Vita di Luciano De Crescenzo scritta da lui medesimo
- Autore: Luciano De Crescenzo
- Genere: Storie vere
- Casa editrice: Mondadori
Chiunque conosca Luciano De Crescenzo e lo abbia apprezzato nella sua carriera di regista e di scrittore, troverà sicuramente piacevole leggere la sua autobiografia in cui l’ingegnere-filosofo racconta gli episodi più importanti della sua vita.
Tutti conoscono la sua passione per la filosofia che lo ha portato a scrivere numerosi libri sull’argomento, ma è interessante conoscerlo anche come un uomo di tutti i giorni e non solo come un “filosofo moderno”.
In “Vita di Luciano De Crescenzo scritta da lui medesimo”, l’autore inizia il suo racconto presentandoci la sua famiglia: la mamma, il padre, gli zii. Lo vediamo poi, bambino di 10 anni, vivere la terribile esperienza della guerra. Insieme a lui abbandoniamo Napoli e ci trasferiamo a Cassino nella speranza di trovare zone più sicure. Ed eccolo, insieme alla sua numerosa ed unita famiglia, come principalmente quelle napoletane sanno essere, patire la fame e perdere tutti i beni. Ma lui non si abbatte, non si veste da vittima e riesce a strappare un sorriso al lettore anche nel raccontare situazioni che capiamo essere drammatiche. Ce ne parla proprio come se avesse 10 anni e avesse l’incoscienza che contraddistingue quell’età.
Gli anni passano e lo ritroviamo ragazzino alle prese con i suoi primi amori e anche con la sua prima volta, compresa la sua frequentazione “non abituale” delle case di tolleranza. Ci racconta delle tre donne di cui si è innamorato e ci parla anche del divorzio. Forse è in questo caso che vediamo un De Crescenzo addolorato, senza perdere mai quell’ironia che contraddistinguerà sempre i suoi film e i suoi libri.
E poi c’è tutto un susseguirsi di eventi che si intrecciano tra di loro: il lavoro alla IBM come ingegnere (dove non farà mai la carriera desiderata), il trasferimento a Milano (dove comprenderà le differenze tra il Nord e il Sud) e il suo avvicinamento alla filosofia.
Ironico, De Crescenzo guarda al passato con occhio disincantato e strappa al lettore più di un sorriso, a volte delle risate. Quando si smette di leggere il libro, si rimane con la sensazione di aver ascoltato un nonno che racconta la propria vita ai nipoti, senza mai essere noioso e banale.
Vita di Luciano De Crescenzo scritta da lui medesimo
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Affetti ed episodi in un paesaggio napoletano, contemplato come si può guardare il fuoco di un camino, che danno l’immagine di un caldo e mite personaggio che vuole divertire per fare pensare.
Luciano De Crescenzo, dopo “Così parlò Bellavista” (il suo primo più noto romanzo pubblicato nel 1977), scrive un altro libro che si intitola “Vita di Luciano De Crescenzo scritta da lui medesimo”. Lo pubblica nel 1989 l’Editore Arnoldo Mondadori e la “Premessa” è curata dallo stesso scrittore. Lui ha tanta voglia di raccontare la sua vita a partire dalle figure familiari che hanno costellato la sua infanzia. E’ un uomo dall’animo mite e di onesta e buona famiglia: un gentiluomo che utilizza una ironia divertita e passionale ad un tempo. La sua anima, napoletana, lo immerge in tante vite che si sono intrecciate alla sua per ambiente geo-antropico (Le canzoni, e il clima, e il mare, nonché i racconti popolari dei ”Luciani” a Santa Lucia), per affetti, per caso e attrazioni sentimentali. L’incipit della narrazione è una spia anticipatrice di una personalità accattivante favorita dalla sorte: “Una famiglia non si sceglie: nasci e te la trovi intorno che ti sorride. Buoni o cattivi che siano, i parenti non si possono permutare come se fossero auto. Io sono stato fortunato: erano tutte persone di animo gentile”. Dagli zii ai genitori agli amici agli anni del dopoguerra si compongono le tessere di un mosaico che comunicano note d’amore. Così suo padre, “una specie di burbero benefico”, odiava il gioco del pallone perché, a lui ragazzino, faceva consumare le scarpe e Luciano lo ricorda quando, all’inizio del primo ginnasio, gli regala una penna stilografica; e non manca la madre - “Mammà” -, attratta dalla voce di Nilla Pizzi a cui non piaceva Ella Fitzgerald. Gli episodi si intrecciano e si gustano per il “ludus” che li configura come a volere stemperare l’assurdo, o meglio il guazzabuglio delle incertezze nell’universo dell’esistenza. De Crescenzo, filosofo "sui generis" dell’umorismo ("Non ho mai capito se sono diventato umorista per aver letto tutto Wodehouse, o se mi piaccque tanto Wodehouse perché ero nato umorista), sa che le parole scherzose allontanano dal dramma; così rallegra le sue vicende biografiche partecipando con tutto se stesso a momenti sorprendenti quali quelli riguardanti la scoperta del sesso. Studente di ingegneria, si interroga sugli amori e confida il Luciano innamoratosi a 19, 29 e 51 anni, dopo il primo approccio sentimentale da bambino: non quattro donne diverse che navigano nella sua testa, bensì l’una pressoché simile alle altre per quattro uomini, tutti innamorati in fondo della medesima figura. La scrittura di De Crescenzo è semplice e comune, pacata e dettata dall’amore per la conversazione; discorsivamente lineare e leggera che in maniera coinvolgente fa risuscitare ricordi. Mi piace tanto come scrive: egli non ha il senso del tragico e l’esistenza corre sul filo del sorriso bonario. I fatti sono quelli reali e lui li rielabora con leggerezza, quasi con gli occhi da bambino, o con la maestria del giocoliere che ama. E con l’entusiasmo goliardico di chi ignora la finitezza del vivere malgrado la storia avanzasse verso le amarezze della guerra. E ce ne sono tante da lui vissute prendendosi in giro. Così è stato De Crescenzo: mettendo tra parentesi ogni assillo, tranquillamente raccontava miti e sogni. Dalle pagine affiora l’uomo del dubbio e della ricerca di Dio come appare nei capitoli finali in cui, spiegando la nascita della suo incanto per la filosofia, si scopre distante da ogni arrogante possesso della verità con pensieri tanto attuali. Ho provato piacere a leggerle queste pagine dei capitoletti “Il dubbio positivo” e “Tre su quattro”, dove egli vola più in alto. Com’è importante usare il dubbio. Il pensiero è ricerca e la mente è una complicatissima macchina che può o non può fare del male. Si tratta di farla funzionare bene, cambia la nostra vita: “Il Punto Interrogativo è il simbolo del Bene, così come quello Esclamativo è il simbolo del Male. Quando sulla strada vi imbattete nei punti Interrogativi, nei sacerdoti del Dubbio positivo, allora andate sicuro che sono brave persone, quasi sempre tolleranti, disponibili e democratiche. Quando invece incontrate i Punti Esclamativi, i paladini delle Grandi Certezze, i puri della Fede Incrollabile, allora mettetevi paura perché la Fede molto spesso si trasforma in violenza. E badate bene che io qui non sto parlando solo di Fede religiosa, ma anche di Fede politica e di Fede sportiva, di qualsiasi tipo di Fede insomma. Gli integralisti islamici, i tifosi di calcio, i brigatisti neri o rossi, appartengono tutti a una stessa razza, quella che ritiene la sola a possedere la Verità, come se poi potesse esistere davvero una Verità unica e incontrovertibile. Il Dubbio invece è una divinità discreta, è un amico che bussa con gentilezza ed è pronto a cambiare radicalmente non appena qualcuno gli dimostrerà cose sbagliate”.
De Crescenzo è stato un grande napoletano oltre che un grande scrittore. la sua autobiografia racconta una forma mentis prima che una vita, un modo di vivere tragedie con il sorriso sulle labbra e la sua scomparsa ha lasciato un vuoto.
Bella anche la recensione.