Gennaio è un mese ispiratore per la poesia d’autore italiana.
Trentuno lunghi giorni di freddo rigido, inclemente, che rivelano il trionfo dell’inverno e, al contempo, il principio di ogni cosa.
Per la tradizione il primo mese dell’anno, secondo il calendario gregoriano, segna anche l’avvento di un nuovo inizio.
In questa particolare contrapposizione tra il momento più cupo dell’inverno e l’inaugurazione del nuovo anno molti poeti hanno trovato materia d’ispirazione per le proprie liriche. C’è infatti una sensibilità nascosta sotto la coltre opprimente del mese di gennaio che solo le parole dei poeti riescono a far emergere.
Scopriamo l’origine del termine “gennaio”, il suo significato e come questo mese è stato raccontato dai poeti italiani.
Gennaio: il significato di un mese iniziatico
Il termine gennaio deriva infatti dal latino Ianuarius che a sua volta trae origine dal nome del Dio Giano (Ianus, Ndr), la divinità romana deputata alla protezione delle porte e dei luoghi di passaggio. Gennaio è quindi da intendersi come il mese che apre le porte dell’anno nuovo, in quanto la sua denominazione deriva direttamente dal sostantivo latino Ianua, “porta” secondo gli antichi romani.
Tuttavia gennaio è anche un mese legato inscindibilmente al concetto d’inverno. È il periodo dell’anno più lungo e cupo, caratterizzato da un clima rigido e da temperature basse. I popoli celti lo identificavano con il termine leden che significa “mese del ghiaccio”.
Forse proprio per le sue caratteristiche così peculiari gennaio è da sempre ispiratore per i poeti. Letterati e scrittori hanno dedicato fiumi di parole a questo mese, nel quale decantano il suo significato iniziatico, oppure esaltano le atmosfere invernali dei suoi paesaggi così caratteristici.
Scopriamo in particolare i componimenti che i poeti italiani hanno dedicato al primo mese dell’anno.
Gennaio nella poesia d’autore italiana
I poeti italiani hanno analizzato il mese di gennaio secondo diversi, personali e variegati punti di vista che a tratti vengono a coincidere nel mostrarci un mese iniziatico, il principio di una svolta.
Nel componimento di Camillo Sbarbaro gennaio si fa interprete di una profonda rassegnazione e della fine della giovinezza. Il mese viene personificato nella figura di un vecchio frate cui una giovane, certa di aver passato la primavera della vita, comunica la decisione di farsi monaca.
Più descrittivo e pittoresco è il mese di gennaio cantato da Antonia Pozzi in Tramonto. Pozzi esalta la suggestione paesaggistica dell’inverno che, nel finale, si rilette nell’anima della poetessa.
La rigidità del primo mese dell’anno è espressa anche dal poeta e saggista Franco Fortini in Gennaio 1946 che ritrae una città di Milano avvolta dai fumi neri dei camini, dalla quale le imponenti Alpi innevate appaiono in lontananza come una consolazione irraggiungibile, un paradiso perduto.
Giuseppe Pontremoli invece evidenzia la contrapposizione suggestiva tra il gelo invernale e il calore dell’intimità domestica. Alla passiva immobilità dell’inverno Pontremoli pone come contrappunto l’amicizia e l’amore che si ravvivano attorno a un focolare.
Il mese di gennaio diventa epica del quotidiano nella poesia di Attilio Bertolucci che in Ritorno ai rami sfrutta l’associazione ossimorica “fuoco di gennaio” per descrivere il lento scorrere di un ozioso giorno d’inverno in città.
Il primo gennaio di Eugenio Montale è attraversato dal sentimento dell’amarezza, ritirato, solitario, è ben distante dal vivace tripudio dei festeggiamenti che caratterizzano le festività. Ai buoni propositi per l’anno nuovo Montale contrappone il grido dell’uomo in rivolta contro il proprio destino.
Infine il primo mese dell’anno si fa riflessione sulla memoria nel componimento Di gennaio, di notte (1947) di Mario Luzi. Un mese di gennaio che sembra contenere “l’agonia di ogni inizio” e pone quindi il poeta al crocevia del tempo. Vecchiaia e giovinezza si contrappongono in un mese di gennaio in chiaroscuro che porta con sé il ricordo lontano di una donna amata. Nella poesia di Luzi gennaio indica una sosta nel “transitare eterno” e quindi pone una riflessione sulla caducità della vita, come nella celebre poesia di Giovanni Pascoli dedicata a questo mese.
Gennaio di Giovanni Pascoli
Nevica: l’aria brulica di bianco;
la terra è bianca, neve sopra neve;
gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco,
cade del bianco con un tonfo lieve.
E le ventate soffiano di schianto
e per le vie mulina la bufera;
passano bimbi; un balbettio di pianto;
passa una madre; passa una preghiera!
Gennaio di Camillo Sbarbaro
Ormai passò la rosea cavalcata
dei giovinetti mesi ingannatori,
che vestita l’avean tutta di fiori
e di sole e d’azzurro incappucciata.Or ripensa la grande traviata
d’Aprile i ricci e i facili rossori;
e derelitta guarda i suoi squallori
e fa l’ammenda delle sue peccata.E viene per perdono a fra’ Gennaio,
dicendo l’atto di contrizione,
e s’umilia e gli bacia il vecchio saio.«Padre - gli dice - voglio farmi monaca.»
E quei sorride incredulo e le impone
di neve fugacissima una tonaca.
Tramonto di Antonia Pozzi
Fili neri di pioppi –
fili neri di nubi
sul cielo rosso –
e questa prima erba
libera dalla neve
chiara
che fa pensare alla primavera
e guardare
se ad una svolta
nascano le primule –
Ma il ghiaccio inazzurra i sentieri –
la nebbia addormenta i fossati –
un lento pallore devasta
i colori del cielo –
Scende la notte –
nessun fiore è nato –
è inverno – anima –
è inverno.
Gennaio 1946 di Franco Fortini
Milano, cieche viscere ti colano
per le vie, di macerie nere; i fumi
che dai camini volano
son torvi e verdi; la vita, acre e sciatta.Ma di quassù visibili
sono, nell’aria netta, l’Alpi. Ecco
lontane, irraggiungibili,
bianche e celesti le grandi montagne.
Gennaio di Giuseppe Pontremoli
Nel mese dell’inverno,
quando c’è freddo e gelo
vogliamo intorno al fuoco
far risate e canzoni
parlare con gli amici
e dipingere il cielo
dedicarci all’amore
non avere padroni.
Ritorna ai rami di Attilio Bertolucci
Ritorna ai rami il fuoco di gennaio
intenerito, di neve i colli non lontani
rallegrano l’ozioso pomeriggio
alle porte della città.
Il giorno è popoloso sino a che s’accende
sul ponte il lampione
e inonda l’acqua di ferro fiorito.
Il primo gennaio di Eugenio Montale
So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta, da un fondale,
da un fuori che non c’è se mai nessuno
l’ha veduto.
So che si può esistere
non vivendo,
con radici strappate da ogni vento
se anche non muove foglia e non un soffio increspa
l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone.
So che non c’è magia
di filtro o d’infusione
che possano spiegare come di te s’azzufino
dita e capelli, come il tuo riso esploda
nel suo ringraziamento
al minuscolo dio a cui ti affidi,
d’ora in ora diverso, e ne diffidi.
So che mai ti sei posta
il come – il dove – il perché,
pigramente rassegnata al non importa,
al non so quando o quanto, assorta in un oscuro
germinale di larve e arborescenze.
So che quello che afferri,
oggetto o mano, penna o portacenere,
brucia e non se n’accorge,
né te n’avvedi tu animale innocente
inconsapevole
di essere un perno e uno sfacelo, un’ombra
e una sostanza, un raggio che si oscura.
So che si può vivere
nel fuochetto di paglia dell’emulazione
senza che dalla tua fronte dispaia il segno timbrato
da Chi volle tu fossi…e se ne pentì.
Ora,
uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti
lo scheletro dell’albero di Natale,
ti accompagna in sordina il mangianastri,
torni indietro, allo specchio ti dispiaci,
ti getti a terra, con lo straccio scrosti
dal pavimento le orme degli intrusi.
Erano tanti e il più impresentabile
di tutti perché gli altri almeno parlano,
io, a bocca chiusa.
Di gennaio, di notte di Mario Luzi (1947)
Di gennaio, di notte
quando lungo le sue vene lo spazio
trepida per un vento inesauribile, ravviva
negli alberi speranze ancora vane
e li sveglia a una vita ancora incerta,
troppo remota oltre le cime
ed oltre le radici;nei giorni incerti ai crocevia del tempo
nelle ore dopo la passione quando
anche il dolore ha fine
e l’anima si tiene appena
che non frani nel suo vuoto
e si chiede stupita più che ansiosa
s’è quella l’agonia ch’è in ogni inizio
o il termine, il termine di tutto,e accade che qualcuno
per certezza, per afferrarsi a un segno
mormori il suo tra il nome dei suoi cari
ed è strano come murare lapidi
su case per memoria d’un passaggio,
d’una sosta nel transitare eterno,viso di molto amata un tempo
che tra pagina e pagina del libro
sfogliato senza termine degli anni
hai la pace che dà l’essere fiochi
e spenti sotto la crudele patina
qualcuno soffia nelle tue fattezze,
t’eccita, ti richiama al mio tormento
quale fosti d’età in età, puerile,
puerile sotto nuvole di marzo,
giovinetta sgusciata da anni informi
tra infanzia e pubertà, donna nel vento.
Frattanto siamo divenuti grigi.Esco, guardo addossato ai muri alti
la mia patria ventosa e montuosa,
prendo fiato, poi seguo la via crucis.
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