Yoga
- Autore: Emmanuel Carrère
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2021
L’ultimo libro di Emmanuel Carrère, Yoga, pubblicato in Italia da Adelphi (2021, trad. L. Di Lella e F. Scala), è il libro ideale per chi non vuole sapere cosa sia lo yoga. L’opera era stata ideata come un opuscolo acuto e accattivante sul significato e i benefici della meditazione, che l’acclamato scrittore francese pratica da anni, ma essa ha preso un’inevitabile deriva autoreferenziale, attrattiva e troppo lusinghiera per un autore che da sempre ama inserirsi almeno come testimone delle vicende che narra.
Dopo essersi addentrato nelle vite altrui, per citare le due più celebri, quella del criminale francese Jean Claude Romand (L’avversario, Adelphi, 2013) o del dissidente russo Eduard Limonov (Limonov, Adelphi, 2012), nella sua ultima opera approda alla propria, scrivendo un doloroso memoir.
Carrère costruisce una narrazione di sé con l’urgenza emotiva di riavvolgere il nastro dei suoi anni più recenti, cercando di capire i nessi che ne hanno legato gli eventi. Recuperando una serie di appunti su un seminario di meditazione a cui aveva partecipato, ha l’abilità di trasformarli in un vorticoso e sofferente viaggio nella propria interiorità. Allinea ricordi cronologicamente e tematicamente sconnessi ma che, con incredibile fluidità, si rivelano estremamente coesi, per il semplice fatto di essere stati vissuti ed elaborati dalla stessa persona.
Carrère, con la sua personalità spigolosa e intrattabile, abituato a sguazzare in un mare di lodi incondizionate che è perfettamente consapevole di meritare, ben si adatta allo stereotipo dello scrittore borghese e narcisista, tanto in voga anche tra i colleghi oltreoceano. Eppure, è impossibile non provare empatia per lui quando si mette a nudo con disarmante onestà e soprattutto con innegabile talento.
Yoga ha il ritmo incalzante che tutti i romanzi almeno mediocri possiedono, ma a cui solo la migliore autofiction può aspirare. L’attualità (l’attentato terroristico a Charlie Hebdo e gli hotspot per migranti nell’isola di Leros) si fonde inestricabilmente con la storia personale dello scrittore, dai momenti di estasi durante il sesso agli abissi della depressione. Al "disturbo bipolare di tipo II" che gli viene diagnosticato e ai mesi trascorsi in ospedale psichiatrico è dedicata la parte più intensa del libro, Storia della mia pazzia, in cui l’autore parla con straziante lucidità dei gravi problemi di salute mentale che ha dovuto affrontare e la sua difficoltosa guarigione, fatta di scoramento e ricadute e ottenuta più grazie al litio che alla respirazione sullo zafu.
Quando si parla di un memoir, è inevitabile sottolineare il coraggio e l’onestà con cui lo scrittore decide di svelare i retroscena più vili o tragici della sua patinata vita di successo e talento: io stessa l’ho ricordato poche righe fa. Dello stesso parere non è l’ex moglie di Carrère, Hélène Devynck, che a Vanity Fair Francia ha pesantemente accusato lo scrittore di averla inserita nel libro senza il suo consenso.
"Questa storia, presentata come autobiografica, è falsa, organizzata per servire l’immagine dell’autore e totalmente estranea a ciò che la mia famiglia ed io abbiamo passato al suo fianco".
Con queste parole si esprime Devynck alla rivista. Ci troviamo davanti a un antico dilemma: è necessario, o meglio, è giusto separare l’arte dall’artista? È etico incentivare e apprezzare un prodotto artistico oggettivamente di qualità, ma moralmente discutibile a causa della condotta dell’autore?
Senza la pretesa di rispondere a queste domande — che, non lo nego, mi mettono in difficoltà —, mi limito a dire che se giuridicamente e moralmente è legittimo perseguire lo scrittore, invece, per la letteratura la menzogna non è un disvalore, anzi è linfa vitale. Non mi importa se Carrère mi ha preso in giro per trecentododici pagine; non si legge per la verità. Ogni volta che si apre un libro, si accetta di essere ingannati ed è la frode più bella che si possa subire. La scrittura è per necessità finzione perché, quando si ordinano e interpretano pensieri ed eventi su carta, si attua inevitabilmente un’alterazione della realtà, che, al contrario, è sempre torbida e priva di significato.
La finzione in Carrère è solo più raffinata, innestata sulla verità e indistinguibile da essa. O forse anche il ceppo originario di tutto è pura invenzione e questa vita di tormento e gloria che lo scrittore definisce sua è un ennesimo collage di esistenze altrui. Ogni buon lettore, però, sa stare al gioco e non cerca, come un investigatore, di tracciare confini, giudicare, catalogare: vuole solo immergersi nelle parole degli altri per cercare un po’ della propria voce.
Io, di certo, so stare al gioco. E così quando Carrère descrive, quasi con misticismo, il sorriso della pianista Martha Argerich che suona la polacca Eroica di Chopin, io ho cercato il video su YouTube e ho aspettato con ansia il minuto 5’ 30’’ per quel sorriso, che esiste davvero ed è meraviglioso.
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