Annoverato tra i maggiori intellettuali italiani del XX secolo, Cesare Pavese ha operato come poeta, scrittore, traduttore e critico letterario. Vincitore del Premio Strega nel 1950 per “La bella estate”, Pavese è uno degli autori più sorprendenti della letteratura italiana. Anche se, al giorno d’oggi è poco letto, merita davvero di essere riscoperto per via della sua scrittura profonda e delle sue opere, tra le poche realmente in grado di interpretare il ‘900.
Il modo di scrivere di Cesare Pavese risulta, al contempo, coinvolgente per le vicende raccontare e profondo per come continua incessantemente a scavare nell’animo umano. Da sempre attento alle realtà contadine e del popolo, Pavese ha anche avuto una grande apertura rispetto alle letterature europee e non solo; Cesare fu infatti uno dei primissimi ad interessarsi alla letteratura statunitense, essendo anche traduttore. Autore neorealista, Pavese è marchiato da una tragica visione della vita, concentrata sulle problematiche esistenziali e sul mito contrapposto alla realtà contemporanea.
La vita di Cesare Pavese
Cesare Pavese nasce a Santo Stefano Belbo (piccolo paese nelle Langhe, in provincia di Cuneo) il 9 settembre del 1908. Il padre, cancelliere del tribunale di Torino, aveva un podere a Santo Stefano Belbo ma, per via del lavoro del padre, ben presto la famiglia deve trasferirsi a Torino. Questo trasferimento segnerà il giovane Cesare, il quale rimpiangerà per sempre con gran malinconia i paesaggi e i luoghi del suo paese natio, simbolo di serenità, spensieratezza e di luogo dove trascorrere le vacanze.
Una volta giunto nella città piemontese, il papà muore dopo poco tempo. Cesare, ancora molto giovane, soffrirà moltissimo questa perdita, la quale influenzerà molto la sua indole. Già di per sé scontroso e introverso, Pavese manifesta in età adolescenziale attitudini molto diverse da quelle dei coetanei. Ama i libri e la letteratura, il contatto con la natura - che preferisce a quello con gli altri - e il suo comportamento timido e introverso gli fa preferire le lunghe passeggiate nei boschi e l’osservare uccelli e farfalle alla compagnia degli altri ragazzi, che vede un po’ come fumo negli occhi.
La morte del padre di Pavese non ha segnato solamente lui, ma anche la mamma. La donna, non in grado di assorbire il duro colpo dato dalla morte del marito, si chiude in se stessa e tende ad allontanarsi dal figlio, manifestando nei suoi riguardi riserbo e freddezza. Per questa ragione la donna tira su Cesare più come un padre con una mentalità vecchio stampo che come una madre affettuosa.
Un altro tratto inquietante e insito nella natura di Pavese è la propensione al suicidio, che lui stesso definisce “vizio assurdo”, e di cui si possono trovare le tracce anche già in quasi tutte le lettere del suo periodo al liceo, soprattutto in quelle indirizzate all’amico Mario Sturani. Per tutta la vita Pavese è stato così, tormentato dalla drammatica oscillazione tra il desiderio di stare da solo e il bisogno delle altre persone.
Questa sua attitudine ha avuto diverse interpretazioni nel tempo: per alcuno sarebbe il logico risultato dell’introversione vissuta in adolescenza, per altri il risultato dei suoi traumi infantili. Altre persone ancora pensano che questo suo modo di essere celasse l’impotenza sessuale, certo indimostrabile, ma che sembra trapelare da alcune pagine del suo diario, il celebre "Il Mestiere di vivere".
Pavese studia a Torino e, come molti altri intellettuali di quel periodo, ha la fortuna di avere come professore al liceo Augusto Monti, celebre antifascista al quale deve molto. Sono questi i primi anni in cui Cesare prende parte anche ad iniziative politiche, pur se con riluttanza e resistenza, mettendo tutto sé stesso, invece, in questioni di natura puramente letteraria.
Dopo gli studi liceali, Pavese si iscrive alla facoltà di Lettere e fa fruttare i suoi studi di letteratura inglese lavorando come traduttore dopo la laurea. I suoi soggetti preferiti sono le opere degli scrittori americani (Sinclair Lewis, Herman Melville, Sherwood Anderson).
Nel 1931 arriva per Cesare un altro grave lutto, la perdita della madre, in un periodo già di per sé difficile. Pavese ha scelto di non iscriversi al partito fascista e il suo lavoro è molto precario: oltre alle traduzioni insegna, solo saltuariamente però, in istituti scolastici sia pubblici che privati. Così come altri autori, anche Pavese ha problemi con il fascismo e viene additato come intellettuale antifascista per aver cercato di proteggere una donna iscritta al partito comunista. Lo scrittore viene, per questo, condannato al confino.
Pavese passa così un anno a Brancaleone Calabro, dove inizia a scrivere il suo diario “Il mestiere di vivere", che sarà edito postumo nel 1952. Nel 1934 ottiene un successo lavorativo, diventando direttore della rivista Cultura. Una volta tornato a Torino, pubblica nel 1936 la sua prima raccolta di versi, “Lavorare stanca”, che viene praticamente ignorata dalla critica. Nel mentre il suo lavoro di traduzione degli scrittori inglesi e americani prosegue e collabora in maniera attiva con Einaudi.
La sua produzione letteraria più ricca risale al periodo compreso tra 1936 e 1949. Nel periodo della guerra Pavese si rifugia a casa della sorella, a Monferrato, e il ricordo di questo periodo è trattato ne "La casa in collina". A questo periodo risale il primo tentativo di suicidio quando, dopo essere tornato in Piemonte, scopre che la donna di cui era perdutamente innamorato si è sposata.
Finita la guerra, Cesare si iscrive al Pci e pubblica "I dialoghi col compagno" nel 1945 sull’Unità. “La luna e i falò” è del 1950 e anche “La bella estate”, vincitore del Premio Strega nello stesso anno.
La propensione al suicidio che Pavese ha manifestato fino dall’adolescenza ha la meglio il 27 agosto 1950 quando, a soli 42 anni, lo scrittore sceglie di togliersi la vita in una camera d’albergo a Torino. Sulla prima pagina di una copia de "I dialoghi con Leucò" lascia scritto a penna "Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi", in previsione del clamore che il suo gesto avrebbe suscitato.
Le opere di Cesare Pavese
Tra racconti, romanzi, poesie, traduzioni, lettere e diari, Cesare Pavese è stato uno scrittore particolarmente prolifico. Qui di seguito segnaliamo le opere più importanti.
- La bella estate
- Dialoghi con Leucò
- Tre donne sole
- Lotte di giovani e altri racconti 1925-1939
- La collana viola. Lettere 1945-1950
- Letteratura americana e altri saggi
- Il mestiere di vivere (1935-1950)
- Dal carcere
- Il compagno
- La casa in collina
- Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
- Poesie del disamore
- Prima che il gallo canti
- La spiaggia
- Paesi tuoi
- Feria d’agosto
- Vita attraverso le lettere
- Lavorare stanca
- La luna e i falò
- Il diavolo sulle colline
Cesare Pavese: poetica e pensiero
La personalità dell’autore è specchio della sua poetica e del pensiero che egli trasmette nelle sue opere. Introverso, tendente alla depressione e al suicidio (poi tragicamente attuato), Pavese è affetto da quella che egli stesso definisce “paura di vivere” che si traduce nella spiccata tendenza a dubitare di tutte quelle che sono le decisioni importanti da prendere nella vita. In molti sostengono anche che la via del suicidio venne percorsa da Pavese pure per via di diverse frustrazioni sentimentali che provò negli ultimi anni della sua esistenza.
La poetica di Pavese, dunque, è caratterizzata da un contrasto tra fanciullezza e adolescenza, viste come età di spensieratezza inconsapevole, e l’età adulta, caratterizzata invece da una serie di doveri imposti dalla società, primo fra tutti il lavoro.
Spesso parlerà del lavoro, Pavese, considerandolo fonte di fatica e oppressione alle quali l’uomo può sfuggire solo e soltanto attraverso l’immaginazione e il ricordo dei momenti belli e spensierati che hanno caratterizzato la sua infanzia.
Altro contrasto caro al poeta, tanto quanto quello di fanciullezza e età adulta, è quello tra campagna e città. In molte opere dell’autore, infatti, la città è simbolo di alienazione e oppressione e, al contrario, la campagna rappresenta il ritorno alla libertà dell’uomo, il luogo del rapporto sereno con il mondo e con la natura.
Altro tema particolarmente caro all’autore è il contrasto tra la figura letteraria del “ragazzo”, inteso come adolescente che alle soglie della giovinezza vive pieno di curiosità verso il mondo e non vuole altro che emanciparsi dal nido familiare e il “vecchio”, colui che ormai è stanco e disincantato, consapevole delle vanità della vita di ognuno e ormai privo di speranze per il futuro.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Cesare Pavese: vita, opere e pensiero
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