Il pensiero di Henri Bergson ebbe un effetto rivoluzionario sulla società del Novecento. La popolarità del filosofo giunse ad eguagliare quella di Jean-Paul Sartre, uno dei maggiori esponenti della cultura francese.
Il pensiero di Henri Bergson superò le tradizioni ottocentesche del Positivismo ed ebbe una forte influenza nei campi della psicologia, della biologia, dell’arte, della letteratura e della teologia.
La sua lungimiranza e la vastità delle sue intuizioni lo portarono a essere il primo filosofo a ricevere il premio Nobel per la Letteratura con la seguente motivazione:
Per le sue ricche e feconde idee e per la brillante abilità con cui ha saputo presentarle.
La filosofia di Henri Bergson
La rivoluzione di Bergson fu quella di trattare l’intuizione come atto metafisico mediante cui si genera connessione tra un oggetto e l’altro. Si tratta come si legge in Introduzione alla metafisica, di un atto interiore con qualcosa di assoluto che diventa una coincidenza con ciò che c’è in esso.
Per Bergson è l’intuizione in sé l’enérgeia, atto progressivo – la tesi centrale è che la vita, sin dalla sua origine, sia la continuazione di un solo e medesimo slancio vitale.
Henri Bergson fu definito il filosofo dello spiritualismo perché nella sua concezione all’origine della vita c’è una coscienza o “supercoscienza” che è anche esigenza di creazione. All’uomo, secondo il filosofo, spetta di superare i limiti imposti dalla materialità attraverso l’arte, la religione, la morale.
È l’uomo soltanto come coscienza, libertà, apertura all’azione che può sostenere lo slancio vitale e quindi la creazione, il divenire. Bergson esalta dunque attraverso l’essere umano il potere dell’intuzione nel quale intravede un istinto consapevole e capace di autoriflessione.
Lo spiritualismo di Bergson si afferma come baluardo contro il razionalismo, l’intellettualismo e lo scientismo dell’epoca. Alle correnti di pensiero dominanti Bergson oppose sempre il valore empirico dell’intuizione.
Il concetto di tempo è un altro degli elementi fondamentali dell’opera del filosofo che nei suoi scritti contesta la razionalizzazione scientifica del concetto di tempo che non tiene conto della stretta connessione con la coscienza umana.
Henri Bergson: la vita
Henri-Louis Bergson nacque a Parigi il 18 febbraio 1859 da una famiglia ebraica di origine islandese. Frequentò il liceo Condorcet e in seguito intraprese gli studi di matematica e filosofia alla Normale di Parigi.
Sin dalla più giovane età Bergson intravide nella spiritualità una chiave di lettura della vita e del mondo circostante. La sua carriera scolastica fu costellata di riconoscimenti, da ragazzo vinse un premio scientifico e appena diciottenne ne vinse un altro per aver risolto un problema matematico che gli valse una nomina negli Annales de Mathématiques.
Nel 1889 pubblicò la tesi del suo dottorato in filosofia Saggio sui dati immediati della coscienza che diventerà la sua opera principale, contenente la summa del suo pensiero. A quella prima pubblicazione seguiranno Materia e memoria nel 1896, un’analisi sui rapporti tra corpo e mente, Il riso (1901) in cui analizza i principali meccanismi di produzione del comico, e L’evoluzione creatrice nel 1907, un contributo di riflessione filosofica alla teoria dell’evoluzione di Darwin.
Quest’ultimo scritto, in particolare, diventerà una delle sue opere più discusse e conosciute. In seguito alla pubblicazione de L’evoluzione creatrice la fama di Henri Bergson aumentò enormemente.
Il successo internazionale di Henri Bergson
I suoi scritti generarono fermento nel mondo culturale dell’epoca, diversi scrittori si appassionarono al pensiero del filosofo, tra cui un certo Marcel Proust.
Per mantenersi Bergson insegnava filosofia nei licei parigini, ma intanto alle sue conferenze iniziava ad accorrere tutta l’élite intellettuale dell’epoca.
Nel 1924 ottenne il riconoscimento di Accademico di Francia e appena qualche anno dopo venne eletto presidente della “Commissione per la cooperazione intellettuale”.
Gli ultimi anni
A partire dal 1925 il filosofo iniziò a soffrire di reumatismi paralizzanti e dovette ridurre gli incarichi pubblici. Nonostante la malattia riuscì a dedicarsi alla scrittura di quella che sarà la sua ultima grande opera Le due fonti della morale e della religione. La completò nel 1932, pochi anni dopo la vittoria del premio Nobel per la letteratura.
Negli ultimi anni della sua vita Henri Bergson rifletté a lungo sulla religione: non volle convertirsi ufficialmente al cattolicesimo per non tradire le sue origini ebraiche proprio agli albori della Seconda guerra mondiale.
Le mie riflessioni mi hanno portato sempre più vicino al cattolicesimo, nel quale vedo il completamento dell’ebraismo. Io mi sarei convertito, se non avessi visto prepararsi da diversi anni la formidabile ondata di antisemitismo, che va dilagando sul mondo.
Nel suo testamento tuttavia dispose di voler essere sepolto secondo il rito cattolico e che il suo funerale fosse officiato da un sacerdote.
Morì a Parigi il 4 gennaio 1941 a causa di un’insufficienza respiratoria all’età di 82 anni.
Oggi la corrente di pensiero da lui promulgata ha preso il nome di Bergsonismo bergsonianesimo, una filosofia che riassume le intuizioni di Henri Bergson in materia di tempo, memoria e religione, e promulga l’idea di un “elan vital”, lo slancio vitale, che ricorda che c’è sempre qualcosa nella vita che sfugge alla pura formula meccanicistica e scientifica.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Henri Bergson: chi era il filosofo francese che vinse il premio Nobel per la Letteratura
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Il termine "spiritualismo" applicato all’opera bergsoniana è equivoco e inappropriato perchè contraddice l’unitarietà dello slancio vitale creativo che percorre la materia fino all’uomo che ne esalta la consapevolezza. Spirito e materia sono categorie antitetiche di antica origine manichea e che serpeggiano per l’intera tradizione filosofica occidentale fino ad esprimersi nelle figure del computing e della corporeità vista come suo ritardante. Non potendo cogliere d’intùito l’unità quantica di materia e slancio vitale ne esprimiamo in categorie relativistiche lo statuto ontologico.