L’8 settembre 1474 nasceva a Ferrara governata dagli estensi il poeta Ludovico Ariosto, autore di un capolavoro della nostra letteratura, il poema cavalleresco L’Orlando furioso (1521).
Composto da un totale di 46 canti scritti in ottave, L’Orlando furioso riprende la tradizione cavalleresca del ciclo bretone e carolingio proseguendo idealmente l’opera L’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo. Il poema dell’Ariosto riscosse ampio successo nella corte estense del Cinquecento proprio in virtù della complessità della trama e della pluralità di vicende in essa intrecciate.
Ariosto ebbe l’abilità di intrecciare al motivo epico della guerra tra cristiani e saraceni, l’amore tra il cavaliere Orlando e la bella Angelica, oltre a molte altre vicende che riguardano gli altri personaggi, come il legame tra il cavaliere pagano Ruggiero e la guerriera cristiana Bradamante considerati i fondatori della Casa d’Este.
I temi principali dell’opera sono elencati dall’autore nel celebre proemio:
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, / le cortesie, l’audaci imprese io canto…
Sempre nel proemio è contenuto un riferimento a uno dei passi più celebri dell’opera: la follia d’Orlando. Nel presentare il proprio protagonista, il prode cavaliere cristiano Orlando, infatti Ludovico Ariosto dice:
Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai, né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d’uom che sì saggio era stimato prima.
Sin dalle prime battute L’Orlando furioso ci presenta quindi un nuovo prototipo di eroe, a tutti gli effetti moderno. Il protagonista dell’Ariosto è un cavaliere e abile spadaccino, ma è anche profondamente umano. Non incarna la rappresentazione dell’eroe medievale senza macchia e senza paura, ma al contrario: è un uomo di carne e sangue che perde il senno per amore. La follia d’Orlando è infatti provocata da una grande delusione amorosa. Il prode cavaliere impazzisce quando Angelica, la donna da lui amata, fugge con il musulmano Medoro.
Il canto della follia d’Orlando è uno dei passi più belli dell’opera di Ludovico Ariosto: ogni verso scritto dal poeta trasuda forza e ci parla ancora con l’intensità di un’emozione viva. Si tratta di un testo ancora incredibilmente moderno per essere stato scritto nel Cinquecento.
Vediamone temi e analisi nell’approfondimento che segue.
La follia d’Orlando narrata dall’Ariosto: analisi e commento
Link affiliato
L’episodio che narra la follia di Orlando si trova all’incirca a metà dell’opera. Nel finale del canto ventitreesimo del poema viene descritto il principio della follia che travolge l’eroe.
Orlando sta inseguendo il cavaliere saraceno Mandricardo, quando decide di riposarsi un momento in una radura per riacquistare le forze. Una volta sedutosi all’ombra di un poggio il cavaliere inizia a guardarsi intorno e pian piano il suo sguardo gli svela i messaggi d’amore incisi nei tronchi degli alberi circostanti. Sulle pareti e sulle grotte sono infatti scritti i nomi di Angelica e di Medoro che in quei luoghi hanno consumato il loro amore.
L’amena radura, tradizionale locus amoenus di classica memoria, fa così da sfondo all’avanzare della pazzia che travolge il personaggio in un incedere drammatico che Ariosto rafforza con un accumulo di iperboli ed esagerazioni.
In un primo momento Orlando cerca di reagire al dolore illudendosi che la realtà non sia affatto ciò che sembra. Si inganna dicendo che in realtà “Medoro” è un soprannome di invenzione che l’amata Angelica ha deciso di attribuirgli.
L’illusione tuttavia è costretta a svanire e sgretolarsi dinnanzi al rivelarsi impietoso della verità. La gelosia di Orlando cresce piano e infine esplode, si tramuta in rabbia, in una vera e propria furia ingovernabile.
Le lettere che vede incise nei tronchi degli alberi diventano come chiodi e gli pungono il cuore.
Il cavaliere inizia a spezzare rami con le proprie mani, lancia sassi e pietre nel fiume, e infine giunge sradicare interi pini e abeti per acquietare la passione dolorosa che gli si agita nel cuore. La follia di Orlando è uno stato d’animo complesso, prodotto da un miscuglio di gelosia, rabbia e pena che infine svelano il lato doloroso, oscuro della passione amorosa.
Questi ch’indizio fan del mio tormento,
sospir non sono, né i sospir sono tali.
Quelli han triegua talora; io mai non sento
che ’l petto mio men la sua pena esali.Amor che m’arde il cor, fa questo vento,
mentre dibatte intorno al fuoco l’ali.
Amor, con che miracolo lo fai,
che ’n fuoco il tenghi, e nol consumi mai?
La pena che travolge il cuore dell’eroe è l’amore, che arde e lo consuma come una fiamma inestinguibile. Proprio nella metafora della fiamma ritroviamo una resa efficace della follia: Ariosto descrive sentimenti caldi, scottanti, che bruciano, come l’amore e la rabbia.
Orlando procede a devastare sistematicamente tutto ciò che incontra, suscitando la curiosità dei contadini del posto che giungono nella radura per vedere quale battaglia vi si stia combattendo. Trovano invece Orlando, pazzo d’amore, che sradica alberi e lancia pietre. A un certo punto Ariosto decide di arrestare la propria narrazione usando l’espediente retorico della medietas, per evitare che risulti molesta ai suoi lettori.
Ma son giunto a quel segno il qual s’io passo
vi potria la mia istoria esser molesta.
Ludovico Ariosto sembra vigilare sulla drammaticità della sua opera, stabilendo quando auto-censurarsi. In realtà il suo non è che un abile espediente narrativo. Continuerà a narrare della pazzia d’Orlando nel canto successivo, il ventiquattresimo.
Nella conclusione il cavaliere Orlando giunge a liberarsi persino della propria armatura, come se volesse rinnegare sé stesso. Perché il suo senno ritorni dovremo attendere l’intervento salvifico di Astolfo che andrà a recuperarlo sulla luna, in un mondo ultraterreno, estraneo alle passioni umane.
Recensione del libro
Orlando Furioso
di Ludovico Ariosto
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La follia di Orlando narrata da Ludovico Ariosto
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri Storia della letteratura Ludovico Ariosto
Lascia il tuo commento