Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli.
è la celebre frase che Vittorio Alfieri scrisse nella “Lettera responsiva” a Ranieri de’ Casalbigi, riportante in calce una data un luogo precisi: Siena, 6 settembre 1783. Attraverso quello scritto Alfieri manifestava la propria ferma volontà di diventare un drammaturgo, lo considerava un impegno che ormai aveva assunto con sé stesso dopo la fortunata rappresentazione della sua prima tragedia Antonio e Cleopatra (1775). Naturalmente il fatto che oggi tutti noi conosciamo il suo nome è la prova che Vittorio Alfieri il suo proposito l’ha mantenuto, e che l’abbia fatto egregiamente.
Per questa ragione viene spesso presentato dagli insegnanti agli studenti come esempio virtuoso da seguire: la storia di Alfieri dimostra che con la volontà e l’impegno si può perseguire con successo ogni obiettivo. Il motto “Fortissimamente volli” indica lo sforzo di volontà per eccellenza, l’energia interiore che, se governata da una giusta disciplina, conduce alla realizzazione personale.
La biografia di Vittorio Alfieri è affascinante e irrequieta quanto il personaggio, che nei ritratti d’epoca ci appare con una folta chioma leonina e uno sguardo audace sempre rivolto all’orizzonte. Quella di Alfieri è la storia di un ribelle, un rivoluzionario, un patriota risorgimentale che seppe precorrere il proprio tempo cantando ideali sovversivi e sempiterni, quali l’odio per i tiranni e l’amore per la libertà. Per queste ragioni viene considerato uno dei precursori dello spirito del Romanticismo.
Vittorio Alfieri: la vita
La ribellione e l’inquietudine di Vittorio Alfieri non sono caratteristiche da dare per scontate considerando la società che gli diede i natali e il benessere della sua nobile condizione. Nacque ad Asti il 16 gennaio 1749 da una famiglia d’alto lignaggio e antica stirpe nobiliare. Era figlio del conte di Cortemilia Antonio Amedeo Alfieri, ma rimase orfano di padre molto presto - nel primo anno di vita - e fu cresciuto nella residenza paterna di Asti, Palazzo Alfieri; la sua educazione fu affidata a un severissimo precettore sino ai nove anni d’età.
Fino ai ventisei anni circa condusse la vita che si addiceva a un signorotto aristocratico della sua età: compì gli studi all’Accademia militare, si destreggiò tra le armi, i cavalli, gli amori e i viaggi del gran tour.
Da ragazzo aveva in odio lo studio poiché preferiva dilettarsi con la spada, ma comunque continuava a sentire dentro di sé una forma di inquietudine, di insoddisfazione, che il Parini avrebbe senz’altro attribuito all’ozio del “giovin signore”. L’incontro con la letteratura fu per Alfieri una folgorazione, l’inizio della sua seconda vita: la giudicò una vera e propria “conversione”, finalmente aveva trovato la maniera di riempire quel vuoto che aveva avvertito nella propria esistenza. Decise di lasciare la carriera militare e dedicarsi alla scrittura di tragedie, che compose inizialmente in francese, la lingua che aveva appreso a scuola secondo quanto in uso nel Regno di Sardegna. A guidarlo alla scrittura letteraria fu, pare, anche una ragion d’amore: la sua passione per la marchesa Gabriella Turinetti. Assistendo la donna durante la sua malattia, Alfieri iniziò a comporre la tragedia che sarebbe diventata Antonio e Cleopatra, rappresentata nei teatri italiani nel 1775. La rappresentazione ebbe successo, ma l’autore non era soddisfatto del risultato, anzi, decise che da quel momento avrebbe studiato per comporre qualcosa che fosse “veramente degno” degli applausi del pubblico.
Iniziò così un lungo apprendistato che lo condusse in Toscana per lo studio più approfondito della lingua italiana, soffermandosi in particolare a Siena e a Firenze. Nel 1777 decise di “sfrancesizzarsi” e “spiemontizzarsi”, lasciando tutti i suoi beni alla sorella Giulia - per liberarsi dagli obblighi nobiliari - e ricevendone in cambio una pensione annua che gli avrebbe concesso di mantenersi. A Firenze Alfieri conobbe Louise Stolberg, la contessa d’Albany, che sarebbe stata il grande amore della sua vita. In questi anni lavorò febbrilmente alle sue tragedie, componendo Filippo, Antigone e Saul. Nel 1785 si trasferì con la contessa d’Albany in Alsazia, a Colmar, e in seguito a Parigi dove assistette ai primordi della Rivoluzione.
In un primo momento Alfieri era favorevole agli ideali rivoluzionari, scrisse persino l’ode Parigi sbastigliato; ma in seguito li condannò quando si rese conto che stavano prendendo una piega dittatoriale e non libertaria. Fuggì da Parigi nel 1792, sempre in compagnia di Louise, e fece ritorno a Firenze dove si dedicò allo studio dei classici greci e al completamento della sua ultima tragedia, L’alceste.
Negli ultimi anni Alfieri fu afflitto da numerosi problemi di salute, tra i quali la gotta e una terribile artrite, continuò tuttavia a lavorare alacremente, soprattutto a una delle sue opere maggiori e più monumentali: La vita.
Vittorio Alfieri si spense improvvisamente a Firenze l’8 ottobre 1803, all’età di soli cinquantaquattro anni. In suo onore Antonio Canova scolpì uno splendido monumento funerario, custodito presso la basilica di Santa Croce. Il sepolcro fu commissionato dalla contessa d’Albany in persona e Canova decise di realizzarlo solo dopo aver letto approfonditamente le opere alfieriane, perché nel suo intento il monumento doveva:
corrispondere, nel carattere dell’opera, alla fierezza della penna di questo sommo poeta.
“Fierezza” era proprio l’aggettivo ideale per descrivere la parabola esistenziale di Vittorio Alfieri: uno spirito inquieto, ribelle e indomabile che fu fedele soltanto alla propria forza di volontà.
Vittorio Alfieri: il pensiero e le opere
Di seguito ricordiamo le opere maggiori di Vittorio Alfieri che sono anche un compendio del suo pensiero: tra le tematiche più ricorrenti troviamo la ribellione contro la tirannide, lo slancio titanico dell’affermazione di sé, l’amore assoluto per la libertà. Ad Alfieri viene spesso accostato il sentimento tipicamente romantico del titanismo, un termine di origine mitologica che fa riferimento alla ribellione dei Titani contro Zeus; proprio come i Titani anche il grande drammaturgo italiano si ribellò sempre fieramente contro ogni forma di autorità.
Questo atteggiamento si riflette anche nelle sue principali opere:
- Saul: scritta nel 1782, questa tragedia è considerata il capolavoro di Alfieri. La vicenda è ispirata all’episodio biblico narrato nell’Antico Testamento che, per fedeltà alle leggi dell’unità aristoteliche, l’autore condensa in ventiquattrore. Saul è un personaggio in cui Alfieri stesso afferma di riconoscersi, vi vede riflessa la propria stessa inquietudine: “bramo in pace far guerra, in guerra pace”. Si tratta dell’eroe tragico per eccellenza: Saul è tormentato dalla vecchiaia e dalle crescenti minacce che minano il suo potere. La minaccia principale è rappresentata da Davide, il prescelto da Dio. Prendendo atto della propria inevitabile sconfitta Saul, dopo aver tratto in salvo la figlia Micol, decide di uccidersi trafiggendosi con la propria spada.
Si tratta di un eroe sicuramente moderno, lacerato dalla propria stessa inquietudine, che sperimenta una battaglia soprattutto interiore.
Tragedie
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- Mirra : tragedia composta nel 1784 che si ispira a un episodio mitologico delle Metamorfosi di Ovidio. Al centro della trama vi è l’amore incestuoso di Mirra per il padre Ciniro che tuttavia nell’opera alfieriana non viene consumato, ma si limita a vivere solo nel piano astratto dei desideri. La giovane è promessa sposa di Pereo, ma non vuole unirsi a lui. La passione tormentata di Mirra per il padre è ciò che muove le fila dell’opera, viene rivelata solo implicitamente, mai espressa a parole, solo nel finale si manifesta quando Mirra decide di espiare la propria colpa gettandosi sulla spada.
- L’Alceste: tragedia ispirata alla nota Alcesti di Euripide, in cui la donna protagonista decide di donare la propria vita per salvare quella del marito Admeto. La seconda parte della tragedia di Alfieri, intitolata appunto Alceste seconda, fu pubblicata postuma dopo la morte dell’autore.
Dopo aver tradotto il testo originale di Euripide, Alfieri decise di riscrivere le vicende della coppia innamorata, cercando di esplorare il campo dei rapporti umani e dei sentimenti. Fu l’ultimo titanico sforzo del drammaturgo, l’ultima tragedia alfieriana.
Recensione del libro
Tragedie scelte
di Vittorio Alfieri
- La vita: Alfieri iniziò a scrivere la propria poderosa autobiografia a Parigi nel 1790 con il proposito di completarla quando sarebbe stato più anziano, ma fu costretto a concluderla di fretta nel 1803 una volta compreso che gli rimaneva poco tempo da vivere.
In quest’opera Alfieri afferma di aver voluto “lasciar fare alla penna”, componendo di fatto il ritratto più autentico e letterario di sé stesso. Forse non proprio attendibile a livello storico-biografico, La vita è soprattutto il ritratto ideale di Vittorio Alfieri nel quale l’autore celebra il proprio slancio titanico, la propria forza di volontà che lo spinse a essere “fortissimamente” sé stesso.
Vita
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Vittorio Alfieri: vita, opere e pensiero
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