“Storie da Edward Hopper” è il sottotitolo di “Luce con muri” (Skira 2016, pp. 64, euro 13,50) di Michele Mozzati, scrittore e autore teatrale e televisivo, ideatore e condirettore dell’agenda Smemoranda, conosciuto soprattutto per il suo quarantennale lavoro, in campi diversi, con Gino Vignali (insieme Gino&Michele).
In questo testo Michele Mozzati raccoglie dieci brevi storie da dieci quadri di Edward Hopper (Nyack, 22 luglio 1882 – New York, 15 maggio 1967) pittore statunitense famoso soprattutto per i suoi ritratti della solitudine nella vita americana contemporanea.
Edward Hopper è il titolo della mostra che si apre oggi a Roma (1 ottobre 2016 - 19 febbraio 2017) al Complesso del Vittoriano - Ala Brasini, realizzata sotto l’egida dell’Istituto per la Storia del Risorgimento, in collaborazione con l’Assessorato alla Crescita Culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, prodotta e organizzata da Arthemisia Group in collaborazione con il Whitney Museum of American Art di New York, che dà conto dell’intero arco temporale della produzione “del più grande pittore americano”.
“Questo libro è un non-libro. Questo libro non-libro è forse un oggetto per grandi che non hanno mai voluto smettere di leggere come fanno i bambini”.
C’è chi ritiene Hopper un narratore di storie e chi, al contrario, l’unico che ha saputo fermare l’attimo, cristallizzato nel tempo, di un panorama, come di una persona.
“Se potessi dirlo a parole, non ci sarebbe alcun motivo per dipingere”.
Partendo dalla celebre fase del più popolare e noto artista americano del XX secolo, uomo schivo e taciturno, amante degli orizzonti di mare e della luce chiara del suo grande studio, Michele Mozzati scrive dieci brevi storie nate lasciandosi coinvolgere dai dipinti pieni di luce e di silenzio di Hopper. Storie per nulla vincolate da epoche o luoghi, ma semplici suggestioni sollecitate da un volto, un’ombra, una casa bianca o una finestra piena di mare. Dieci racconti per adulti sognatori che riportano un po’ all’età infantile, quando i libri si leggevano e si sfogliavano guardando le figure.
“C’è una lunga vetrata ricurva. Dentro c’è un bar. Dentro al bar c’è Glenda, perché lei si chiama Glenda. Lui è Rudy, lo si capisce dal Borsalino adagiato morbido sulle orecchie. Le sta seduto accanto, ma non è serata. L’altro, lo vediamo di spalle, ha un nome tutto suo e se lo tiene per sé. Per noi è l’Ingrugnito, anche se non ne scopriremo mai il volto. È quello abbarbicato sul secondo sgabellone da sinistra. I restanti cinque trespoli, sulla sua destra, sono vuoti, così come il primo. È il vuoto, che resta negli occhi. Vuota è la vetrata del bar, vuota è la strada, vuota la casa di fronte, le finestre. Aperte e vuote. È estate, si direbbe. Vuota, da pensare, la porticina in fondo al bar: si capisce che di là non c’è nessuno. La cucina. Troppa luce. Eccessiva per essere una notte del ’42. C’è tanta luce che si vedono i particolari. La macchina per scrivere esposta nella vetrina di fronte. O è un registratore di cassa. Il sale e il pepe, lo zucchero, lo sciroppo d’acero, i tovagliolini di carta sul bancone. Due grandi macchine da caffè, tre tazze. C’è un bicchiere bevuto tra il quarto e il quinto sgabello. Qualcuno se n’è andato.”
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Arriva in libreria “Luce con muri” di Michele Mozzati mentre al Vittoriano approda Hopper
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