Zero K
- Autore: Don DeLillo
- Genere: Fantascienza
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2016
Ci si aggira in un’atmosfera rarefatta, contrassegnata da un profondo senso di stasi quando si scorrono le pagine di “Zero K” di Don DeLillo. Un libro enigmatico che, dietro la falsa veste di un romanzo fantascientifico, nasconde un’interrogazione sulle cose ultime; una storia dalla trama fragile che, più che della frammentarietà del vivere contemporaneo, diventa approssimazione progressiva a un limite, quello imposto dalla finitudine umana, che si staglia netto all’orizzonte.
Ross Lockhart, sessantacinque anni, sguardo intenso, magnate della Grande Mela “forgiato dai soldi”, dopo aver speculato per una vita sulla vita stessa, ha deciso di diversificare i suoi investimenti e di gettarsi in un’impresa visionaria: Convergence, un centro di ricerche internazionale dove si pratica la “sospensione criogenica”, una tecnica di congelamento dei corpi che, con un artificio frutto della miglior tecnologia, consente di attendere fin quando, in un futuro indefinito, sarà possibile debellare le malattie e il decadimento fisico, annullare le cause che provocano la morte e riportare in vita mente e corpo di chi si è sottoposto a un esperimento dall’esito ancora incerto.
È però Jeffrey, figlio di primo letto di Ross e voce narrante del libro, a dar conto di una vicenda dove il padre è piuttosto parte in causa del macabro gioco del posticipo dell’ora estrema; gli ha chiesto, infatti, di stargli vicino durante l’ibernazione di Artis, la sua seconda moglie, la prima della coppia a sottoporsi al trattamento.
Jeffrey, dunque, è stato convocato a Čeljabinsk, Kazakhstan. Il centro di ricerca dove è ambientata la prima parte del libro è un non-luogo algido e spettrale: un complesso, in gran parte sotterraneo, oltremodo distante dalla civiltà, fatto di “costruzioni cieche, mute e tetre, dotate di finistre invisibili”, popolate da scienziati e santoni di ogni parte del mondo, impegnati a elaborare una nuova Weltanschauung, oltre che di facoltosi pazienti.
Tutti sono consapevoli che quel luogo, dalla conformazione così singolare, è l’anticamera in cui ci si approssima ai molti, scomodi, limiti. Artis, quasi ironicamente, lo considera una forma di land art; Ross, pur convinto che sia la cornice fisica dove si compie una missione comune, uno spazio mistico dove aleggia “un senso di riverenza, uno stato di stupore”, la sede dove si pratica una religione tutta nuova – “ritornare alla terra, riemergere dalla terra” -, sa bene che lì “puoi dimenticarti come ti chiami”; Jeffrey, animato da una curiosità quasi morbosa, attraversa desolati corridoi dove è “tutto senz’audio”, incontra manichini decapitati e altri residui di esperimenti falliti, diviene presto consapevole che nella vita ordinaria “ci nascondiamo dal tempo”.
Questa condizione di sospensione, di epochè, è funzionale all’interrogazione, filosofica o esistenziale che sia.
“Cos’è l’io? (...) Ma si è davvero qualcuno senza gli altri?”
“La morte non è forse una fortuna? Non definisce il valore della nostra esistenza, di minuto in minuto, di anno in anno?”
“Che sarà della storia? Che sarà dei soldi? Che sarà di Dio?”
È stato scritto nelle pagine web di una testata autorevole che Don DeLillo in “Zero K” non cede nulla dei propri personaggi ai lettori. È un giudizio superficiale: l’autore, infatti, mostra i suoi personaggi dall’inconsueta prospettiva dei ricordi. Jeffrey durante il soggiorno non potrà fare a meno di ripensare all’abbandono di suo padre, a quel che di lui gli raccontava sua madre, a quanto sia stato difficile ricucire un rapporto posticcio con quell’individuo estraneo, forse anche a sé stesso, che aveva scelto di cambiare il proprio nome.
Artis, ibernata e racchiusa in un guscio, in un climax che spezza l’intera narrazione, riflette su se stessa e non può fare a meno di riconoscere che “io sono chi ero”. Chiusi gli occhi, raffreddato il corpo, conosce solo la parola e la conosce dal nulla
“Lei conosce queste parole. Lei è solo parole, ma non sa come uscire dalle parole ed essere qualcuno, essere la persona che conosce quelle parole. (...)
Lei è prima e terza persona insieme”
Tornato all’ordinarietà, Jeffrey ne assapora tutta l’inconsistenza: colloqui di lavoro fasulli, per posizioni dove, al di là delle mansioni, rimarrà sempre “Il Figlio”, un’incerta liason amorosa con Emma madre adottiva di Stak, un ragazzo strambo che porta i segni evidenti di sradicamento, apostrofa gli sconosciuti nella lingua delle sue origini e trova sicurezza solo nei rigidissimi schematismi che si autoimpone.
“Tutti vogliono possedere la fine del mondo”
così recita l’apodittico aforisma che apre “Zero K”. Se si decide di dar corso a questa smania di possesso le strade percorribili sembrano, qui, essere due: da un lato “la natura morta del futuro di un padre” che, nel suo delirio di onnipotenza, realizza il destino “che succede agli uomini che si sono fatti da soli: si disfano da soli”; dall’altro il più tradizionale sacrificio religioso, rifugio ancora molto frequentato, specie da chi è costretto a perdere rapidamente certezze e origini. All’uomo della strada, a Jeffrey, rimane, oltre a un profondo senso di incomunicabilità e di solitudine, la possibilità di cogliere la meraviglia che, talvolta, può fugacemente colorare l’esistenza.
Scritto con un linguaggio scarno ed essenziale, connotato da una struttura prevalentemente ipotattica, funzionale a imprimere alla narrazione un ritmo sincopato, “Zero K”, diviso in due movimenti speculari dove incombe un pesante senso di attesa, è un romanzo che ha come vero e scomodo protagonista il tempo. Un libro insidioso e meditabondo dove Don DeLillo distilla i grandi temi della riflessione contemporanea e le ossessioni più disturbanti del nuovo millennio: l’effervescenza di idoli vecchi e nuovi (la tecnica, il denaro, la religione) comunque duri a morire, la solitudine dell’uomo moderno, l’interrogazione sul significato della vita e le possibilità, sempre più concrete ed estreme, di manipolarla.
Attenzione, questo è un libro-vertigine. Un libro per tutti e per nessuno. Per gli altri “how does it feel”.
Zero K
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Zero K
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