Vito Ferro è nato il 14 agosto 1977. Vive a Torino. È Presidente dell’Associazione culturale Ombre.
Autore di "L’ho lasciata perché l’amavo troppo - piccolo campionario dell’abbandono", il romanzo "Condominio reale" e la raccolta di poesie "Mentre la luce sale".
Vito, intanto ti do il benvenuto a quella che non sarà la solita intervista chilometrica, ma solo 4 chiacchiere come piacciono a me.
- Prima chiacchiera: Il tuo ultimo romanzo "Condominio reale" racconta di un condominio improvvisamente protagonista di un reality e dei paradossi di una società fatta di gente che ammazzerebbe per avere una telecamera puntata addosso. Pensi che i tuoi personaggi, così disposti a tutto pur di apparire, siano ancora lontani dalla realtà o dobbiamo preoccuparci sul serio?
Ogni qualvolta inizia un Grande Fratello, ho la spiacevole sensazione di aver scritto un libro fin troppo “innocuo”. Guardo i provini degli scartati al programma che manda in onda la Gialappa’s Band e penso: “no, è impossibile”. Ed invece è realtà. C’è tutta un’umanità che preme, smania, si rende ridicola se non patetica pur di apparire. Apparire. Non importa come e perché, ma farlo. Credo che quando un essere umano oltrepassi volontariamente il pudore e il senso di dignità, li superi senza problemi, possano nascere brutture terribili. Dell’idea di reality show mi affascinano tristemente i rapporti di gruppo che si creano all’interno dei programmi: spiate, calunnie, e poi litigate, grida, pianti, sfottò crudeli. E’ il personaggio in un gruppo, volontariamente postosi in modo da essere spiato, che mi preoccupa. Sembra quasi che dare il peggio di sè, premi. Ciò è davvero avvilente. E questo succede ormai da un bel po’. Senza voler essere sociologo, ritengo che si viva seguendo modelli. Continuamente. Se i modelli sono sbagliati, per mimetismo, nascono sempre più seguaci sbagliati.
- Seconda chiacchiera: Hai scritto un libretto di aforismi, un romanzo, un libro di poesie e sta per uscire una raccolta di racconti. Tu che le hai provate tutte, pensi di essere il nuovo genio della narrativa italiana o "te la credi troppo"?
Effettivamente mi manca ormai solo il saggio politico e poi sono a posto. Ho composto la mia opera omnia. Posso ritirarmi a godere del lauto compenso derivante dai diritti d’autore. Perché devi sapere che sono diventato molto ricco. Cambio le tende del bagno con una frequenza impressionante.
Non mi considero un genio, anzi. L’eterogeneità dietro ai miei scritti dovrebbe significare l’opposto: mi prendo così poco sul serio da ritenermi felice e divertito quando “gioco” con la scrittura. Io mi diverto a creare storie, situazioni, scritti i più diversi possibile gli uni dagli altri.
Il mio blog si intitola “scrittore ad ore”: sono come un portiere d’albergo che fa il suo lavoro e quando stacca, è altro. E meno male. Odio chi si prende sul serio, chi si sente investito da una carica solenne. Non voglio diventare uno di quelli che pone un muro di fronte a sé, di modo da separarlo dal resto della gente che non scrive. Non ci godo proprio a stare isolato. E di che scriverei dopo?
- Terza chiacchiera: Molti scrittori esordienti sono terrorizzati all’idea che qualcuno rubi il loro manoscritto e lo pubblichi con il nome di un altro. Io ho sempre pensato fosse una specie di leggenda metropolitana e invece a te, a quanto pare, è accaduto davvero. Ci racconti com’è andata?
Purtroppo non sono sicuro al cento per cento di ciò che mi è successo. L’accaduto non ha fatto altro che aumentare la mia paranoia (già ben salda ed efficace). Successe che scrissi il primo libro, quello di “aforismi”, e lo mandai a 3 case editrici soltanto, quelle che ritenevo più appropriate al genere dello scritto: Sellerio, Coniglio e Kowalski (che è Feltrinelli). Sellerio si fece viva quando ormai avevo pubblicato con Coniglio (ovvero circa un anno dopo la mia firma sul contratto). Kowalski niente, silenzio. Un giorno casualmente scoprii su internet, sul catalogo di Kowalski, un’autrice francese, mi pare, con un libro, a leggere l’estratto, praticamente identico al mio se non nel titolo. Scrissi loro una lunga lettera giusto per avere delucidazioni, una lettera un poco sarcastica. Mai avuto risposta, come aveva previsto la mia editor di Coniglio. Io quel libro non l’ho letto (per principio), per cui non so cosa ci sia dentro, ma sono sicuro, avendo la ricevuta di ritorno di aver spedito il mio a Kowalski molto tempo prima. Ora le possibilità sono molteplici: una di queste è la casualità. Può essere benissimo tutta una coincidenza. Per essere onesti fino in fondo, ammetto di aver scoperto, molto dopo la pubblicazione del mio libro, un vecchio testo (di quasi dieci anni prima) di un altro autore (Luca Ragagnin) molto, molto simile al mio. Io, ovviamente, so di essere in buona fede nei confronti di questo autore: ma lui potrebbe pensare, a ragione, di me la stessa cosa che io penso di Kowalski. Per cui, mi trovo realmente nella necessità di “sospendere il mio giudizio”. Può essere tutta una coincidenza. Mi spiace soltanto perché sono sicuro che il mio libro sia più divertente di quello pubblicato da Kowalski. E forse pure di quello di Ragagnin. ;)
- Quarta chiacchiera: Su internet, con l’aumentare esponenziale dei blog, prolifera l’idea che basti incolonnare qualche frase, neanche così entusiasmante, per ottenere un pezzo di parole da chiamare poesia. Sul tuo blog spesso ti lasci andare a componimenti poetici. Qual è la tua idea della poesia, ti senti un poeta, e cosa ne pensi del fenomeno di massa degli ultimi anni: gli aspiranti scrittori (che non leggono)?
A me piace molto la poesia, la ritengo una forma di filosofia, a metà strada tra la narrativa e la verità. Molto più pendente verso al verità. Leggo un sacco di poesia, classica e contemporanea, e da sempre provo a scrivere versi. Con velleità molto scarse, anche se a qualche editor la mia poesia è piaciuta tanto da volermi pubblicare (anche gli editor ogni tanto si ubriacano).
Ritengo che scrivere poesie sia difficile. Poesie che siano sincere, ben pensate e ben costruite, che condensino realmente un messaggio e lo trasmettano nel modo più gradevole. Non so se ci sia mai riuscito, provare ci provo continuamente. E’ indubbio che sia più “semplice” narrare una storia. Tante mie poesie non mi piacciono, già cinque secondi dopo che le ho scritte, e mi sento incapace di migliorarle. Così come non mi piacciono molte poesie che trovo in rete (mentre altre sono realmente valide, eccome): ma quello che mi piace sempre, leggendo anche le più ingenue, semplici, quelle magari scritte da ragazzini/ragazzine di 15 anni, è la volontà che ci sta dietro, il tentativo di comunicare qualcosa di intimo attraverso il verso. Questa volontà a mio avviso è molto nobile. Conta poco il risultato, in questo senso. E ben diversa la volontà di sentirsi uno scrittore. Presuppone a mio vedere una dose di arroganza maggiore. Chi scrive poesie, chiunque credo, sa che con queste si fa poca strada nel mondo dell’editoria. Mentre ormai tutti sanno che a scrivere una storia (magari attuale: io odio l’attuale, o piuttosto coloro che scrivono con e non dell’attuale) se si azzecca il canale giusto poi vendi un sacco di copie e fanno anche il film con Accorsi e Vaporidis.
Lo scrittore esordiente è una razza strana: tendenzialmente ha un ego molto sviluppato e quasi sempre orientato verso se stesso. In più, si camuffa bene ed è dappertutto intorno a noi.
Quando parlo con qualcuno, quasi mai dico che scrivo. Quando capita, mi sento sempre rispondere: ”io dovrei scrivere un libro, il libro della mia vita: sapessi quante cose mi sono capitate, ci metterei un attimo a scriverlo!”. Ecco, io provo istintivamente un brivido terribile a sentire queste parole. Intravedo il germe dello scrittore esordiente, la scintilla che fa nascere questo mostro. Perché scrivere, probabilmente, è tutt’altro: è esplorare le possibilità, non reiterare la vanagloria e riportare episodi di vita imponendoli agli altri. Tutti abbiamo vissuto e stiamo vivendo una vita ricca, mi auguro. Teniamocela per noi, però. E scriviamo di quello che sarebbe se, usciamo un po’ fuori, esercitiamo l’empatia. Non si vive per scrivere, né si scrive per vivere: si vive per vivere e si scrive per scrivere. A me pare semplice, ma considera che ho una spiccata tendenza a sbagliare le mie considerazioni.
Questa era l’ultima chiacchiera e quindi ti saluto e ti ringrazio per aver accettato il mio invito. A presto e, se vuoi lanciare un brevissimo messaggio estemporaneo al mondo, qui puoi farlo.
Grazie a te e a tutti coloro che vorranno leggere le stupidaggini che ho detto.
Ovviamente non ho grandi messaggi da lanciare al mondo, se non di ridurre l’inquinamento globale, fermare la guerra Israele/Palestina, aumentare la sicurezza sulle strade, fermare la piaga delle intercettazioni, non vendere Kakà e soprattutto comprare i miei libri.
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