Vito Mercadante
- Autore: Marco Scalabrino
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2009
Il fil rouge dei testi in versi di Marco Scalabrino è l’uomo nel bene e nel male, nella storia e nella cronaca. Il suo linguaggio pulsa di locuzioni autenticamente siciliane e perfeziona l’emancipazione lirico-formale. Indubbiamente la coscienza poetica, oltre che dall’ispirazione, gli proviene da una lunga frequentazione con le migliori e autorevoli voci della poetica siciliana, da lui già evidenziate nei due volumi “Parleremo dell’arte che è più buona degli uomini” (CFR Editore, Rende (CS), 2013). Specificamente vi si trova uno studio accurato sulla figura e sull’opera di Vito Mercadante che egli ha ora estrapolato per il volume intitolato “Vito Mercadante. Dimensione storica e valore poetico” (Edizione a cura del Comune di Prizzi, 2009), che racchiude anche interventi di Salvatore Vaiana e di Rosa Faragi.
Prizzi (PA) è il luogo di nascita di questo particolare personaggio (13 luglio 1873); subito il nome della cittadina, dal suggestivo impianto medioevale, richiama la “locandaccia”, di cui si legge ne “Il Gattopardo”, dove si dormiva
“distesi in tre su ciascun letto, insidiati da faune repellenti”.
A Prizzi egli ultimò le scuole elementari e qui si formarono le prime immagini sulla misura degli affetti più autentici. Marco Scalabrino annota:
“Quanto a Prizzi, dove Vito Mercadante lasciò matri e parenti quando partì … a la strania alla ricerca di la me via, è immersa nel silenziu … cu li canala carrichi di jelu”.
Siamo infatti sulle alture dei monti Sicani da cui si affaccia la valle del Sòsio:
“È la notti di Natali / tutta nivi è la muntagna”
e Mercadante mentalmente non si allontanò mai dal suo paesaggio (“Biancu prisepiu chi dormi”), dal suo popolo, dai suoi contadini anarchici e colpevoli d’aver partecipato ai moti del luglio del 1883. Frequentò a Palermo le scuola secondarie fino a qualche anno di Ingegneria. Impiegatosi presso le Ferrovie dello Stato, si dedicò agli studi amati e alla scrittura, coinvolgendosi nel sindacalismo rivoluzionario di matrice soreliana. Tenuto sotto controllo dalla polizia e osteggiato dal regime fascista, morì a Palermo il 28 novembre del 1936. Marco Scalabrino è puntuale ce lo mostra con il supporto di critici autorevoli e soffermandosi sul lavoro più prestigioso “Focu di Muncibeddu”, disponendo della copia del 1991, curata da Sigma Edizioni Palermo e voluta dal Comune di Prizzi. A proposito di “Muncibeddu”, gli scritti in lingua araba si riferiscono a “Ǧabal al-burkān” o “Ǧabal Aṭma Ṣiqilliya” – montagna, o vulcano, somma della Sicilia - o “Ǧabal al-Nār” ("montagna di fuoco"); nome più tardi mutato in “Mons Gibel”: “Monte Gibel” per indicarne la maestosità; da qui “Mongibello”: Etna nell’uso odierno.
La scelta del dialetto non è solo filologica e linguistica, ma lessicale e antropologica; nell’opera, di ottimo livello artistico, si intrecciano i motivi dell’amore e della morte, l’anima e i sentimenti della cultura popolare. È in tale cornice che Marco Scalabrino inserisce il suo discorso sulle strutture linguistiche, sulle scelte e sugli esiti poetici, soddisfacendo le esigenze del linguista: infatti, egli pone in evidenza la forza dell’endecasillabo, nonché la bellezza e una dovizia di un lessico assolutamente straordinarie, aprendo le porte a nuovi orizzonti di lettura . Insieme ad altri scritti (“Lu Sissanta”, “L’omu e la terra”, nonché il testo teatrale “Matru Mircuriu”), va ricordato il volumetto in versi “Spera di suli”, dedicato a “Nuzza”, la fidanzata profondamente amata e, giovanissima, morta di tubercolosi, per cui Vito Mercadante vestì di nero tutta la vita. Di bella lettura, dunque, questo volumetto di Scalabrino dove si respira la più raffinata tradizione letteraria del Novecento che vive pienamente il dramma della storia.
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