Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)
- Autore: Thérèse Hargot
- Genere: Psicologia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Sonzogno
- Anno di pubblicazione: 2017
“Cos’è la libertà se non la possibilità di scegliere ciò che sentiamo giusto per noi?”
Questa è la domanda centrale che la sessuologa belga, e residente a Parigi, Thérèse Hargot, nel suo libro “Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)” edito in Italia da Sonzogno, pone a sé, ai ragazzi delle scuole in cui tiene corsi di educazione sessuale e a noi, che ci interroghiamo sui bisogni nostri e dei nostri ragazzi. La pone perché è evidente che gli adolescenti di oggi appaiono confusi da una mancanza di riferimenti sicuri e da un’esagerazione di informazioni e di stimoli impersonali e, spesso, assai prematuri. Dal suo studio inoltre ha potuto constatare che non solo i più giovani sono disorientati, bensì anche molti adulti, che si ritrovano arenati in un’adolescenza cronica, che non riesce a sbloccarsi e a permettere una vita relazionale positiva.
Eppure la rivoluzione sessuale ha portato la liberazione da dogmi e tabù, da divieti e oppressioni psicologiche. Cos’è successo dunque?
Liberazione: Thérèse Hargot ci invita a riflettere su questo termine. Se la libertà significa poter scegliere, dice la dottoressa, allora siamo ben lontani dall’averla raggiunta e, soprattutto, insegnata ai nostri ragazzi.
Essi sono liberi di accedere a molti siti pornografici fin dall’età della scuola primaria: il risultato è che sono subissati di immagini che non sono pronti a capire ma che a livello inconscio stimolano in loro pulsioni fortissime e fuori dalla portata della loro età fisica e anche della realtà. Quand’anche infatti riescano a sperimentare con qualcuno quegli impulsi indotti, non sanno davvero cosa stiano facendo e non si mettono in relazione con la persona che hanno davanti, perché non sono ancora abbastanza maturi per farlo. Ne viene un senso di paura, frustrazione e di inadeguatezza. Non è una scelta libera e consapevole, tanto più che le immagini pornografiche creano dipendenza e paura di doversi per forza adeguare ai modelli imposti dalla moda. Quanto ai numerosi corsi di educazione sessuale, si sono troppo spesso risolti in una banalizzazione della relazionalità e in una trasmissione di informazioni meramente igieniche e meccaniche. Questo ha trasformato il sesso, nella visione degli adolescenti, in un’esperienza fisica standardizzata e obbligatoria da una parte e pericolosa dall’altra, essendoci troppo spesso, da parte dell’adulto, la sola preoccupazione di scongiurare malattie e gravidanze indesiderate. Poco spazio c’è, in tale contesto, per l’espressione di sé da parte del giovane, delle sue emozioni, delle sue ansie e, dove necessario, del bisogno di attesa di una maturazione più lenta e graduale. È questa la libertà a cui siamo arrivati?
Anche l’emancipazione della donna, sostiene Thérèse Hargot, è una falsa libertà conquistata. La donna infatti ha sicuramente guadagnato la sua indipendenza economica col suo ingresso nel mondo del lavoro, ma esso ha avuto un caro prezzo: doversi mascolinizzare per adeguarsi ai ritmi e alle esigenze lavorative pensate per gli uomini. La maternità è divenuta un ostacolo, la femminilità un veicolo per acquisire favori dai capi uomini, il desiderio di stare in famiglia un segno di arretratezza e di umiliazione. L’uomo e la donna si sono così ritrovati entrambi frustrati e posti l’uno contro l’altra.
Non c’è libertà se non c’è scelta. Thérèse Hargot ci invita caldamente a considerare l’insoddisfazione e l’infelicità che tocca con mano ogni giorno nel suo studio, come un chiaro segnale del fatto che ci sia ancora molta strada da fare per trovare una dimensione che sia dignitosa sia per l’uomo che per la donna. E non la troveremo fino a che non avremo preso coscienza del fatto che siamo passati da un divieto a un obbligo e che siamo rimasti costretti in norme che calpestano il nostro personale benessere.
Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)
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ho letto il libo e la recensioe, un cosa su tutte mi ha colpito della seconda, il fatto di definire "studio" una banale reccolta di esperienze che con lo studio scientfico non hanno nulla a che spartire. Trovo quindi la recensione troppo partigiana ed il libro decisamente banale e al limite del lefevrianesimo militante.