Immagine di copertina Credits: Claude Truong-Ngoc / Wikimedia Commons - cc-by-sa-3.0, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons
Si è spento nelle prime ore di oggi, 30 maggio, lo scrittore triestino di nazionalità slovena, Boris Pahor. Aveva 108 anni ed era considerato una delle voci più significative della Resistenza.
Pahor era stato diretto testimone dei totalitarismi del Novecento: aveva conosciuto il fascismo a Trieste e vissuto sulla propria pelle l’internamento nei campi di concentramento tedeschi.
Nato nel 1913, era uno tra gli ultimi testimoni viventi del rogo fascista del Narodni Dom avvenuto a Trieste il 13 luglio 1920.
Scopriamo più nel dettaglio la vita, le opere e il lascito testimoniale di questo grande scrittore.
Chi era Boris Pahor, lo scrittore italo-sloveno
Nato il 26 agosto 1913 nella Trieste asburgica, quando la città ospitava la comunità slovena più numerosa in assoluto, Boris Pahor aveva vissuto in prima persona il passaggio sotto la giurisdizione del Regno d’Italia.
La sua vita, sin dall’infanzia, era stata una battaglia. Pahor era infatti sopravvissuto al flagello dell’epidemia di Spagnola.Terminata la terribile pandemia influenzale venne lo spettro del fascismo e iniziarono anni ancora più difficili.
Al giovane Pahor fu sottratta la lingua madre, perché il fascismo aveva fatto chiudere le scuole slave. Il regime di Benito Mussolini voleva estirpare l’identità agli esponenti delle popolazioni slave e slovene.
Boris Pahor difese la propria identità culturale di nascosto, clandestinamente, coltivandola come un segreto. Combatté durante la guerra in Libia, poi venne in Italia dove lavorò come interprete degli ufficiali jugoslavi prigionieri. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 fece ritorno nella natia Trieste. Ma le sue pene non erano ancora finite. Pahor pagò l’adesione alla Resistenza con l’arresto e la deportazione nei lager nazisti.
Nel 1944 scontò la propria pena, in quanto traditore della patria, con la reclusione in diversi lager, in Francia e in Germania. Fu la sua conoscenza delle lingue, probabilmente, a salvargli la vita. Pahor era infatti in gradi di fare da interprete e di comunicare con gli slavi. Così gli furono risparmiati i lavori più pesanti e manuali che l’avrebbero condotto in breve tempo alla morte.
Riuscì a sopravvivere e trasformò la propria vita in testimonianza attraverso la scrittura. Il suo capolavoro è considerato il romanzo Necropoli, nel quale Pahor restituisce, con una scrittura affilata e chirurgica, uno dei periodi più agghiaccianti della storia mondiale. Il libro, che narra gli anni vissuti nei campi di concentramento di Natzweiler, Markirch, Dachau, Nordhausen, Harzungen e Bergen-Belsen, lo rese famoso in Italia nel 1997.
Tra i molti onori che gli furono tributati in vita ci fu anche la candidatura al premio Nobel per la Letteratura.
Fu decorato della Legion d’honneur francese e della più alta onorificenza della Repubblica di Slovenia. Il 13 luglio 2020 il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, conferì a Boris Pahor l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Boris Pahor: le opere
Boris Pahor ha scritto una trentina di libri tradotti in decine di lingue, tra i più importanti ricordiamo alcuni titoli pubblicati in Italia:
- Qui è proibito parlare (Fazi editore): narra della campagna di pulizia etnica che fu messa in campo in seguito all’annessione di Trieste al Regno d’Italia. In questo clima, così cupo e oppressivo, che la giovane slovena Ema si aggira piena di rabbia in una luminosa estate degli anni Trenta.
Qui è proibito parlare
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- Necropoli (Fazi editore): nell’incipit del romanzo viene descritto il campo di concentramento di Natzweiler-Struhof sui Vosgi. L’uomo che vi arriva, una domenica pomeriggio insieme a un gruppo di turisti, non è un visitatore qualsiasi: è un ex deportato che a distanza di anni è voluto tornare nei luoghi dove era stato internato.
Necropoli
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- Il rogo nel porto (La nave di Teseo): con gli occhi di Branko ed Evka, due bambini di origine slovena che crescono nella Trieste del primo dopoguerra, Boris Pahor ripercorre con l’arte del racconto uno dei capitoli più drammatici della storia europea del Novecento.
Il rogo nel porto
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- Oscuramento (La nave di Teseo): Radko Suban è un giovane triestino di origine slovena che, nell’autunno del 1938 sentendosi inadeguato, sbagliato e incompreso abbandona il seminario e una strada già decisa per partire in cerca di se stesso.
Oscuramento
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- Una primavera difficile (La nave di Teseo): Siamo nel maggio 1945, Radko Suban è un reduce sloveno dall’orrore dei campi di concentramento nazisti. Le sofferenze del lager hanno segnato il suo corpo, indebolito dalla tubercolosi, ma non hanno piegato il suo spirito, alimentato dalle sue letture.
Una primavera difficile
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- La città nel golfo (Bompiani): nel 1943, nell’Italia occupata dai nazisti, uno studente in Legge sloveno Rudi getta la divisa e si rifugia sui monti. Preso il treno per andare verso la sua città natale, incappa in un commando di tedeschi a cui sfugge miracolosamente trovando rifugio in campagna. È qui che viene accolto dalla diciottenne Vida, una ragazza sognante, cui racconterà la sua storia.
La città nel golfo
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Il critico letterario francese Jean-Luc Douin ha accostato il nome di Pahor a quello di grandi autori della letteratura concentrazionaria europea del Novecento, come Primo Levi e Robert Antelme.
Le sue opere erano state elogiate anche dallo scrittore e giornalista italiano Claudio Magris, che in proposito scrisse:
Nelle opere di Pahor ci si confronta non solo con la violenza fascista e l’orrore nazista, ma anche con il frequente disconoscimento agli sloveni di elementari diritti e di identità triestina a pieno titolo e col conseguente muro di ignoranza che ha separato a lungo gli italiani dalla minoranza slovena, privando entrambe le comunità di un essenziale arricchimento reciproco.
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Era considerato lo scrittore del Secolo. Tra i suoi ultimi romanzi ricordiamo Così ho vissuto. Biografia di un secolo pubblicato da Bompiani in cui Pahor, con l’aiuto della curatrice Tatjiana Rojc, racconta la sua crisi esistenziale, l’esperienza della guerra in Africa, l’adesione al fronte di liberazione sloveno e la conseguente deportazione nei lager, il difficile ritorno alla libertà e alla vita. Un racconto etico e vivo, denso di avvenimenti e aneddoti che seguono un tracciato cronologico mai scontato, in cui l’autobiografia si intreccia alla storia di una città di frontiera, crocevia di uomini e di mondi, Trieste.
Ci sono uomini che si credono eterni, personaggi scomodi e assoluti che diventano riflesso di un’epoca, eppure dobbiamo rassegnarci al loro migrare nel grande ciclo della vita.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Addio a Boris Pahor, lo scrittore italo-sloveno candidato al Nobel
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