I fiori e, in particolar modo, le api che si posano sulle loro corolle sono elementi ricorrenti nelle opere della poetessa americana Emily Dickinson (1830-1886).
La riflessione sulla vita che Dickinson intesse nelle sue poesie si fonda essenzialmente sull’osservazione delle vite minuscole degli animali e delle piante del suo giardino. Il regno della Natura è per la poetessa lo scenario che l’Invisibile ha scelto per celarsi e a tratti rivelarsi tramite quelli che la poetessa chiama i “Bollettini dell’Immortalità”.
Di questo universo microscopico, che la poetessa scruta ogni giorno attraverso la lente accorta del suo sguardo, le api sono abitanti privilegiate, oltre che il fondamento necessario dell’intero ecosistema.
Le api nella poesia di Emily Dickinson
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Delle circa 1800 poesie che Emily Dickinson ha scritto nel corso della sua esistenza se ne trovano circa un centinaio dedicate alle api. Quei piccoli esserini volanti e industriosi catturavano l’immaginazione della poetessa che vi trovava lo specchio più fedele di se stessa, l’allegoria più fedele di emozioni e sensazioni.
Secondo quanto riportano gli archivi del Museo Dickinson di Amherst, in Massachusetts, Emily nutriva una vera e propria passione per la botanica e il giardinaggio e le api erano le sue interlocutrici favorite. In particolare ne ammirava l’operosità e l’ostinazione, coglieva in loro una funzione di guida dell’intero ciclo naturale.
Come scrisse in una celebre poesia, l’ape è un elemento fondamentale e necessario per fare un giardino:
Per fare un prato ci vuole un trifoglio
e un’ape,
Un trifoglio, e un’ape,
E un sogno.
se le api sono poche,
Il sogno basterà.
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Marta McDowell nel libro Emily Dickinson e i suoi giardini. Le piante e i luoghi che hanno ispirato l’iconica poetessa (L’Ippocampo edizioni, 2021) osserva che, poiché le api gestivano gran parte del miele dal suo giardino, Dickinson diede loro il poetico nome di “Bucanieri del ronzio” (Buccaneers of Buzz, Ndr).
Nelle opere della poetessa di Amherst i vivaci insetti ronzanti sono spesso paragonati a pirati, condottieri temerari, eserciti di soldati: non hanno quasi mai una funzione confortante, non evocano dolcezza o riposo, ma sono esseri deputati all’azione, alla costruzione, talvolta anche all’annientamento.
Le farfalle volano sognanti, mentre le api, nell’immaginario della poetessa, marciano come un plotone di cavalieri pronti a conquistare tutti i fiori del giardino.
Le sognanti Farfalle si scuotono!
Stagni in letargo riprendono il fruscio
Dell’interrotta melodia dell’anno prima!
Da qualche vecchia Fortezza sul Sole
Blasonate Api - marciano - una ad una -
In mormorante plotone!
Le api come metafora nella poesia di Dickinson
Nella poesia di Dickinson tuttavia spesso le api non sono solo semplici api, percepite nella loro pura essenza animale. Gli insetti ronzanti si fanno allegoria di sensazioni ed emozioni inespresse. In un saggio intitolato The Gardens of Emily Dickinson, la studiosa Judith Farr coglie i riferimenti all’immaginario sessuale celati nei fiori e nelle api e nei riti naturali dell’impollinazione. Ogni allusione, osserva Farr, "è fatta con delicata ironia", appare comunque emblematica in diversi componimenti.
In funzione d’esempio riportiamo una poesia in cui il simbolismo è particolarmente evidente:
La Rosa non deve incolpare l’Ape -
Che cerca la felicità
Troppo spesso alla sua porta -
Ma istruire il Valletto di Vevey -
La signora "non è in casa" - a dire -
Alla gente - non di più!
Robert McClure Smith perpetua questa idea nell’introduzione al suo libro, The Seductions of Emily Dickinson, dove dipinge l’ape come se seducesse il fiore. Nella maggior parte delle poesie di Dickinson sulle api, l’ape è generalmente utilizzata per rappresentare una “figura maschile” che domina una figura femminile, solitamente nascosta dietro l’allegoria di un fiore, spesso di una rosa.Tuttavia ci sono poesie in cui si verifica quello che Smith indica come un inaspettato cambiamento di ruolo: la figura femminile cessa di essere fiore passivo e diventa ape.
Riportiamo come esempio l’emblematica Because the Bee may blameless hum in cui avviene una sorta di metamorfosi:
Poiché l’Ape può ronzare impunemente
Per Te un’Ape divento
Ascolta allora Me -
Poiché i Fiori impavidi
Possono alzare lo sguardo su di te, una Fanciulla
Sempre un Fiore vorrebbe essere -Né i Pettirossi, i Pettirossi non debbono celarsi
Quando Tu nelle loro Cripte t’introduci
Perciò Ali concedimi
O Petali, o il Dono d’un Ronzio
Quell’Ape cavalcare - o un Fiore di Ginestra
In quella veste adorare Te -
Sempre nel libro Emily Dickinson e i suoi giardini Martha McDowell riflette sull’accostamento tra i comportamenti delle api e quelli della poetessa di Amherst. Quando la temperatura supera lo zero, le api iniziano a volare alla ricerca di nettare e polline per reintegrare le scorte consumate durante l’inverno e così fa anche Dickinson che invece risponde al richiamo istintivo della sua creatività: la sua primavera è la poesia.
Se il rapporto tra gli impollinatori e le piante di cui si nutrono è fondamentale per sostenere i nostri ecosistemi, allo stesso modo l’ispirazione poetica era vitale per la poetessa. Viene definita non a caso: la poetessa impollinatrice (The Pollinator Poet, Ndr).
In un bellissimo componimento Dickinson sembra accostare il “mormorio di un’ape” proprio al magico mistero dell’ispirazione poetica:
Il mormorio di un’Ape
Una Magia - produce in me -
Se qualcuno mi chiede perché -
Sarebbe più facile morire -
Che dire -
Dickinson, le api e il presagio della morte
È naturale che proprio alle api, sue interlocutrici favorite, Emily Dickinson decida di confidare il presagio della morte.
Negli ultimi anni la poetessa vestita di bianco soffriva di uno strano male che i medici non riuscivano a identificare. Oggi si pensa si trattasse di una forma depressione.
Ciò è evidente nell’emblematica poesia Al giardino non l’ho detto, I haven’t told my garden yet nell’originale, Ndr, (che significativamente dà anche il titolo al bellissimo memoir autobiografico scritto da Pia Pera) scritta nel 1858.
Non l’ho ancora detto al mio giardino -
Perché potrei esserne sopraffatta.
Non ho proprio la forza ora
Di svelarlo all’Ape.
Non ne farò parola nella strada,
perfino le botteghe stupirebbero ch’io
timida ed ignorante come sono,
abbia l’audacia di morire.
La domanda che Dickinson pone in questo breve componimento è universale: “Se sapessi che stai per morire lo diresti a qualcuno o lo terresti per te?”
Non a caso la poetessa si affida, ancora una volta, all’ape: l’essere che per lei rappresenta una sorta di Dio della natura, colei che governa il mondo e veglia su ogni cosa. Annunciare la sua morte all’ape la renderebbe inevitabile, e spezzerebbe l’incanto del giardino, la sua terra promessa. L’ape è una creatura innocente che non conosce il trauma della sofferenza né il destino ineluttabile della morte: la poetessa quindi non ha il coraggio di infliggerle tale conoscenza che spezzerebbe l’incanto di una vita vissuta cogliendo l’istante, in un eterno presente.
Il legame di Emily Dickinson con la natura è sacro ed esclusivo e sembra parlare un linguaggio tutto suo, che travalica ogni tentativo di decifrazione.
Era la poetessa che parlava con le api, chissà se infine avrà avuto il coraggio di confidare alle sue più intime interlocutrici il suo segreto.
Forse l’avevano capito senza bisogno di parole e attraverso la loro eterna danza intorno ai fiori invitarono la poetessa di Amherst a sentirsi parte della grande armonia vitale della natura, che non conosce morte ma solo stagioni ed eterne rinascite.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Emily Dickinson, la poetessa che parlava con le api
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