Vite di uomini non illustri di Giuseppe Pontiggia

Giuseppe Pontiggia, narratore e saggista, autore di libri famosi, nonché vincitore con “La grande sera” del Premio Strega 1989, in “Vite di uomini non illustri” (Mondadori, 2003) presenta una serie di racconti, diciotto per la precisione, piuttosto particolari.
Sono, come descrive il titolo, storie di persone non conosciute e scaturite dall’immaginazione dell’autore ma anche un insieme di eventi che potrebbero essere di molti di noi.

Le storie hanno tutte precise definizioni cronologiche e geografiche: luoghi e date di nascita, di morte e dei significativi eventi che hanno segnato la vita dei protagonisti di ogni racconto. Costoro, oltre al secolo in cui vivono, per la precisione quello scorso, hanno un altro elemento in comune: appartenere a famiglie benestanti, di solito altoborghesi, che non conoscono la povertà ma le cui vite sono segnate da fatti che le rendono poco felici. Ecco quel che spicca dalle narrazioni: una serenità apparente, fatta anche di agi, di benessere che, soprattutto nei decenni precedenti e successivi il secondo conflitto mondiale, non era così comune ma, al contempo, un senso di insoddisfazione costante con la ricerca di un’ulteriore felicità.
In realtà, se riflettiamo, pochissimi fra noi si dichiarano realmente appagati: c’è sempre qualcosa che non va, qualche evento che avrebbe potuto non accadere oppure andare diversamente. Forse questo vuol descrivere Pontiggia, a volte con esempi esasperati: il senso d’insoddisfazione che prova l’essere umano, anche quando non è così gravato dal destino.

I personaggi sono tutti legati alla famiglia, assolutamente presente, a volte opprimente che si trincera dietro l’apparente perbenismo o una fede che più che altro indica un mantenimento di buone relazioni con l’ambiente religioso.
Tra questi diciotto personaggi di cui è impossibile menzionare tutte le vicende, vanno ricordati Antonio Vitali che trascorre la sua vita quasi vegetando non perché gli manchi qualcosa, ma perché macerato dal senso di colpa di aver fatto morire la mamma mentre lo ha partorito. Ci metterà l’intera esistenza il protagonista a capire e quando vedrà la luce della verità, quasi come una rinascita, essa si rivelerà troppo abbagliante ed egli ne sarà soverchiato.
Ecco Lovati Massimo, le cui vicende esistenziali, fin dalla nascita, sono segnate da una sola parola: risparmio. Così lui, secondogenito, usa tutte le cose del fratello maggiore, dagli indumenti ai libri, e si abitua ad un regime di vita familiare parco, previdente, parsimonioso insomma un po’ avaro come quello Scrooge di cui lui bambino aveva sentito narrare ascoltando “Canto di Natale” di Dickens. La sua vita è tutta un susseguirsi di situazioni in cui si cerca di risparmiare e quindi si procede con oculatezza e cautela. Tutto avviene non per casualità ma dopo una valutazione concreta del lato economico. Pochi gli slanci, nessun colpo di testa perché “non sappiamo che ci riserba il futuro” dice lui convinto.
E’ poi la volta di Marinoni Roberta, una donna che mostra fin da bambina una certa malvagità mista al desiderio di fare suoi oggetti di valore. Ciò si ripete per molte volte e per molti anni della sua vita non permettendo di fare spazio all’amore nel suo cuore in cui, invece, alberga facilmente l’odio.
Si avvicendano tanti altri personaggi, da Bertelli Claudia, a Ghioni Ludovico a Tornaghi Luigi, fortunati, sfortunati che nascondono debolezze e imperfezioni dietro un’apparente dignità. Paiono racconti scritti quasi a caso ma non è così: sono il multiforme ritratto di un’umanità intera che appare assolutamente imperfetta e che purtroppo spesso non differisce così tanto dalla realtà.

Giuseppe Pontiggia descrive tutto questo con estrema abilità, sviscerando i sentimenti più profondi, togliendo le maschere che talvolta i protagonisti indossano, ponendo l’accento sulla condizione umana varia, imperfetta e spesso infelice.