Nessun poeta ha cantato l’idillio della natura come Virgilio. Nei versi dell’autore latino troviamo il topos per eccellenza della letteratura classica, il locus amoenus, che significa letteralmente “luogo senza mura”. L’espressione identifica un posto piacevole e quieto, un “luogo-non luogo” dove l’anima può trovare pace e ristoro, lontano dalle turbolenze della vita.
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Dopo aver composto le dieci egloghe dell’idillio pastorale delle Bucoliche, Virgilio si dedicò alla stesura dei quattro libri delle Georgiche , scritte a Napoli tra il 37 a.C. e il 30 a.C. Si trattava di un poema di carattere didascalico dedicato al lavoro nei campi e all’arboricoltura, intesa come metafora di un’ideale società umana. Le Georgiche si configurano come una celebrazione della vita rustica che rende applicabili i valori del mos maiorum: laboriosità, concordia, devozione.
L’opera fu dedicata a Mecenate ed è oggi considerata una delle prove più autentiche e meglio riuscite della lirica virgiliana.
Il secondo libro delle Georgiche dedicato alla cultura delle piante, in particolare della vite e dell’olivo, è ritenuto un classico della letteratura latina. In questa sezione del testo troviamo infatti la famosa apostrofe elogiativa all’Italia - celebrata come una terra di pace - e anche un inno alla primavera dai toni epici e struggenti che incatenano, nell’avvicendarsi dei versi, natura e mito.
Alcuni frammenti delle liriche sono stati pubblicati nel volume Il fiore delle georgiche, edito da Mondadori, nella traduzione del grande poeta novecentesco Salvatore Quasimodo.
Scopriamo testo e analisi della meravigliosa celebrazione della “stagione della rinascita” scritta da Virgilio.
È dolce primavera di Virgilio: testo
Alle selve, alle foglie dei boschi è dolce primavera;
a primavera gonfia la terra avida di semi.
Allora il Cielo, padre onnipotente, scende
con piogge fertili nel grembo della consorte,
immenso si unisce all’immenso suo corpo,
accende ogni suo germe. Gli arbusti remoti risuonano
del canto degli uccelli, e gli armenti ricercano Venere,
e i prati rinverdiscono alle miti aure di Zèfiro.
E i campi si aprono; si sparge il tenero umore;
ora al nuovo sole si affidano i germogli.
E il tralcio della vite non teme il levarsi degli austri
né la pioggia sospinta per l’aria dai larghi aquiloni,
ma libera le gemme e spiega le sue foglie.
Giorni uguali e così luminosi credo brillarono
al sorgere del mondo; fu primavera, allora.
primavera passava per la terra. Ed Euro
trattenne il soffio gelido quando i primi
animali bevvero la luce, e la razza degli uomini
alzò il capo nei campi aspri, e le belve
furono spinte nelle foreste e le stelle nel cielo…(Traduzione di Salvatore Quasimodo)
È dolce primavera di Virgilio: analisi
Il testo rappresenta uno dei vertici della poesia virgiliana. Dopo aver trattato in modo didascalico la vita nei campi e l’arte dell’arboricoltura, il poeta latino sembra avviare un’inattesa parentesi di sospensione in cui tralascia la descrizione più contingente dell’attività agreste per intessere le lodi della stagione primaverile in bilico tra realtà e mito.
Ne risultano versi di struggente bellezza che sembrano comporre, in un insieme suggestivo di pennellate, il ritratto più esaustivo della primavera.
La bella stagione viene descritta da Virgilio in una veste leggendaria, intrisa di presenze mitiche e di carattere divino. La primavera porta infatti con sé il risveglio di Venere e le tiepide folate di Zefiro che fa rifiorire i campi risvegliandoli dal lungo sonno dell’inverno. Il cielo sembra ricongiungersi alla terra, come un amante con la sua amata, e ogni cosa di riflesso sembra accendersi e rigenerarsi come nuova vita generata da quell’amplesso.
La primavera diventa quindi sinonimo di un’esistenza rinnovata: Virgilio addirittura la accosta al primo giorno del mondo, tanto la luce è nuova, lucente e ammantata da un’aura quasi divina che sembra ricacciare il male. In quel momento, afferma il poeta, le belve feroci furono ricacciate nelle foreste e gli uomini poterono vedere le stelle illuminare il cielo: in questi versi l’autore sembra alludere al fatto che, con l’avvento della primavera, la razza umana poté scordare le necessità legate alla mera sussistenza e riscoprire valori più nobili e astratti, appellarsi agli astri e riscoprire l’amore.
Fin dalla prima strofa è infatti la divinità, celata nella personificazione del “cielo potente”, che invia sulla terra delle piogge fertili e dal carattere purificatore. La primavera per Virgilio si trasfonde in una metafora dell’eros: la stagione dell’amore, per antonomasia, viene rappresentata simbolicamente in un congiungimento tra cielo e terra atto a generare nuova vita. La primavera virgiliana può essere vista come la figlia, la creatura, nata da quest’unione mitica.
Il poeta ermetico Salvatore Quasimodo riprenderà in seguito le tematiche chiave della poesia virgiliana nella lirica Ariete in cui celebra il risveglio della natura immortalato in mandorli fiorenti. La stagione “al vento nuova”, cantata dal poeta premio Nobel nel 1959, rimanda esplicitamente all’inno alla primavera composto da Virgilio nelle Georgiche, in un richiamo sublime di versi che sembra travalicare i limiti spazio-temporali per intessere un unico canto primaverile che non conosce confini né epoche.
È dolce primavera di Virgilio: commento
La “dolce primavera” diventa metafora di rinascita, ma soprattutto, di una pacifica rivoluzione che sembra ripopolare la terra dandole nuova vita.
La mitezza della stagione primaverile nella lirica di Virgilio viene quindi investita di un ardore, di quella violenza implicita in ogni azione creatrice e - diremmo ora - in ogni stadio della crescita che comporti un’evoluzione. Anche lo schiudersi delle nuove gemme che si aprono alla luce del sole è, a ben vedere, un atto violento - dolce soltanto in apparenza, a una visione superficiale. Ma la grandezza del poeta latino consiste proprio in questo tocco magistrale che riesce a trasfondere nella lirica: trasformare il dolore, la violenza insita nella nascita in un idillio che diventa un’autentica lode alla vita.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “È dolce primavera”: l’inno alla primavera di Virgilio contenuto nelle Georgiche
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