fu superiore a quello provocato dalla Madame Bovary di Flaubert, anch’essa messa all’indice. Quello che la gerarchia ecclesiale e la cultura ortodossa francese non perdonavano a Renan era di aver applicato rigorosi metodi scientifici (confronti filologici, studio delle incongruenze tra i Sinottici e il Vangelo di S.Giovanni) a verità rivelate e indiscutibili. Di avere cioè sottoposto a indagine critica e razionale ciò che si doveva accettare per fede e ubbidienza. Per Renan, convinto della giustezza del suo metodo, fu soprattutto una questione di coerenza intellettuale condurre l’esame dei testi alle estreme conseguenze:
“Io vedo queste contraddizioni con un’evidenza così assoluta, che ci scommetterei sopra la mia vita, e anche la mia eterna salvezza”
La “Vita di Gesù”, che Oscar Wilde definì “un incantevole Vangelo secondo San Tommaso”, ripercorre l’esistenza del personaggio storico di Cristo, rivelando l’humus culturale in cui si era formato, riscrivendo quale tipo di rapporti lo legava al suo ambiente, alla famiglia, ai discepoli. Senz’altro inaccettabile parve ai denigratori di Renan la sufficienza con cui egli sottovalutava il miracolistico e il soprannaturale in genere nella vicenda umana di Gesù, definendo Cristo “taumaturgo per forza”, rifiutando anche la resurrezione come prodotto “della passione di un’allucinata”. Renan fu un biografo laico innamorato del disegno umano, sociale del suo eroe e si lasciò affascinare dalla follia mistica, dalla sete di giustizia e di luce di Gesù, al punto di riscriverne la vita tenendo conto solo della sua utopia terrena.
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Ernest Renan (1823-1892), è stato eminente studioso biblista francese, nato in Bretagna, seminarista e poi laico accademico a Parigi al Collège de France. Suscitò - e suscita ancora - infinite polemiche per le sue ricerche dedicate alla vita di Gesù e al cristianesimo primitivo.
Si tratta di indagini condotte con un metodo rigoroso di natura soprattutto filologica, che esclude ogni riferimento alla teologia dogmatica e alla Rivelazione. Egli fu grande conoscitore di letteratura semitica, di lingua ebraica, caldea e siriana. Compì ripetuti viaggi in Palestina. Nel 1861 pubblicò la famosa Vita di Gesù, (qui l’edizione è Biblioteca Economica Newton, Roma 1990, a cura di Francesco Grisi). Il libro gli valse enorme notorietà, condita da polemiche, persecuzioni, fino alla espulsione dal Collége. L’ostracismo durò parecchi anni, e quando fu riammesso all’insegnamento accademico si adoperò per la Chiesa del futuro, come la definì, fino alla morte.
Per un cristiano praticante, è difficile accettare l’esclusione della trascendenza, da Renan mantenuta unicamente come sogno necessario al sentimento, ma non suffragato dall’osservazione delle leggi naturali. La sua lezione del metodo storiografico raccoglie i nudi fatti, ricavati da antichi codici e papiri; il metodo vede demolita la filiazione divina del Cristo storico, non dimostrata né dimostrabile. È lecito adottare il metodo scientifico anche nello studio delle religioni, per demistificare notizie non appurabili ma legate alla luminosità del mito e del simbolo. Se il risultato della ricerca nega la storicità dei fatti, anche ciò andrebbe valutato con onestà, non occultato né andrebbe perseguitato il ricercatore. Onore a Renan per aver saputo tenere la testa alta; onore alla sua probità intellettuale di fronte alla persecuzione, costatagli la perdita del posto di lavoro, il discredito, l’incomprensione.
Renan definisce Gesù ‹uomo incomparabile›. È evidente la sua ammirazione incondizionata verso il personaggio di altissima levatura che egli configura.
Il fulcro del libro è la concezione di Regno di Dio. Dopo aver esaurientemente delucidato l’epoca storica del primo secolo d.C., i fermenti religiosi di allora, la sua conclusione è che anche Gesù credette come i suoi contemporanei profeti in un nuovo ordine sociale possibile e imminente, terreno; soprattutto IMMINENTE. Tale era appunto il concetto di Regno. Ma l’abbaglio in cui Gesù cadde suo malgrado, scrive Renan, non fu e non è infecondo. La verità simbolica del Regno diviene evidente e si concretizza nella misura in cui di tempo in tempo ogni uomo si adopera per il bene comune, mettendo da parte i particolarismi personali disgregatori, mettendo da parte l’egoismo. Con accenti poetici, nei quali cade il rigorismo scientista per lasciare il posto al sogno e all’utopia, lo scrittore salva la fede escatologica, trasportandola, con l’ingenuità - o la veggenza - dei sognatori, da un terreno strettamente religioso a quello antropologico del progresso e dello sviluppo, della mutazione psichica, immaginando una futura, lontanissima società perfetta. Il suo sogno, nell’esito finale, dunque non diverge dal sogno di ogni credente ortodosso. Egli scrive:
‹[…]A onta della Chiesa feudale, sette, ordini religiosi, santi personaggi continuarono a protestare in nome dell’Evangelio contro l’iniquità del mondo. Perfino ai giorni nostri, torbidi giorni, nei quali i più autentici continuatori di Gesù sono quelli che sembrano ripudiarlo, i sogni d’organizzazione ideale della società, tanto analoghi alle aspirazioni delle primitive Chiese cristiane, sono in un certo senso lo sbocciare della medesima idea, uno dei rami di quell’immenso albero, ove germina qualunque pensiero di avvenire, e dal quale il sarà eternamente il tronco e la radice. Su questa parola saranno innestate tutte le rivoluzioni sociali dell’umanità. Ma i tentativi sociali dei nostri tempi, macchiati da un grossolano materialismo, aspiranti all’impossibile, perché vogliono fondare il benessere universale sopra misure politiche ed economiche, resteranno infecondi, finché non assumano a regola il vero spirito di Gesù. Voglio dire l’idealismo assoluto, ovvero il principio che bisogna, per possederlo, rinunziare alla terra. L’espressione da un altro verso esprime facilmente il bisogno che sente l’anima di un supplemento di destino, di un compenso alla vita attuale. […]Chissà se trascorsi milioni di secoli, l’ultimo termine del progresso non rechi all’uomo la coscienza assoluta dall’universo, e nella coscienza il risveglio di tutto quanto ha vissuto! Un sonno di un milione di anni non è più lungo del sonno di un’ora. In tale ipotesi, san Paolo avrebbe ancora ragione di dire: “In ictu oculi!”. Certo l’umanità virtuosa e morale avrà la propria rivincita; un giorno il sentimento del povero onesto uomo giudicherà il mondo, e allora la figura ideale di Gesù sarà la confusione dell’uomo superficiale che non credette alla virtù, dell’uomo egoista che non seppe raggiungerla. La prediletta espressione di Gesù rimane dunque splendida di una eterna bellezza, conserva la grandiosa divinazione di una indefinita, sublime, realtà, che in uno abbraccia diversi ordini di verità›.
Lo storico ed esegeta conserva intatto il sogno del Regno di Dio, abbinandolo al sogno ottocentesco del progresso indefinito, senza cadere in un materialismo deteriore e comprende con fine sensibilità i bisogni del cuore umano. Fra questi c’è senza dubbio quel ‹supplemento di destino›, come lo chiama il Nostro, che giustifica e dà senso alla vita presente. Un ‹supplemento di destino› che salva dalla disperazione, restituisce preziosità alla nostra finitezza, dona dignità ai desideri irrealizzati ma non perduti, spostati in un domani favoloso. È un avvenire favoloso, certo, ma non per questo meno reale per la mente, se esso è creduto e sognato ORA. Siamo tutti, in una certa misura, visionari, e per fortuna, diversamente moriremmo di noia, vivremmo come le termiti, condannate a ripetersi per milioni di anni senza mutamento.
In ultima istanza Renan assomiglia in qualità di fede ad ogni credente che la domenica mattina o il sabato sera recita devotamente il Credo durante la celebrazione eucaristica. Il Credo non è forse la professione di fede in un sogno? Null’altro che un sogno, una follia, una poesia che addolcisce. Renan include nella sua visione apocalittica la redenzione dell’umanità nel suo complesso, sente le sorti della specie come proprie, assume e riassume su di sé il destino dell’uomo collettivo, anzi cosmico, in ciò assomigliando a Gesù stesso, a sua magnifica imitazione.
Alla fine, che non è una fine ma uno stato di paradiso in terra, l’umanità di Renan acquista le caratteristiche della divinità, immagine e somiglianza del Padre, nella pienezza della conoscenza e dell’amore.
Tale somiglianza è la condizione di Gesù, l’uomo tanto al di sopra della comune condizione da essere paragonato a un semidio. Renan coltiva un’ammirazione incondizionata e un innamoramento totale verso l’archetipo umano che Gesù rappresenta e ha realizzato nell’esistenza terrea.
Per concludere, ecco le parole di chiusura del libro: ‹[…]Nessuno al pari di lui fece predominare nella sua vita l’utile dell’umanità sulle piccolezze dell’amor proprio. Consacratosi tutto quanto alla sua idea, subordinò a essa ogni altra cosa, per modo che in sul finire della sua vita non esisteva per lui che l’universo. Questa volontà eroica gli valse la conquista del cielo. […] Inchiniamoci davanti a questi semidei. […] Tutti i secoli proclameranno che tra i figli degli uomini non è nato mai uno più grande di Gesù›.