Vita, vecchiaia e morte di una donna del popolo
- Autore: Didier Eribon
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: L’orma editore
- Anno di pubblicazione: 2024
Il filosofo francese Didier Eribon nel suo nuovo libro Vita, vecchiaia e morte di una donna del popolo (traduzione di Annalisa Romani, L’orma editore, 2024) racconta la vita della madre, il declino dovuto alla malattia, “il naufragio della vecchiaia”, e la sua morte all’età di ottantasette anni qualche settimana dopo essere stata ricoverata in una casa di riposo.
La testimonianza dell’autore è molto toccante e riflessiva, e pone numerosi interrogativi sulla terza età, sui nostri anziani e sul loro ruolo nella nostra società.
Lo scrittore raccoglie i ricordi della madre, di quando mostrava attenzione ai suoi libri di liceo, a quelli universitari, di quando aveva un conto da saldare ogni mese per aver comprato vestiti per lui e suoi fratelli, di quanto amasse Alain Delon e di quanto invece non amasse omosessuali e neri.
È anche il racconto della vita di una donna infelice legata a un uomo che non amava, sposato all’età di vent’anni, e al quale era rimasta sempre accanto. Una donna che aveva riscoperto l’amore solo dopo la morte del marito; aveva ottant’anni e, per il breve tempo della relazione, fu innamorata e immensamente felice.
Due vite una dopo l’altra, racconta l’autore come ne La vecchia indegna di Brecht, un progetto d’amore che era per lei un altro presente.
Con la fine della relazione venne meno anche la sua voglia di vivere.
Didier Eribon, scrittore, sociologo, è professore presso la Facoltà di Filosofia, Scienze Umane e Sociali dell’Università di Amiens. Ha insegnato anche all’Università di Berkeley. Autore di numerose opere, ha vinto nel 2008 il prestigioso Premio Brudner, assegnato ogni anno dalla Yale University.
Nelle nostre società industriali avanzate si invecchia e si muore sempre più spesso da soli, e Eribon narra la sua storia personale inserendovi profonde analisi sociologiche, politiche e splendidi passi letterari.
Cosa succede in una vita quando la madre muore?
Parlare di lei gli è servito a tenerla viva. Non vi era alternativa alla casa di riposo, sua madre aveva difficoltà a muoversi e non usciva più di casa.
Quel giorno piangeva, racconta l’autore e il cuore gli si era stretto. “Non aver paura ti troverai bene”, le sussurrava; mai parole più insincere.
Uno sradicamento così profondo dal suo passato e dal suo presente, era uno stravolgimento dal quale sarebbe stato difficile riprendersi. Bohumil Hrabal, scrive Eribon, ha descritto lungamente il flusso di impressioni ed emozioni di una persona quando arriva in una casa di riposo, “deserti di solitudine”, come un mondo che conosce da fuori. La malattia della madre si chiamava vecchiaia e la struttura che la ospitava sarebbe stata “la sua prigione”.
L’ordine del mondo, l’ineluttabilità dell’invecchiamento, la realtà delle strutture famigliari contemporanee, la storia dell’abitabilità e dell’edilizia urbana, la gestione politica e sociale della terza età, della malattia, della dipendenza e via dicendo, si trovava condensato in questo istante fatale della decisione ineluttabile e si imponeva a noi, si imponeva a lei, spazzando via senza alcuna pietà i suoi desideri, le sue voglie e qualsiasi possibilità di rivolta o di azione.
Un ultimo viaggio come quello verso la montagna descritto in Le canzoni di Narayama di Fukazawa: lo intraprendevano le persone settantenni dove avrebbero atteso la loro morte. Per quello che gli stava accadendo, tra sensi di colpa e rimpianto, aveva deciso di rileggere alcuni libri a lui cari, per capirne meglio: La terza età di Simone de Beauvoir, La solitudine del morente di Nobert Elias e Annie Ernaux, che nel libro dedicato alla madre Una donna descrive il momento in cui era iniziato il declino, quando la donna parlava con persone che vedeva solo lei.
La madre di Eribon aveva scelto di lasciarsi morire perché la vita non è solo vita in buona salute, ma anche vita in malattia, e vita diminuita e quella vita diminuita non la sopportava. La sindrome da scivolamento è lo shock, per tanti talmente forte da non essere tollerato. La sensazione più determinante è l’essere abbandonati, fino a morirne.
La madre era cresciuta in orfanotrofio, abbandonata da piccola: ne era uscita domestica tuttofare, donna delle pulizie e poi operaia, aveva lavorato duro per avere qualche comodità; se fosse andata via, non stancava mai di dire, avrebbe perso tutto oltre la vita di inferno che le avrebbe reso il marito. Non aveva immaginato di diventare avvocato, dottoressa; sognava, ma sapeva che le strade le erano state sbarrate. Non era più legata alla sinistra ed era rimasta sempre diffidente nei confronti del sindacato.
Ecco, mi dicevo: ecco come è stata la vita, ed ecco com’è la vecchiaia di una donna del popolo.
Eribon riconosce che qualcosa in lui è cambiato dopo la morte di sua madre: prima era un figlio e ora non lo era più.
E l’assenza avrà svariate facce.
La perdita di un genitore o di una persona cara produce una ferita affettiva, più o meno profonda, più o meno durevole; colpisce anche l’identità personale e la definizione di sé che deriva proprio dal rapporto con lui o con lei.
Il dolore della sua mancanza affiora nelle pagine del suo libro, ed è a tratti straziante. Figlio della classe operaia per Didier sarà una identità che scomparirà nell’andare via da casa per la sua strada, fatta di studi e di impegno trotskista. La sua affiliazione politico – intellettuale andava di pari passo con la disaffiliazione socio-familiare. Con la scomparsa della madre si era infranta in lui la continuità con il passato. Non è facile comprendere il mutamento che l’individuo subisce durante la vecchiaia, scrive il nostro filosofo. La forza che viene a mancare, l’indipendenza motoria che si affievolisce e tanto altro, comporta in primo luogo un cambiamento sociale. E per molti aspetti la vecchiaia nella nostra società viene “occultata concettualmente”.
Non ha posto nella filosofia, nelle teorie politiche; non c’è posto per gli anziani perché assenti dallo sguardo teorico. Se la filosofia e la teoria politica escludono la vecchiaia, allora bisognerà porsi delle domande fondamentali:
Le persone anziane possono parlare? Se non parlano cosa dobbiamo fare affinché si senta la loro voce?
Didier Eribon, con la sua testimonianza intima e commovente, che diviene anche una denuncia politica, rende visibili gli invisibili, e auspica un progetto politico socialmente progressista che dia posto ai più deboli, agli anziani, nelle nostre comunità.
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