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Impegno, canzoni & misantropia. Frammenti di mitologia dylaniana
Alla fine è deciso: non andrà. Bisognava aspettarselo, fa parte delle controindicazioni connesse al genio. Sfuggente, persino alla sua stessa icona. Bob Dylan non ritirerà il premio Nobel. A Stoccolma si faranno bastare un suo discorso scritto e Patty Smith che omaggerà con A hard rain’s a-gonna fall. Si tratti di opzione idiosincratica o posa radical-chic perpetuata ad arte, è tipica dell’aura dylaniana e non è poi l’aspetto più importante. Ciò che davvero conta del Nobel per la letteratura al mito di Duluth, è il senso ulteriore di cui si ammanta la menzione, riconoscendo pari dignità poetica alla canzone d’autore. In accezione meno deprezzata e più alta del termine, bene inteso. Finalmente è un dato di fatto: non sono solo canzonette. Non lo sono e non lo sono mai state. Nella sua forgia migliore la ballata di contenuto è prossima (se non intrinseca) a prosa & poesia, e ciò a dispetto di purismi e/o fariseismi di maniera o facciata. Attraverso il sinolo imprescindibile di forma e contenuto, sotto qualsiasi latitudine, quello cantautorale è stato il genere musicale che più di ogni altro è riuscito a (pro)porsi, di volta in volta, come passaparola politico, eco di sogni, megafono generazionale, contro-storia del mondo, manifesto rivendicativo, lirica tout court del secondo Novecento. Per tornare a Bob Dylan, le parole delle sue canzoni possono avvalersi, a buon diritto, dello statuto meta-musicale di pietre (rotolanti). Poesie civili. Elegia della divergenza. Ballate sentimentali, minime e massime. Anti-war song in senso traslato, e va bè questo si sa. Lasciamo perdere lo sconvolgimento del lessico, capace di scompaginare la forma di un genere letterariamente mediocre come la canzone. Fermiamoci, per un attimo, soltanto ai contenuti. Al suono, al colore, all’evocativismo, al profetismo, dei testi dylaniani. Cartina di tornasole, focus di un tempo che è scappato via sugli inni di pace (Blowin’ in the wind) e sugli incubi di guerra (Masters of war), sulla protesta (The times they are a changin’) e l’amore (Just like a woman), sul rock e sul folk (Like a rolling stone), sui diritti negati (Ballad of a thin man), sull’epica quotidiana di chi fa a pugni per difenderli (Hurricane). C’è la faccia del sogno americano fatta a brandelli nelle canzoni di Bob Dylan. Ci sono Cristo e il signor Hyde. L’accumulo e la sottrazione poetiche. La visione e la ribellione. L’antibellicismo e la profezia. Ci sono “Miss solitudine” e Mr. Tamburine man. Ci sono gli oltre 11 minuti della superlativa Desolation road. Per quanto mi riguarda un paradigma. Un manifesto dello scrivere letterario dylaniano. Un caleidoscopio di figure retoriche, una sarabanda lisergica, un incubo a occhi aperti, affollato di personaggi-simbolo, evasi dalla cronaca delle favole di nascosto. Senza ulteriori parole vi passo qualche strofa della fluviale traduzione che ne ha dato Francesco De Gregori per il suo recente Amore & furto. De Gregori canta Bob Dylan:
Il bagno turco in fondo al vicolo/ è affollatissimo di marinai/ prova a chiedere a uno che ore sono/ e ti risponderà "non l’ho saputo mai"/ girano passaporti senza foto/ e cartoline dell’impiccagione/ l’equilibrista e il commissario cieco/ vanno a braccetto col prestigiatore/ e i reparti speciali sono pronti/ il circo è già arrivato qui in città/ io e la mia signora ci affacciamo stasera/ da via della Povertà/ Cenerentola sembra così facile/ ogni volta che sorride ti cattura/ è proprio tale e quale a Bette Davis/ con i pollici infilati alla cintura/ Arriva Romeo sconsolato/ e si lamenta “la mia donna sei tu”/ ma qualcuno gli dice/ “sei nel posto sbagliato, non farti rivedere più”/e l’unico rumore che rimane/ dopo che l’ambulanza se ne va/ è Cenerentola che lava la strada/ in via della Povertà/ Adesso si nasconde la luna/ anche le stelle sono quasi nascoste/ l’indovina che legge la fortuna/ se ne sta andando con le sue risposte/ Ad eccezione di Abele e di Caino / e del gobbo di Notre Dame/ sono tutti occupati a far l’amore/ oppure aspettano la pioggia che verrà/ e il Buon Samaritano si sta cambiando/ si mette in tiro per il Gran Galà/ stasera si daranno un bel da fare/ in via della Povertà/ Einstein con un cappuccio sulla testa/ e i suoi diari dentro una cassetta/ l’hanno visto passare appena adesso/ insieme a un monaco dall’aria circospetta./ Era cosi terribile e innocente/ quando ha preso e si è fermato qui/ ad annusare i fanghi del torrente/ e a recitare l’Abc/ e a vederlo tu non lo diresti mai/ ma era famoso qualche tempo fa/ come virtuoso del violino elettrico/ in via della Povertà (…)
Bastano questi versi per restituire l’idea del grado zero in cui precipita la lingua di Dylan in Desolation road. Se il Nobel per la letteratura (“per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”), non lo dai a uno capace di scrivere così, allora non vedo a chi dovresti darlo senza poi sentirti in colpa. Per rafforzare il concetto attraverso la lapidaria anamnesi di Edmondo Berselli:
“Non credete a quelli che parlano di Woody Guthrie come suo predecessore. Dylan non ha né predecessori né successori, Dylan è venuto da Marte”.
Parole sante: Bob Dylan travalica en surplace ogni aggettivazione. Bob Dylan, molto semplicemente (?), è. Da più di mezzo secolo, per vie attigue o trasversali al microcosmo musicale, le sue ballate alimentano di poetica contro-tendente la cultura occidentale. Contaminate come sono dalla dialettica di rime tempestose, cristologie, cripticismi, screening diogeniani, amore e misantropia. Coniugazioni tematiche avulse, di solito, dalla semplice canzonetta.
Un articolato corollario di dischi e ragioni ha fatto sì che Bob Dylan diventasse, nel tempo, un vero e proprio brand (contro)culturale: la caratura poetico-letteraria dei suoi testi è la prima fra queste.
Contro-finale: quando lune & lune fa, uno sparuto ebreo del Minnesota di nome Robert Allen Zimmerman (all’anagrafe) sceglie di diventare Dylan per il resto del mondo, lo fa con in testa chiare tre cose: poetica, nome e cognome di Dylan Thomas, l’autore dei versi cui è legato.
Era dunque scritto nei segni che il songwriter Bob Dylan diventasse il poeta Bob Dylan. Il fatto è che il destino non si compie mai solo per caso.
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