Ilaria Tuti, una potenza evocativa che trasuda non solo dalle parole a cui affida tutto il suo mondo interiore e narrativo, ma che emerge lentamente e in modo nitido da una profondità di sguardo che rivela al contempo forza, dolcezza e tenacia.
Dopo Fiori sopra l’inferno (2018), Ninfa dormiente (2019) e Fiore di roccia (2020), la suggestiva penna di Ilaria vive e si manifesta ancora una volta in Figlia della cenere, il suo ultimo romanzo uscito per Longanesi il 3 giugno, che vede il ritorno dell’amata eroina Teresa Battaglia e fra le cui pagine è possibile andare oltre, scorgendo l’incanto e il magnetismo che emanano gli occhi dell’autrice.
- Thriller: come si giunge a toccare con mano questo genere? Ovvero, quali forze e quali stimoli ti hanno influenzato e spinta a sentirlo nascere e crescere dentro di te?
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L’indagine vera e propria è quella che scorre sotto la superficie dei fatti, in questo caso crimini, e si dirama, profonda, nell’animo umano. È questo interesse per le zone d’ombra che ciascuno di noi ha dentro – qualcuno più di altri – ad avermi spinta a sondare attraverso i romanzi i meccanismi psicologici ed emotivi che stanno alla base di una caduta. La caduta di un essere umano. Perché quando si parla di moventi psicologici complessi che muovono la mano dell’assassino, il carnefice è la prima vittima di una lunga serie, anche se ci disturba pensarlo in questi termini.
- Potere dell’immagine: osservando le copertine dei tuoi romanzi si evince la presenza di un fil rouge, un filo conduttore che li unisce, ed è quello che lega Uomo e Natura, ovvero la figura ricorrente di una giovane donna voltata di spalle immersa nel paesaggio a lei circostante. Chi tra i due è il vero spettatore?È l’uomo che osserva la natura o è quest’ultima a osservare l’uomo? Chi è il vero protagonista?
Lo sono entrambi, da prospettive e con linguaggi diversi. La natura usa un linguaggio subliminale, quello atavico dei simboli primigeni: ci parla attraverso vibrazioni che il nostro inconscio comprende bene – sono stimoli depositati nella memoria genetica, perché noi, intesi come specie, veniamo da lì, siamo nati lì, tra gli alberi di una foresta, e ne riconosciamo tanto la protezione quanto la minaccia. La protagonista o il protagonista di una storia, invece, ci parla di noi stessi e del mondo in superficie in modo molto più diretto e fluido, privo di “non detti”. Sono due tipi di comunicazione che operano a livello diverso ma simultaneamente.
- Terra natìa: quanto vive di lei nelle tue opere? E cosa ha il Friuli da insegnare o lasciare al lettore?
Non parlo mai di insegnamenti, quando racconto le mie storie. Preferisco offrire suggestioni, incuriosire e magari – nel più fortunato dei casi – spingere a intraprendere una ricerca personale sui temi affrontati, per darsi le risposte, o magari cercare ispirazione. La mia terra mi ispira, mi piace pensare che possa farlo anche con qualcun altro. È una terra antica ancora poco conosciuta, ricca di tradizioni, folclore, Storia, natura ancora selvatica, tesori artistici e archeologici. È un piccolo mondo che pulsa dentro le mie storie, che ancora guardo con la meraviglia di quando ero bambina e che, spero, possa incantare con la stessa forza anche le lettrici e i lettori.
- Ilaria e… il bosco, le montagne: cosa pensi abbiano da dire questi due contesti naturali? E tu, come donna e scrittrice, quale parte di loro ti senti? Del bosco, sei terreno, cespugli o alberi? Della montagna, rappresenti radici in profondità, pendio roccioso o vetta?
Sono contesti naturali ricchi di simboli, più che mai introspettivi, perché racchiudono abissi sempre in ombra e vette scintillanti, il rigore di inverni imponenti e la spinta alla sopravvivenza di primavere ed estati generose. Parlano della vita e della morte. La montagna e i boschi sono culla e sono trappola, rispecchiano le asprezze e le gioie di ogni esistenza. Sono mondi in perfetto equilibrio che possono infondere equilibrio, a chi li sa percorrere. Vorrei essere acqua che scorre, invece sono radici e terra.
- Ilaria e… le sue protagoniste: quali aspetti, sfaccettature o richiami intimi, personali, familiari possiamo rintracciare nel tratteggio delle tue eroine? Quanto esiste di te nella figura di Teresa Battaglia e/o in quella di una portatrice carnica?
In Teresa Battaglia ci sono tante donne reali, che ho incontrato e incontro in famiglia, nel lavoro, nelle amicizie, per strada. Volevo fosse vera, che avesse una voce comune a tante, e per questo speciale: comune nel senso di condivisa, in modo da rafforzare il suo sentire e renderlo universale. Siamo molto diverse, io e Teresa, per età, vissuto, carattere. In lei, però, c’è il riflesso della donna che mi auguro di essere un giorno: determinata, leale, compassionevole, fedele al proprio centro, eppure capace di cambiare per adattarsi e andare avanti. Le portatrici che ho raccontato mi hanno mostrato un coraggio che oggigiorno è difficile anche solo immaginare. In loro ci sono le mie radici e l’amore per questa terra.
- Luoghi “immaginari”: se dovessi maturare un pensiero rivolto a un’eventuale città italiana ed estera, in quali desidereresti ambientare un tuo futuro romanzo? E vuoi dirci il perché?
In Italia, a Ravenna, tra i suoi tesori bizantini colmi d’oro e suggestioni, e attorno al sepolcro di Dante. Le spoglie del Sommo Poeta hanno una storia rocambolesca che fa viaggiare la mia fantasia. Per l’estero non saprei, mi sento sempre ospite, turista. Dovrebbe essere la storia, o la Storia, a portarmi in un luogo specifico.
- Amore per la pittura: sappiamo che nel tempo libero facevi l’illustratrice per una piccola casa editrice. Quale tipo di tela, di quadro rappresentano le tue opere? A quale pittore o pittrice le accosteresti? Quali sono i colori che predominano in loro? Esistono chiaroscuri? Ed emanano più luce o rivelano più ombra?
Gli strumenti sarebbero la tela di lino e i colori a olio, la tecnica quella lenta della velatura, degli strati che impiegano settimane per asciugare. Amo Caravaggio e Artemisia Gentileschi, l’uso scenografico della luce che esplode nell’ombra, la tridimensionalità dei corpi, che sono forme e colore che si fanno carne. La luce e l’ombra hanno bisogno l’una dell’altra per rivelarsi, si rafforzano a vicenda. Più che i colori, sono le densità, le trasparenze, le iridescenze ad attrarmi.
- Musica: se dovessi tradurre i tuoi romanzi in musica, in melodia, a quale genere ti senti di rapportarli? E per quale motivo?
Quando scrivo ascolto sempre musica, in particolare seguo compositori contemporanei di colonne sonore, come Hans Zimmer e James Newton Howard. Le loro opere mi ispirano e, soprattutto, sono capaci di sollevare le emozioni, di portarle in superficie, in modo che io possa trasformarle in parole.
- Voci ed echi: quale suono, quale tono o timbro attribuisci alla voce di un tuo protagonista o personaggio? E quale eco, messaggio ti prefiggi di lasciare ogni volta al lettore? Che tipo di legame, di rapporto instauri con le figure che vivono attraverso le tue parole?
La voce di Teresa Battaglia è quella di una guerriera matura, impetuosa, stanca, ma non abbastanza per cedere le armi. Arrochita, bassa, carezzevole anche quando le parole sono sferzanti. Quella di Agata, la portatrice di Fiore di roccia, ha la cadenza della natura di montagna: lenta, precisa, dotata di una propria economia ma inarrestabile come i suoi passi, come il coraggio delle donne che rappresenta.
- Tempo: che valenza assume nei tuoi romanzi? E per te come persona che valore ha? Inoltre, in quale epoca passata ti piacerebbe poter contestualizzare una tua futura opera? Hai mai pensato a questa ipotesi?
Il tempo, il passato si intrecciano alle radici, alle origini, creano memoria che va custodita. Memoria personale, memoria collettiva di una comunità, memoria storica di un’intera nazione. Sono temi che mi affascinano e che indago sempre nelle mie storie. Essere consapevoli da dove veniamo può farci camminare per il mondo più sicuri, con una maggiore ricchezza da condividere con gli altri. Ho ancora tante epoche di cui scrivere. Dal Friuli sono passati molti popoli nel corso dei millenni. Non solo Celti e Romani, ma anche Unni, Avari, Longobardi, gli antichi Slavi, i Cosacchi con sciabole e carovane di cammelli. Ho l’imbarazzo della scelta.
- Trasposizione cinematografica: se dovessi valutare di tradurre sul piccolo o grande schermo un tuo romanzo, come ti porresti nei confronti di questa esperienza? Assumeresti il ruolo di regista, di sceneggiatrice o di attrice?
Di regista. In fondo, nei miei libri descrivo un film che sta scorrendo nella mia mente. Vedo le espressioni dei personaggi, ogni singolo gesto. Ascolto il tono della voce, ogni suono, anche i silenzi. Do le battute. Immagino i piani e i campi di ripresa, la posizione della luce. E la colonna sonora, come ho detto prima, c’è sempre.
Recensione del libro
Figlia della cenere
di Ilaria Tuti
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista alla scrittrice Ilaria Tuti, in libreria con “Figlia della cenere”
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