Voglio sappiate che ci siamo ancora. La memoria dopo l’Olocausto
- Autore: Esther Safran Foer
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Guanda
- Anno di pubblicazione: 2020
Voglio sappiate che ci siamo ancora (Guanda, 2021, traduzione di Elisa Banfi) è il racconto della lunga ricerca delle proprie radici, della famiglia d’origine dell’autrice Esther Safran Foer, figlia di sopravvissuti all’Olocausto. Una storia emozionante racchiusa tra le pagine di un libro di memorie, frammenti di un passato doloroso, cercati instancabilmente in un’intera vita.
Esther Safran Foer nacque in Polonia nel 1946 e dopo aver trascorso i primi anni in un campo per profughi in Germania, con la famiglia giunse in America nel 1949 dove vive tutt’oggi. Per alcuni anni è stata a capo del centro di cultura ebraica Sixth & I di Washington. La sua vita è trascorsa, scrive, tra silenzi e sconvolgenti rivelazioni già dall’emissione del suo certificato di nascita, errato nel giorno della nascita, della citta, della nazione. Come mai un errore così evidente? Tante domande alle quali con il tempo proverà, ormai adulta, a dar risposte.
“La mia infanzia è stata piena di silenzi, punteggiati di tanto in tanto da rivelazioni sconvolgenti. I miei genitori erano restii a parlare del passato e io avevo imparato ad aggirare gli argomenti delicati. “
Dopo la pubblicazione del libro Ogni cosa è illuminata del figlio Jonathan nel quale parte della sua storia familiare è stata riscritta divenendo un bestseller internazionale e un film, qualche altra vicenda è venuta alla luce. Sentire il richiamo della verità, delle proprie radici per chi è un sopravvissuto è un dovere nei confronti di chi non è rimasto in vita e nei confronti di chi nega gli orrori di Auschwitz. La storia è pubblica ma la memoria è personale, scrive Esther, e gli ebrei hanno sei sensi: tatto, gusto, vista, odorato, udito, memoria.
“Le storie tramandate da una generazione all’altra influiscono sul nostro comportamento, ma non è dato stabilire se suscitino un desiderio di saperne di più o di mettere a tacere il passato.“
Trochembrod, oggi Ucraina occidentale, allora era Polonia orientale, “una parte del mondo passata di mano otto volte tra il 1914 e il 1945”. Una città prospera, fiorente, la cui popolazione era composta al novantanove per cento di ebrei. Quando arrivarono i tedeschi nel 1941 gli abitanti non si fecero prendere dal panico, ricordando che durante la Prima guerra mondiale erano stati protetti. Vennero invece radunati nel centro del paese, in fila condotti alle fosse, svestiti e fucilati duecento di loro alla volta. La ricerca dei suoi cari ha portato Esther in luoghi di se stessa che l’avevano spaventata fin da piccola. Dissotterrare i ricordi della madre e del padre che le sfuggivano era divenuto il suo compito, con la responsabilità di mantenere vivo il passato. Nel 1949, dopo gli anni nel campo profughi, trascorsi come apolidi e sentendosi ancora una volta minacciati in quanto ebrei, riuscirono a imbarcarsi su di una nave per l’America, una nave militare da carico piena di profughi in partenza dalla Germania per New York.
In quel momento gli Stati Uniti non avevano aperto agli ebrei rifugiati, nonostante migliaia di nazisti venissero accolti. In America si poteva entrare solo se vi era un garante sul posto che potesse ospitarli offrendo loro vitto e alloggio. Fu così che un cugino americano si prese carico della sua famiglia. I parenti americani non fecero mai domande e non volevano sentirsi raccontare cosa fosse successo in Europa. Per la bambina Esther l’America fu subito bibite gassate e frutta fresca: meraviglie americane. Dopo poco più di tre mesi dal loro arrivo il padre si suicidò.
"Non so molto dell’istruzione di mio padre, né della sua vita prima della guerra o dei sogni che aveva. Mi meraviglio come sia riuscito a destreggiarsi così bene in una nazione nuova, con una nuova lingua, con il peso enorme che si portava dietro."
Esther aveva solo otto anni e la storia del padre è rimasta un enigma nella sua vita. La sua morte confluì nel canone delle storie famigliari irraccontabili, destinate a rimanere sepolte nel passato. Un suicidio come i suicidi illustri di Primo Levi, Paul Celan, Jean Amery, un uomo tormentato dal passato che portò con se alcune verità: chi lo avesse salvato durante la Seconda guerra mondiale, chi erano la sua prima moglie e sua figlia uccise dal nazisti, e dove fossero sepolte. Troppo dolore e troppi punti oscuri per cui Esther ha viaggiato in lungo e in largo per il mondo a raccogliere racconti e ricordi, creando una rete internazionale tra i sopravvissuti e testimoni degli orrori di Trachimbrod. La storia del suo commuovente viaggio fisico e interiore, alla ricerca della memoria storica che l’ha condotta nel suo passato, è tutta qui in questo suo libro. Esther infine ha ripercorso il tragitto dei suoi avi, caricati sui carri e portati alla morte dai nazisti, e dove erano le fosse comuni, oggi monumento commemorativo, ha deposto una lettera per far loro sapere “voglio sappiate che ci siamo ancora”.
Voglio sappiate che ci siamo ancora. La memoria dopo l'Olocausto
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