È maggio è una poesia di Giovanni Pascoli contenuta nella raccolta Poesie varie, pubblicata postuma nel 1912.
La lirica si configura come un vero e proprio inno alla natura primaverile, celebra la fioritura e il rigoglio del mese di maggio.
A maggio non basta un fiore
Pascoli compone la sua personale ode al periodo più luminoso della primavera in un canto lirico connotato da un’insolita sfumatura positiva che non conosce alcun margine d’ombra. Con lo sguardo limpido e innocente del “fanciullino” il poeta osserva la natura che si rivela innanzi a lui in una foresta di simboli fatta di corrispondenze e analogie quasi baudelairiane. L’autore cerca l’identificazione con la natura in rinascita, cogliendo in essa il senso stesso del mistero dell’esistenza.
Scopriamo testo e analisi della poesia.
È maggio di Giovanni Pascoli: testo
A maggio non basta un fiore.
Ho visto una primula: è poco.
Vuoi nel prato le prataiole:
è poco: vuole nel bosco il croco.
È poco: vuole le viole; le bocche
di leone vuole e le stelline dell’odore.Non basta il melo, il pesco, il pero.
Se manca uno, non c’è nessuno.
È quando è in fiore il muro nero
è quando è in fiore lo stagno bruno,
è quando fa le rose il pruno,
è maggio quando tutto è in fiore.
È maggio di Giovanni Pascoli: analisi
La poesia, strutturata in due strofe con rime alternate, si dipana come un canto o una filastrocca in rima. Pascoli procede per accumulo, elencando tutte le fioriture appena sbocciate nei prati sino a giungere alla climax finale che rivela il senso dell’intera poesia:
È maggio quando tutto è in fiore
Nella chiusa Pascoli rende manifesta l’unione indissolubile tra il mese di maggio e il trionfo della natura giunta al culmine del suo rigoglio. Maggio è un fiore, una festa rigogliosa e vivace, un tripudio di colori e profumi.
Non sono solo gli elementi naturali a fiorire, ma persino quelli artificiali come il “muro nero” e lo “stagno bruno”: la pervasiva rinascita naturale sembra illuminare persino gli angoli più oscuri e remoti del paesaggio.
La parola del poeta nominando i fiori uno ad uno, chiamandoli per nome, li invita a schiudersi e sbocciare, come una formula magica che dischiude l’incantesimo.
Nessun bocciolo può mancare a questo appuntamento con la vita.
In È maggio Giovanni Pascoli ribadisce la sua concezione positiva della natura che appare in aperta polemica con la visione pessimistica di Leopardi della “natura matrigna” tirannica e spietata teorizzata anche nelle Operette morali, in particolare nel celeberrimo Dialogo della Natura e di un Islandese.
La natura pascoliana è invece una “madre dolcissima e previdente” che si rivela nei dettagli più umili e quotidiani, proprio come i fiori nei prati primaverili.
Tramite la lirica il poeta ci restituisce l’immagine rassicurante, bucolica, di un paesaggio campestre. I fiori qui sono simboli di pura gioia, di rinascita, e non tradiscono il doppio significato o il turbamento suscitato ne Il gelsomino notturno o nella Digitale purpurea. I fiori sono solo fiori, non celano riferimenti occulti all’angoscia o all’erotismo.
Nella rappresentazione del mese di maggio Pascoli si concentra solo sull’aspetto positivo della natura, intesa come rifugio idilliaco, dimenticando l’inquietudine perturbante che risuona in altre poesie, come L’assiuolo. L’Io lirico si specchia nel paesaggio ridente in una fusione armonica, come se trovasse nel mondo esterno un confortevole “nido” in cui abitare, finalmente pacificato dalla più serena delle stagioni dell’anno.
Maggio nelle parole di Pascoli è un mese innocente, di puro splendore, che non conosce ombre né misteri. La sua fioritura è una festa per gli occhi e per i sensi. Forse è l’unico mese dell’anno che non tradisce le aspettative in esso riposte dallo sguardo puro del “fanciullino”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “È maggio”: l’ode alla natura nella poesia di Giovanni Pascoli
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