Il 24 agosto 1899 nasceva a Buenos Aires, in Argentina, lo scrittore e poeta Jorge Luis Borges, considerato il precursore del Post-modernismo.
La scrittura di Borges è una continua contaminazione di generi letterari - dalla poesia, alla prosa, al saggio - in un intrecciarsi di citazioni bibliografiche dal sapore sapienziale. La visione della letteratura dello scrittore argentino fu spesso accostata all’immagine di un “labirinto” in cui continuamente l’uomo-narratore demolisce e ricostruisce la propria realtà o, meglio, la propria visione di realtà.
Il fine ultimo della produzione di Borges è quasi sempre la meditazione interiore dell’autore e dei lettori.
Nel 1938 Borges fu colpito da una grave malattia agli occhi, la retinite pigmentosa, che lo condusse alla quasi totale cecità all’età di cinquantacinque anni. Il poeta non vedente, novello Omero, compose i suoi versi più meravigliosi proprio negli anni Sessanta del Novecento come se avesse avuto accesso a una nuova dimensione dell’esistente. Diceva che il buio era dolce, poiché conteneva una parvenza di eternità. In quella penombra appena sfumata in perenne declinare, il poeta coglieva un segreto centro, simile a “una dolcezza, un ritorno”.
Nel 1964 Borges scrisse Otro Poema de los Dones tradotto in italiano come Altra poesia dei doni, un appassionato canto esistenziale che celebra la vita sul modello del celeberrimo Song of Myself (Canto di me stesso, Ndr) di Walt Whitman.
Scopriamone testo, analisi e commento.
Altra poesia dei doni di Jorge Luis Borges: testo
Ringraziare voglio il divino
labirinto degli effetti e delle cause
per la diversità delle creature
che compongono questo singolare universo,
per la ragione, che non cesserà di sognare
un qualche disegno del labirinto,
per il viso di Elena e la perseveranza di Ulisse,
per l’amore, che ci fa vedere gli altri
come li vede la divinità,
per il saldo diamante e l’acqua sciolta,
per l’algebra, palazzo dai precisi cristalli,
per le mistiche monete di Angelus Silesius,
per Schopenhauer,
che forse decifrò l’universo,
per lo splendore del fuoco
che nessun essere umano può guardare senza uno stupore antico,
per il mogano, il cedro e il sandalo,
per il pane e il sale,
per il mistero della rosa
che prodiga colore e non lo vede,
per certe vigilie e giornate del 1955,
per i duri mandriani che nella pianura
aizzano le bestie e l’alba,
per il mattino a Montevideo,
per l’arte dell’amicizia,
per l’ultima giornata di Socrate,
per le parole che in un crepuscolo furono dette
da una croce all’altra.
per quel sogno dell’Islam che abbracciò
mille notti e una notte,
per quell’altro sogno dell’inferno,
della torre del fuoco che purifica,
e delle sfere gloriose,
per Swedenborg,
che conversava con gli angeli per le strade di Londra,
per i fiumi segreti e immemorabili
che convergono in me,
per la lingua che, secoli fa, parlai nella Northumbria,
per la spada e Tarpa dei sassoni,
per il mare, che è un deserto risplendente
e una cifra di cose che non sappiamo,
per la musica verbale dell’Inghilterra,
per la musica verbale della Germania,
per l’oro, che sfolgora nei versi,
per l’epico inverno,
per il nome di un libro che non ho letto: Gesta Dei per Francos
per Verlaine, innocente come gli uccelli,
per il prisma di cristallo e il peso d’ottone,
per le strisce della tigre,
per le alte torri di San Francisco e dell’isola di Manhattan
per il mattino nel Texas,
per quel sivigliano che stese l’Epistola Morale
e il cui nome, come egli avrebbe preferito, ignoriamo,
per Seneca e Lucano, di Cordova,
che prima dello spagnolo scrissero
tutta la letteratura spagnola,
per il geometrico e bizzarro gioco degli scacchi,
per la tartaruga di Zenone e la mappa di Royce,
per l’odore medicinale degli eucalipti,
per il linguaggio, che può simulare la sapienza,
per l’oblio, che annulla o modifica il passato,
per la consuetudine,
che ci ripete e ci conferma come uno specchio,
per il mattino, che ci procura l’illusione di un principio
per la notte, le sue tenebre e la sua astronomia,
per il coraggio e la felicità degli altri,
per la patria, sentita nei gelsomini
o in una vecchia spada,
per Whitman e Francesco d’Assisi, che scrissero già questa poesia,
per il fatto che questa poesia è inesauribile
e si confonde con la somma delle creature
e non arriverà mai all’ultimo verso
e cambia secondo gli uomini,
per Frances Haslam, che chiese perdono ai suoi figli
perché moriva così lentamente,
per i minuti che precedono il sonno,
per il sonno e la morte,
per due tesori occulti,
per gli intimi doni che non elenco,
per la musica, misteriosa forma del tempo.
Altra poesia dei doni di Jorge Luis Borges: analisi e commento
Otro Poema de Los Dones è considerato uno dei capolavori di Borges. In queste parole dal tono appassionato e nostalgico l’autore argentino trasferì il racconto della tragedia satirica che stava vivendo in prima persona: un magnifico e acclamato scrittore, ormai cieco, viene chiamato a dirigere la più importante biblioteca del paese. La malattia agli occhi non gli permette di godere appieno della propria passione più grande: la lettura. Dunque l’Io lirico si consola trasferendo la propria immensa conoscenza bibliografica in un lungo poema che si trasforma in un viaggio attraverso le epoche. In Otro Poema des Los Dones anche la cecità, infine, appare come un dono di Dio.
La lirica è in versi liberi, non segue nessuna metrica, è un canto di gratitudine alla vita stessa immortalata nel suo perenne fluire. L’esistenza viene raffigurata nei versi nella sua essenza di labirinto: in cui le persone si alternano alle creature animali e mitologiche, i fatti reali si alternano alle storie e le storie ai sogni.
Sin dai primi versi infatti Borges presenta la vita attraverso la metafora del “divino labirinto” e segue un omaggio alla cultura greca: la bellezza di Elena di Troia e la perseveranza dell’eroe Ulisse. Anche l’immagine stessa del labirinto, del resto, era una costruzione mitologica greca: fu progettata dall’inventore Dedalo, su ordine del re Minosse, per custodire il Minotauro.
Il “divino labirinto delle cause e degli effetti” citato in apertura è il vero fulcro della poesia che ambisce a mostrare tutte le varie e multiformi sfaccettature del reale. La ragione dell’uomo, osserva il poeta, non cesserà mai di cercare di decifrare un disegno nascosto all’interno del labirinto che tuttavia è per sua natura inconoscibile.
Jorge Luis Borges non pretende di dare spiegazioni, di svelare il senso occulto della vita o di fare la morale alla specie umana. Scrive la poesia dal punto di vista di un uomo che, semplicemente, ha vissuto. Il suo è innanzitutto un canto di gratitudine per tutti i piaceri che la vita gli ha offerto: la possibilità di leggere libri di autori illuminati, di aver avuto accesso al sapere di filosofi, scienziati, monaci e, infine, un atto d’amore per la meravigliosa unicità racchiusa nell’esistente.
Nel lungo elenco Borges cita personaggi reali e immaginari in un continuo susseguirsi di immagini che segue lo stesso ordine caotico del labirinto, non segue nessuna logica: vengono citati personaggi realmente esistiti, come Socrate, accanto a eroi mitologici come Teseo. Tutto concorre a comporre un’immagine della vita e della mente del poeta, che si è nutrito di tutte queste cose, libri, immagini, pensieri.
Jorge Luis Borges fa sfoggio del suo immenso patrimonio di conoscenza bibliografica, cita personaggi de Le mille e una notte, La Divina commedia, il Fedone, Il nome di un libro che non ho letto. Intreccia i libri alla propria vicenda autobiografica: per esempio l’anno 1955 si riferisce al fatto che Borges fosse stato direttore della Biblioteca Nazionale per diciotto anni e membro dell’Accademia Argentina di Lettere. Parla anche dei suoi viaggi attraverso l’Europa: il riferimento alle monete mistiche di Angel Silicius raccontano la vicenda del poeta religioso tedesco-polacco vissuto a Bruxelles.
Fa da spartiacque, a ogni inizio strofa, la materialità degli elementi naturali. La percezione dell’esistenza viene espressa in questi versi in modo puramente umano: la vita è come un fiume che attraversa la coscienza dell’uomo. In Altra poesia dei doni Jorge Luis Borges compone un inno alla vita appassionato riversando nelle parole la dimensione più intima e profonda della propria essenza. Come a dire che ogni uomo è composto di molti altri uomini che lo hanno preceduto o affiancato e di coloro che seguiranno; perché l’umanità non muore, e la poesia è questo.
A un certo punto Borges osserva che “Whitman e Francesco d’Assisi hanno scritto già questa poesia” e prevede che altri, un giorno, la continueranno aggiungendovi le impressioni della loro esistenza, facendo sì che non si arrivi mai all’ultimo verso.
Nel finale l’identità del poeta si dissolve negli spazi occulti del “sonno e della morte”, cui rende grazie, perché essi sono necessari alla vita. Tutto si dissolve nel mistero della musica che appare come una forma enigmatica e sfuggente in cui si smarrisce il significato stesso del tempo. Il concetto stesso di tempo Borges, del resto, l’ha annullato attraverso la composizione labirintica del suo poema che ha attraversato le epoche e già sembra parlare a un futuro che pare vicino, eppure inconoscibile. Questa perenne apertura del canto lirico è di una bellezza struggente.
Ciascuno può aggiungere il proprio verso a questa poesia, rivelando il dono che gli è stato a sua volta elargito.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Altra poesia dei doni”: il canto esistenziale di Jorge Luis Borges
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Ma non è una poesia di Mariangela Gualtieri?
C’è un po’ di confusione!
No, questa poesia è di Borges. Mariangela Gualtieri ha preso ispirazione da Borges per la sua "Bello mondo": https://www.sololibri.net/bello-mondo-poesia-mariangela-gualtieri-declamata-jovanotti-testo-analisi-commento.html