Zone grigie. Conformismo e viltà nell’Italia d’oggi
- Autore: Goffredo Fofi
- Genere: Politica ed economia
- Casa editrice: Donzelli
- Anno di pubblicazione: 2011
E’ vero che è tutta questione di gusti, di riconoscersi (o meno) tra le pagine chiare e le pagine scure dei libri che si leggono: a ciascuno il suo totem (senza tabù, si spera), la sua guida, il suo breviario. Ci sono quelli a uso & consumo di chi frequenta l’anima e il suo destino e quelli “laici”, buoni per ripensare al qui e ora in cui viviamo, lasciando il cielo ai passeri (se ancora ne volano) e ai dischi volanti. Superfluo dire che “Zone grigie. Conformismo e viltà nell’Italia d’oggi” (Donzelli, 2011) va annoverato tra questi ultimi. Se ci mettete anche che a stilarne i contenuti è uno degli ultimi maitre à penser sopravvissuti all’addomesticamento di massa dei cervelli, i conti dell’addizione acume+senso civico tornano alla grande. Per i nostalgici e/o i praticanti della critica militante (molto pochi, in verità) Goffredo Fofi è più o meno come Pirlo nella Juventus attuale: molto più che un semplice punto di riferimento, piuttosto un guru, un faro, una guida, un approdo e una ripartenza insieme e “Zone grigie” è la summa aggiornata del suo pensiero (di Fofi, mica di Pirlo).
A proposito di critica & militanza, per esempio, ci sarebbe quanto meno da mandare a memoria quando si legge a pag. 129/130, in un paragrafetto intitolato “Miseria e necessità della critica”. State a sentire:
“Guardando più da vicino, cos’è diventato oggi il critico letterario o cinematografico, teatrale o d’arte? (…) In questo meccanismo economicamente così rigido e diviso, dove sta la sua libertà, la sua capacità di farsi, come si diceva una vola “critico militante”, militante della cultura necessaria? (…) far critica a questo punto non è soltanto spiegare o discutere un libro, un film, un concerto, una mostra; è ampliare il quadro, è ricollocare le opere nel loro contesto (anche di mercato), è vederne e svelarne quasi sempre la superfluità e serialità e la funzione di anestetizzante dei bisogni veri del fruitore, è porsi domande molto più generali a monte della “semplice” recensione, è spiegare a se stessi e al lettore (e all’autore) la ragnatela del contesto”
Amen e se non avete preso appunti peggio per voi. Di riflessioni di tale portata - estese agli ambiti della cattiva politica, della dittatura delle merci, del fine-vita, della lotta alla mafia, del cerchiobottismo intellettuale e di sinistra - sono disseminate le pagine di “Zone grigie” e, un po’ come i sassolini nel bosco della favola di Pollicino, dovrebbero servire a farci ritrovare il perduto sentiero di casa, là dove dovrebbero dimorare pensiero libero e civiltà. Non fosse che per il conformismo e la viltà (come recita benissimo il sottotitolo del libro) che ci avvincono tutti come l’edera di nillapiziana memoria. E per chi stesse ancora interrogandosi su cosa diavolo stiano a rappresentare ’ste benedette zone grigie, bastino da sole, ancora una volta, le parole di Fofi:
“Siamo in presenza di tre culture: la cultura della destra, la cultura della “zona grigia” e la cultura di infime minoranze non-consenzienti. La cultura di sinistra è morta da tempo. Per fortuna la zona grigia è fatta di cento sfumature. Ma sempre grigia è, nella sua dominante: la zona di chi vede solo con gli occhi del “particolare” e si lascia volentieri dirigere da altri”.
Lapalissiano nella sua crudeltà analitica, non vi pare?
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