Anche contro donne e bambini
- Autore: Massimo Storchi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
È noto come il Triangolo della morte o Triangolo rosso, per le uccisioni di ex fascisti e i regolamenti di conti che proseguirono oltre la fine della seconda guerra mondiale. Ma il territorio di Reggio Emilia, tra l’8 settembre 1943 e il maggio 1945, è stato uno dei più insanguinati dall’azione crudele dei nazifascisti contro i partigiani e la popolazione civile.
Massimo Storchi, ricercatore dell’Istituto storico reggiano della Resistenza (ISTORECO), affronta l’argomento in un saggio, pubblicato a febbraio 2016 da Imprimatur Edizioni, “Anche contro donne e bambini. Stragi naziste e fasciste nella terra dei fratelli “Cervi”” (pp. 352, euro 17,50).
La provincia emiliana è stata un settore caldo di quella “guerra ai civili” scatenata dai tedeschi sul fronte italiano, a partire dallo sbarco alleato in Sicilia, nel luglio 1943. Storchi ribadisce una volta per tutte che ad agire fu l’esercito germanico regolare, non tanto le famigerate Waffen SS, truppe combattenti del partito nazionalsocialista. La rimozione di ogni responsabilità di ufficiali e soldati della Wehrmacht, nel dopoguerra, seguiva una precisa esigenza politica e militare, davanti all’esigenza prioritaria di ricostruire nell’ambito NATO le forze armate della Germania Federale, in chiave antisovietica. L’onore non poteva risultare in discussione, da qui la finzione storica della leggenda del blasone immacolato, che consentì di riciclare nella ricostituita Bundeswehr personale che aveva servito nelle armate del III Reich.
Allo stesso tempo, veniva accreditata la versione che la violenza contro persone inermi non poteva essere stata compiuta che da chi rappresentava il braccio armato della politica criminale nazista. La memoria collettiva non ha faticato a fare propria l’identificazione fra gli esecutori delle stragi naziste e i reparti di SS operanti all’epoca in Italia.
È stato l’esercito tedesco ad agire con violenza e ferocia, quindi, e resta inoltre drammatica e ingiustificata la circostanza che le stragi di civili di ogni età e sesso cominciarono ben prima dell’8 settembre ’43, che sancì il passaggio della monarchia italiana dalla parte degli Alleati. L’armistizio non era stato ancora firmato e l’Italia era ancora alleata della Germania quando, il 10 agosto, quaranta granatieri della divisione Goering entrarono a Castiglione (Catania), per prendere quanti più ostaggi civili. Chi tentava di sottrarsi fu colpito e donne che cercavano di difendere figli e mariti vennero buttate giù dai balconi. In meno di un’ora, venti morti.
Era cominciata la catena di azioni di sangue che segnò i venti mesi fino agli ultimi giorni del conflitto. Anche nella ritirata finale dell’aprile 1945, i reparti della Wehrmacht in fuga verso i valichi dell’Alto Adige non esitarono ad usare un’estrema violenza contro partigiani e popolazione civile, quando i negoziati non bastavano ad assicurare il passaggio.
Beninteso, la svolta impressa dalla giustizia penale negli ultimi decenni, con i processi istruiti contro gli ormai molto anziani responsabili, ha visto una netta accelerazione dopo la caduta del muro di Berlino. La fine della Guerra Fredda ha cancellato ogni esigenza di fair play politico nei confronti germanici. È storica la sterzata giurisprudenziale che, a partire dal 2002, ha fatto cadere la giustificazione “gli ordini sono ordini”, ripetuta come un mantra e fino ad allora accettata per scagionare l’obbedienza cieca. Anche i militari debbono valutare l’antigiuridicità di ordini palesemente criminali o di violazioni dei diritti umani fondamentali e avrebbero dovuto rifiutarsi di eseguire atti crudeli. Da qui il motivo per cui i tribunali condannano ora i “boia” di allora a subire le conseguenze del proprio comportamento nel caso di stragi ed eccidi ingiustificati.
Questo il quadro generale nel quale si inseriscono le vicende del Reggiano, che assunse però connotati tutti suoi. I fascisti si distinsero per durezza, i germanici agirono addirittura da moderatori. In quell’area, la resistenza si consolidò lentamente, scontando la difficoltà di raggruppare formazioni. La scorciatoia fu l’azione isolata contro obiettivi singoli, alla quale i fascisti reagirono con le minacce di ritorsioni, poi col ferro, fuoco, rappresaglie ed esecuzioni.
Massimo Storchi, come storico della Resistenza, ha indagato gli oltre cinquanta episodi di strage nei venti mesi di occupazione, con più di quattrocento vittime, nella sola provincia reggiana.
I tedeschi mantennero in zona un atteggiamento diretto all’azione contro le “bande partigiane”, un ruolo prettamente militare, mentre quello poliziesco veniva lasciato ai repubblichini, la cui ferocia nei confronti dei civili veniva addirittura mitigata per evitare condizioni invivibili alle truppe occupanti. Si rovescia perciò la vulgata del “furore”: fu quello fascista ad alzare il livello dello scontro e innescare gli episodi di giustizia sommaria, scatenate per vendetta dai “rossi” ad ostilità concluse.
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