Uno dei temi fondamentali dell’opera dello scrittore siciliano Luigi Pirandello, premio Nobel per la Letteratura nel 1934, è quello del conflitto irriducibile tra l’essere e l’apparire esemplificato dall’oggetto della maschera.
Una visione che ha forti ripercussioni sull’attualità contemporanea in cui assistiamo al predominio dell’immagine nel mondo social. Oggi viviamo assediati dalle immagini, in una smaterializzazione progressiva dei corpi e delle identità.
In questo presente digitale in cui mostrare - ma soprattutto mostrarsi - è diventato il nuovo modo di raccontarsi, la visione pirandelliana della maschera si concretizza in una tragica realtà che si fa ogni giorno sempre più tangibile.
Pirandello nel celebre romanzo Uno, nessuno e centomila afferma che la personalità umana è molteplice: ognuno di noi non è “uno”, ma contiene in sé numerose personalità che hanno diverso valore. La vita è un costante oscillare tra poli opposti, tra termini contraddittori, questa concezione raggiunge il proprio vertice espressivo con “Uno nessuno e centomila”, meravigliosa metafora della scomposizione identitaria verificatasi nella realtà contemporanea in cui si assiste al predominio della “falsa immagine” per cui ognuno di noi è “uno” - ma è poi davvero corretta l’idea che ha di sé stesso? - ed è “centomila” - potenzialmente infinito quanto gli sguardi che lo osservano attribuendogli un’identità - e al contempo “nessuno” - poiché l’immagine che gli altri hanno di lui non corrisponde al vero.
La morale del libro è stata riassunta in una citazione ormai in voga, erroneamente attribuita all’autore:
Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.
L’autore siciliano ci ricorda di guardarci sempre dall’apparenza delle persone. Fuor di metafora, si critica una società che alla sostanza preferisce l’apparenza fatta di molti finti sorrisi, di un perbenismo ipocrita e vacuo. Rendendo manifesta l’antitesi tra maschera e volto, Pirandello ci invita a cercare l’autenticità, che è sempre più rara, spesso celata negli sguardi, in quella parte d’anima messa a nudo, delle persone realmente sincere che incontreremo lungo il cammino.
Nelle opere di Pirandello il tema della maschera ritorna spesso poiché si lega strettamente alla percezione dell’identità. Scopriamo più nel dettaglio come lo scrittore e drammaturgo siciliano lo sviluppa nella sua opera.
Il pensiero di Pirandello e la recita del mondo
La concezione pirandelliana è derivata dal Decandentismo, movimento che alla fine dell’Ottocento segna la crisi del Positivismo e della spiegazione scientifica della realtà. Tutto è relativo, imprevedibile, scostante, la percezione di una realtà oggettiva entra profondamente in crisi.
La vita stessa, nella visione di Pirandello, appare come “un magma vulcanico” in continua ebollizione, un continuo fluire. La tragedia dell’uomo consiste proprio in questo: nel perenne fluire dell’esistenza anche l’Io si smarrisce, si disgrega, assume diverse sembianze.
La frantumazione dell’Io è centrale nella poetica pirandelliana, e deriva direttamente dalle teorie psicologiche che si svilupparono a inizio Novecento, dagli studi di Sigmund Freud e Alfred Binet. Non esistono più valori e verità e assolute, ma tutto è relativo e si esemplifica nel dualismo tra vita e forma.
L’identità individuale è un magma informe e sfuggente che la società cerca di governare a tutti i costi imponendogli una forma prestabilita, ovvero la maschera.
Vivere nel mondo significa dunque assumere diverse maschere come se si recitasse come attori su un grande palcoscenico. È ciò che Luigi Pirandello definisce poeticamente la “recita del mondo”.
C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando stai solo, resti nessuno.
Con queste parole il grande scrittore esemplifica la crisi dell’individuo, che sarà l’elemento cardine della letteratura novecentesca. È in realtà l’inizio di una crisi che permane ancora oggi, sotto altre forme e aspetti, nella moderna società liquida (teorizzata da Bauman, Ndr) in cui l’unica costante è il cambiamento, la metamorfosi continua. La maschera sociale immobilizza l’identità ma, così facendo, soffoca la vita.
Smarrito l’uomo si domanda: “chi sono io?” La sua identità tuttavia è in perenne divenire, non può essere intrappolata stabilmente in una forma precisa né dal punto di vista fisico né da quello mentale. Alla dualità dell’uomo, esemplificata dalla metafora della maschera, Luigi Pirandello ha dedicato gran parte delle sue opere, ma soprattutto due grandi romanzi: Il fu Mattia Pascal (1904) e Uno, nessuno e centomila (1926) considerati i testi cardine del suo pensiero.
La maschera in Il fu Mattia Pascal
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Pubblicato nel 1904, Il fu Mattia Pascal è il romanzo più celebre di Pirandello in cui l’autore apre la sua accesa polemica contro la società moderna. Con un tono umoristico lo scrittore narra le vicende di un uomo che decide di cambiare completamente la sua vita. L’intera opera ruota attorno al tema dell’identità individuale raccontando la doppia identità.
Un giorno Mattia Pascal legge sul giornale la cronaca di un suicidio avvenuto a Miragno, in Liguria, e scopre di essere stato identificato nel cadavere in stato di putrefazione. Dopo un attimo di totale smarrimento, Mattia decide di cogliere l’occasione per lasciarsi alle spalle la sua vecchia vita e assumere una nuova identità, quella di Adriano Meis.
Ritorna in quest’opera il tema della maschera imposta dalla società all’individuo mostrando un protagonista che si ribella alle convenzioni sociali, e decide di vivere un’esistenza autentica, libera dalle trappole della famiglia e del lavoro in cui si annidano le frustrazioni umane. Ma una vita del genere è veramente possibile? Una vita senza forma, né identità, può veramente essere accettata e vissuta? Nella conclusione ritroviamo il protagonista che va a far visita alla propria tomba e rilegge il proprio nome scritto sull’epigrafe.
Ah, che vuol dir morire! Nessuno, nessuno si ricordava più di me, come se non fossi mai esistito...
Folle! Come mi ero illuso che potesse vivere un tronco reciso dalle sue radici?
In questo romanzo Pirandello dà voce a uno dei temi centrali del suo pensiero sviluppando la riflessione sul doppio che alberga nelle vite di tutti noi, mostrando l’assurdità della condizione umana divisa tra la percezione della coscienza e il valore fittizio della forma. Un concetto filosofico che lo scrittore svilupperà nelle sue opere successive.
Recensione del libro
Il fu Mattia Pascal
di Luigi Pirandello
La maschera in Uno, nessuno e centomila
Il romanzo Uno, nessuno e centomila, pubblicato nel 1926, fu definito da Luigi Pirandello il suo romanzo testamentario. Si tratta infatti dell’ultimo libro dello scrittore siciliano che segna, al contempo, il punto d’arrivo della sua riflessione sulla frantumazione dell’Io.
Luigi Pirandello fa del personaggio di Vitangelo Moscarda la rappresentazione più compiuta e perfetta della sua filosofia, mostrando la crisi dell’uomo moderno. Il libro si apre mostrando Moscarda che un giorno si guarda allo specchio poiché la moglie gli fa notare che il suo naso “pende verso destra”. La constatazione di quel difetto - che mai aveva notato prima - scatena in Vitangelo Moscarda una profonda crisi di identità. D’improvviso si accorge di apparire agli altri in modo molto diverso da come lui stesso si percepisce: fino a quel momento infatti aveva ritenuto di avere un naso perfettamente dritto. La rivelazione ha quindi una ripercussione fortissima sulla sua percezione di sé. Scoperta la frantumazione della propria identità - dunque lo scarto tra la maschera e il volto - Moscarda inizia a ossessionare amici e parenti con domande e interrogativi che lo fanno credere pazzo. E di fatto precipita progressivamente nella follia. Cerca di distruggere il “se stesso sociale” per rivelare il “sé stesso autentico”; ma l’impresa si rivela più ardua del previsto.
Dopo deliranti tentativi e molteplici avventure, Vitangelo Moscarda finisce in un ospizio dove trova conforto nel dialogo con la Natura. Solo nel mondo naturale può infatti abbandonare le infinite maschere che la società gli ha imposto.
La conclusione di Pirandello è puramente spirituale, ci mostra una sostanza che finalmente si libera dalla prigione materica del corpo. L’esistenza così come la realtà stessa può infatti essere soggetta a mutevoli interpretazioni:
La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest’albero, respiro tremulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola, domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo.
Nei suoi romanzi e in tutta la sua opera Luigi Pirandello ha dato voce a uno smarrimento dell’identità che nella società contemporanea si è acuito oltre misura, prendendo le forme del conformismo e della ricerca costante di approvazione ora tradotta nell’unità di misura dei like di Facebook e dei cuori su Instagram.
La vera sfida, questo lo scrittore non lo dice ma lo lascia intendere, è la ricerca della propria autenticità: essere sinceri, veri, puri, pur nella propria differenza. I protagonisti delle opere pirandelliane non sempre ci riescono, ma almeno ingaggiano la loro lotta contro il mondo che li vuole omologati, tentano a modo loro di intraprendere una strada nuova sia pure attraverso la follia.
La metafora pirandelliana della maschera contiene in nuce un ammonimento, che può essere letto anche come un comandamento di vita: provare a diventare se stessi con tutte le proprie forze.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il tema della maschera nell’opera di Luigi Pirandello
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