Il mare è un elemento imprescindibile dell’estate: una scenografia necessaria, uno sfondo azzurro naturale che acquieta l’anima e al contempo la interroga con le sue onde e i suoi abissi, il suo mistero.
Giovanni Pascoli ci restituisce la suggestione di tutte queste sensazioni in una lirica dedicata al grande blu marino.
Nella poesia Il mare, contenuta in Myricae, la più celebre raccolta di Pascoli pubblicata nel 1891, l’enigma della grande distesa acquea prende forma, si fa corpo e materia, sino a trasformarsi in un interrogativo eterno che da sempre accompagna l’uomo: “dove conduce quello specchio d’acqua infinito? Ha una fine o un inizio? Cosa vuole comunicarci?”.
Pascoli ci restituisce il mare e il suo mistero in una breve poesia, perfetta nella sua costruzione sintattica calibrata che alterna la rima alternata alla rima baciata, interrogando l’infinito con domande di leopardiana memoria.
Se Leopardi domandava alla luna “Che fai tu luna in ciel? Dimmi che fai silenziosa luna?” ecco che Pascoli si rivolge al mare, al profondo blu increspato dai riflessi d’argento, e chiede al tumulto delle onde risposta alla sua inquietudine d’uomo. Anche il mare, come la luna di Leopardi, oppone alle domande del poeta il silenzio, eppure la sua calma apparente sembra carica di significati occulti.
Scopriamo testo, analisi e commento della poesia di Giovanni Pascoli dedicata al mare.
Il mare di Giovanni Pascoli: testo
M’affaccio alla finestra, e vedo il mare:
vanno le stelle, tremolano l’onde.
Vedo stelle passare, onde passare;
un guizzo chiama, un palpito risponde.
Ecco, sospira l’acqua, alita il vento:
sul mare è apparso un bel ponte d’argento.
Ponte gettato sui laghi sereni,
per chi dunque sei fatto e dove meni?
Il mare di Giovanni Pascoli: parafrasi
Mi affaccio alla finestra e vedo il mare. Intanto le stelle brillano nel cielo e le onde lente oscillano. Vedo le stelle che transitano e le onde che passano, mentre un bagliore chiama e uno zampillo d’acqua sembra rispondere.
L’acqua pare produrre un rumore simile a un sospiro mentre il vento la attraversa e la agita con il suo soffio implacabile. Sulla superficie del mare si compone un ponte color argento.
Oh ponte, costruito su superfici tranquille e quiete, di cosa sei fatto e dove conduci?
Il mare di Giovanni Pascoli: analisi
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Pascoli si avvale di una costruzione sintattica e metrica impeccabile: una sola strofa in versi endecasillabi scandita da rime alternate nella prima parte e da rime baciate nella seconda. La lirica sembra restituire al lettore il movimento palpitante dell’onda e spalancare i suoi occhi all’infinità dell’orizzonte. Attraverso le parole il poeta ci restituisce il suo sguardo mentre scruta al di fuori di quella finestra affacciata sul paesaggio marino che ben presto si fa specchio di una dimensione interiore, intima.
Metafore, onomatopee (i “guizzi” dell’acqua e il “tremolar” delle stelle), parallelismi, allitterazioni basate sulla ripetizione di consonanti liquide ci restituiscono poi la musicalità del verso che per Pascoli diventa essenziale nel tentativo di riprodurre il moto continuo dell’onda marina e dei suoi amari flutti dando forma e corpo al paesaggio attraverso la parola scritta.
La poesia si apre con una descrizione naturalistica che ben presto si fa specchio di una contemplazione più profonda tutta penetrata nell’interiorità. Pascoli, con lo sguardo stupito del “fanciullino”, osserva con stupore l’incanto supremo della natura che si manifesta. Il mare con le sue onde e i suoi abissi diventa uno spettacolo carico di meraviglia capace di mozzare il fiato: si fonde con il cielo di cui appare il riflesso capovolto.
Non si tratta tuttavia un paesaggio quieto e sereno. Ogni cosa sembra essere sottoposta a un cambiamento incessante, a un perenne mutare. Le onde guizzano e palpitano, mentre le stelle tremolano nel cielo emanando lievi bagliori. Il mare pare farsi specchio riflesso del cielo: le onde rispondo al transitare delle stelle. Tutto sembra essere sottoposto a un moto ininterrotto che non si sa da cosa sia originato né dove conduca.
Il mare di Giovanni Pascoli: commento
L’apparente tranquillità della sera è spezzata bruscamente da un interrogativo che dilania l’anima del poeta. Sulla superficie del mare sembra crearsi un ponte argentato, una strada illusoria che appare come un miraggio. Lo sguardo dell’Io lirico si sofferma su quell’immagine fugace come se si trattasse di una profezia dell’ignoto.
L’incanto della natura si contrappone all’inquietudine insita nell’uomo. Mentre gli elementi naturali vivono per se stessi, sufficienti a se stessi, l’essere umano si interroga costantemente sul senso e la direzione della propria vita. Guarda quindi alla distesa azzurra e infinita del mare domandandosi: dove conduce? Perché deve pur esserci una meta. Pascoli lascia l’interrogativo in sospeso, porgendolo al lettore, come in un passaggio di testimone.
Quella domanda finale “per chi dunque sei fatto e dove meni?” è ambigua: può riferirsi tanto al mare quanto all’uomo e contenere una riflessione profonda sul senso della vita. Pascoli, non a caso, la lascia irrisolta nella sua tensione verso l’ignoto, restituendoci così tutta la suggestione del mare che con il palpito costante delle sue onde sembra accompagnare il battito del cuore. Forse è per questo motivo che l’essere umano dinnanzi al mare ritrova la pace: il battito del cuore si accorda allo sciabordio dell’onda nell’esprimere il desiderio ineludibile di infinito.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Il mare”: la poesia di Giovanni Pascoli che riflette l’inquietudine umana
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