Walter Benjamin
- Autore: Maria Luisa Bachis
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
“Walter Benjamin. Linguaggio. Traduzione. Tradizione” (Firenze Atheneum, 2000) di Maria Luisa Bachis è un saggio che rende omaggio alla figura poliedrica di Walter Benjamin, “pensatore vissuto a cavallo tra i due conflitti mondiali” ma di cui il pensiero è attualissimo.
Diviso in tre macro capitoli che a loro volta contengono dei micro paragrafi, il testo di Maria Luisa Bachis focalizza gli studi letterari, la passione per la traduzione e l’attenzione per taluni aspetti ed elementi ebraici presenti in scrittori quali Kafka della figura del primo tedesco che tradusse Proust, saggista, scrittore, filosofo, critico letterario, ebreo egli stesso. Partendo dal linguaggio come l’atto creativo più importante di Dio:
“Dio crea il mondo mediante la Parola-Verbo e, nel nome, Dio salva le cose custodendole. I tre momenti Nome-Verbo-Nome tracciano il mondo secondo un cooperare armonico, dove tutto si svolge in un ’Aperto Silenzio’”.
Benjamin riconduce quindi la nascita della lingua umana al momento in cui avviene la nominazione delle cose da parte di Adamo. In tal senso, l’uomo si fa ponte, come dice l’autrice, tra Dio e il creato. La nominazione da parte dell’uomo però non è solo lingua/linguaggio ma è soprattutto ESSENZA/ESSERE SPIRITUALE. Benjamin così riprende in chiave religiosa gli studi linguistici di Ferdinand De Saussure sul significato e significante della parola, teoria linguistica più materialista.
Il secondo capitolo del saggio breve di Maria Luisa Bachis affronta la formazione delle lingue diverse che avviene dopo Babele quando “il Nome si fa Parola e assume una pluralità di sensi”; la Traduzione come “semplice comunicazione di significati diversi per rendere comprensibile a un lettore-ricettore un’opera, un testo, che scritto in una lingua a lui estranea non gli consente di accedervi"; e il compito del traduttore visto come un poeta che deve cogliere l’inafferrabile.
Il passaggio alla tradizione è spiegato nel terzo capitolo attraverso il cultursionismo mitteleuropeo, che propugnava una letteratura nazionale ebrea senza una lingua nazionale, di cui l’esempio più emblematico è Franz Kafka, ebreo occidentale, uomo senza radici, senza memoria e senza tradizioni, che con grande difficoltà ha ricostruito in se stesso l’unità del tempo storico ritrovando il passato della cultura nazionale ebraica, esprimendola in lingua tedesca.
Walter Benjamin prende Kafka a modello di quell’esistenza nomade intimamente radicata nella vita dell’ebreo ma sradicata dalla vita reale in un’esistenza “diasporadica” che segna da sempre il destino del popolo ebraico. Walter Benjamin si toglierà la vita il 26 settembre 1940 al confine franco-spagnolo, mentre fuggiva negli Stati Uniti, la sua è quella “di un nomade in cammino nel deserto del pensiero occidentale, di un Angelus Novus”, che come il quadro di Paul Klee, esposto al museo nazionale di Gerusalemme, è in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo.
“Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, e le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto”.
Il viso rivolto al passato ma la tempesta che spira dal paradiso lo spinge irresistibilmente verso il futuro.
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