“La morte non esiste”, scriveva Boris Pasternak nel suo libro-capolavoro Il dottor Zivago. Il grande scrittore russo faceva riferimento al presagio della vita eterna, a una nuova esistenza sul punto di iniziare. Sul frontespizio del manoscritto cominciato nel 1945 aveva scritto a grandi lettere: “Non ci sarà la morte”, proprio quel titolo enigmatico segnava l’incipit della prima bozza del Dottor Zivago , romanzo che avrebbe assicurato al suo autore un posto immortale nel regno dell’Olimpo letterario.
In una celebre pagina del libro di Pasternak possiamo ritrovare il chiaro riferimento a quel titolo provvisorio che l’autore aveva tracciato al principio del manoscritto:
La morte non esiste. La morte non riguarda noi…non vi sarà morte, perché questo è già stato visto, è vecchio, ha stancato, è ora di qualcosa di nuovo e il nuovo è la vita eterna.
“Non ci sarà la morte”. La genesi dell’intera opera partiva proprio da quella frase e dalla certezza inscalfibile che solo attraverso la scrittura - e il conseguente travaglio creativo da essa generato - avrebbe toccato la dimensione più autentica della vita.
Boris Pasternak morì a Peredelkino il 30 maggio 1960, sconfitto da un cancro ai polmoni. Morì felice, anche se la frase stessa appare di per sé un ossimoro. Questo comunque quanto scrisse il giornalista russo Il’ja Grigor’evič Ėrenburg riportando la notizia della morte dello scrittore sovietico che aveva rifiutato il premio Nobel:
Pasternak morì contento, perché, almeno al di fuori della Russia, aveva pubblicato Il Dottor Zivago, e perché pensava di avere ragione.
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Aveva esaudito il “sogno fisico di un romanzo”: l’opera si era compiuta dopo una gestazione durata oltre undici anni. Con la parola “fine” tuttavia la storia del Dottor Zivago era appena iniziata, infatti il mastodontico romanzo (oltre settecento pagine, Ndr) ebbe una storia editoriale travagliata. Fu colpito dalla censura sovietica che tentò in ogni modo di distruggerlo facendo sparire ogni traccia del manoscritto. Il libro tuttavia fu conservato grazie a una complessa procedura di salvataggio che consentì di esportare il manoscritto all’estero. La pubblicazione in Russia sarebbe avvenuta soltanto nel 1988, oltre vent’anni dopo la morte dell’autore.
Il dottor Zivago fu l’unico romanzo di Boris Pasternak che nella sua patria, la Russia, era principalmente riconosciuto come poeta.
Nella sua ultima raccolta poetica Pasternak raccontava proprio la morte, in particolare il processo di rinascita che consegue la dipartita da questo mondo. Del resto non era la prima volta che lo scrittore russo “moriva”, come dimostra un’intensa poesia dal titolo All’ospedale, di cui riportiamo testo e analisi.
All’ospedale di Boris Pasternak: testo
Restavano lì come davanti a una vetrina,
dilagando su tutto il marciapiede.
Poi la barella fu issata sulla macchina
e balzò nella cabina il portantino.E il pronto soccorso sgusciando
Fra marciapiedi, posteggi, perdigiorno,
e fra il trambusto della strada notturna,
si tuffò con i fari nelle tenebre.Vigili, vie, visi
balenarono alla luce del faro.
Barcollava l’infermiera
con la boccetta dell’ammoniaca.Pioveva e nella sala dell’accettazione
squallidamente crosciava lo scolatoio,
mentre una riga sotto l’altra
scarabocchiavo il modulo.Lo sistemarono presso l’entrata.
Tutto l’edificio era pieno.
Esalazioni di iodio che stordivano,
e, dalla strada, folate di vento alla finestra.La finestra ritagliava in un quadrato
una parte del giardino e un lembo di cielo.
Alle corsie, all’impiantito, ai camici
s’abituava lo sguardo il nuovo arrivato.Quando, d’un tratto, dalle domande dell’infermiera,
da quel suo scuotere la testa,
capì che da quella storia
difficilmente sarebbe uscito vivo.Allora dette uno sguardo grato
alla finestra dietro cui il muro
era come illuminato
d’una scintilla d’incendio dalla città.Là, nel bagliore, rosseggiava la barriera,
e nel riverbero della città, un acero
con un ramo contorto si sprofondava
davanti al malato in un inchino d’addio.“O Signore, come sono perfette
le tue azioni”, pensava il malato.
“I letti e gli uomini, e le pareti,
la notte della morte e la città di notte.Io ho preso una dose di sonnifero,
e piango tormentando il fazzoletto.
O Dio, lacrime d’emozione
m’impediscono di vederti.M’è dolce, alla luce opaca
che cade appena sul letto,
riconoscere me e la mia sorte
come un inestimabile dono.Morendo in un letto d’ospedale,
sento il calore delle tue mani.
Mi tieni come un tuo prodotto,
e mi riponi come un anello nell’astuccio.
All’ospedale di Boris Pasternak: analisi e commento
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Boris Pasternak scrisse All’ospedale un anno prima di morire, nel tentativo di immortalare - come attraverso un fermo immagine - un’esperienza autobiografica.
Il 20 ottobre 1952 infatti il poeta fu colpito da un infarto e ricoverato presso l’ospedale di Mosca. Fu la sua prima esperienza di morte, come in seguito avrebbe raccontato, un percorso quasi mistico. Proprio nell’ospedale di Mosca, in quell’istante che immaginava essere l’ultimo della sua vita, Pasternak sentì una specie di comunione con Dio e con l’essenza di tutte le cose. Da quella sensazione estrema e vitale nacque la poesia All’ospedale che parlava appunto della morte come un processo di rinascita e di comunione con l’eterno.
Quel fatidico 20 ottobre il poeta fu fatto stendere su una brandina nel corridoio dell’ospedale, per mancanza di posti. Doveva essere un’esperienza terribile, Pasternak era colto da nausee e scosso da frequenti conati di vomito; eppure il suo sguardo era colmo di gratitudine. In quella traballante brandina nell’ospedale di Mosca, in un corridoio affollato che doveva essere molto simile all’inferno, aveva ritrovato la pace. In quegli istanti drammatici gli occhi del poeta cercano di afferrare ogni frammento del visibile, si appigliano con famelica voracità a ogni brandello di vita.
Nel componimento Pasternak racconta proprio queste sensazioni tracciando la struggente descrizione, carica di umanità, dei pensieri di un moribondo. Protagonista della lirica è infatti un uomo che sta per esalare l’ultimo respiro ed entra in uno stato di profonda unione con l’esistente: con affanno cerca di afferrare ogni cosa, riconoscendo d’improvviso la propria vita come un dono inestimabile. È in questo momento che l’uomo parla con Dio, ma non per rivolgergli preghiere vane o appelli di salvezza; parla al Creatore, invece, con la gratitudine riconoscente di un figlio.
Nel finale il poeta afferma di sentire delle mani calde che sembrano avvolgerlo in un abbraccio per riporlo, infine, al suo posto come dentro a un astuccio. Con la metafora dell’astuccio Pasternak sembra ribadire il ruolo dell’uomo, che in fondo non è altro che uno strumento, un utensile, forgiato da dita divine. Il riferimento alla vita eterna è appena accennato, eppure pervade l’intero componimento con una preziosa aura di beatitudine.
La gratitudine è, nella conclusione, più forte del rancore, più forte persino del dolore provato. Ciò che resta, alla fine, è un oceano di gratitudine che si riversa negli occhi opachi, ma celesti, del malato che dà il suo congedo all’arcano mondo del visibile.
La lirica sarebbe stata inserita nell’ultima raccolta del poeta Quando si rasserena (Kogda razguljaetsja nell’originale, Ndr), pubblicata a Parigi nel 1959. Boris Pasternak sarebbe morto l’anno seguente, sul finire del mese di maggio, annientato da un cancro ai polmoni. Gravemente malato, isolato ed emarginato dal mondo letterario dell’epoca, lo scrittore approda a una verità inattesa che rende manifesta tramite il linguaggio poetico. Quell’ultima raccolta di poesie appare come il suo testamento spirituale.
L’edizione italiana di All’ospedale è contenuta in Autobiografia e nuovi versi (Feltrinelli, 1959), curata da Bruno Carnevali e Mario Socrate.
Quelli custoditi nell’ultima silloge di Pasternak sono canti colmi di un incanto indefinibile, come pervasi dal contatto con un’altra dimensione, che non è visibile eppure c’è.
Sono versi scritti in una specie di stato di grazia, in cui il poeta dimostra di saper cogliere - persino nel mezzo del periodo più tumultuoso e torbido del Novecento - la bellezza indefinibile dell’esistenza.
È come se il grande scrittore russo attraverso la poesia cercasse di afferrare una verità sfuggente, un lampo destinato a svanire di cui tuttavia intende protrarre, mediante le parole, il ricordo imperituro.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “All’ospedale”, l’ultima poesia di Boris Pasternak
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