La scrittrice francese Marguerite Yourcenar pubblicò la prima edizione del suo libro-capolavoro Memorie di Adriano (Mémoires d’Hadrien, Ndr) nel 1951 con l’editore parigino Plon.
La composizione dell’opera la impegnava in realtà da oltre trent’anni: era iniziata, infatti, nel lontano 1924 come riportano le annotazioni custodite nel taccuino di appunti dell’autrice, il famoso Carnet des Notes per le Mémoires. Il progetto di scrittura fu più volte ripreso e interrotto, per poi essere abbandonato definitivamente tra il 1939 e il 1948.
L’ispirazione tornò improvvisa quando la scrittrice ricevette una valigia piena di lettere e carte di famiglia abbandonate in Svizzera durante la guerra. Smistando quei fogli dimenticati ritrovò inaspettatamente un frammento del manoscritto perduto. Proprio da quel piccolo appunto ritrovato ebbe inizio la scrittura, che stavolta procedette impetuosa e ininterrotta, debordando dalla sua mente come lava vulcanica.
Nei preziosi Taccuini di appunti, pubblicati per la prima volta in appendice all’edizione italiana Einaudi del 1988, Marguerite Yourcenar scrisse:
Questo libro è stato concepito, poi scritto, tutto o in parte, sotto diverse forme, tra il 1924 e il 1929, tra i miei venti e venticinque anni. Quei manoscritti sono stati tutti distrutti.
La scrittura di Memorie di Adriano
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Marguerite aveva appena ventun anni quando iniziò a progettare l’opera narrativa monumentale che le avrebbe garantito fama imperitura.
Era affascinata dalla figura dell’imperatore Adriano da sempre, ma la scintilla dell’ispirazione si accese in lei quando visitò, insieme al padre, le maestose rovine di Villa Adriana a Tivoli. Da quel momento iniziarono i primi tentativi di scrittura; la difficoltà principale, come mostrano le numerose note sparse del taccuino, era trovare la giusta voce narrante. Il focus sembrava sfuggirle continuamente tra le dita e la sua mente si ingarbugliava nel tentativo di non smarrire il filo della storia.
Dopo vari ripensamenti la scrittrice decise di adottare la forma epistolare: una lettera che iniziava con le parole “Mio caro Marco” divenne il motore stesso della scrittura. Dieci anni dopo aver annotato quell’appunto, Marguerite lo riprese e capì, all’istante, che sarebbe stato quello l’inizio del suo Memorie di Adriano: l’aveva sempre avuto sotto gli occhi, ma non se ne era accorta.
L’incipit tanto ricercato era racchiuso in quella lunga lettera immaginaria scritta dall’imperatore sul letto di morte al fidato successore Marco Aurelio. Una storia che, non a caso, iniziava dalla fine, come un testamento.
Nel romanzo Yourcenar narrava fatti storici - il libro al principio si proponeva come una biografia del grande imperatore romano - ma la narrazione fiume divenne ben presto una commistione di ricordi, esperienze, vicissitudini, sentimenti e nostalgie. Raccontava la vita: ecco che la ricostruzione del passato si trasfonde nella ricostruzione del mondo interiore dell’autrice e, ben presto, si traduce in una dimensione universale. Del resto, la scrittura del romanzo aveva impegnato la scrittrice per gran parte della sua esistenza e i due piani - quello della vita e quello della letteratura - si erano annodati strettamente sino a fondersi.
Marguerite Yourcenar era diventata il suo personaggio: la voce dell’imperatore morente era la sua. Il romanzo acquisì di conseguenza una forma ibrida che sfuggiva a qualunque definizione: non era un epistolario né un saggio storico né un poema, racchiudeva in sé la materia scottante dell’esistenza. Si proponeva di raccontare la memoria e il destino, la vita e la morte, ma soprattutto il mistero dell’amore.
Non v’è dubbio che sia l’amore, nello specifico l’amore omosessuale, uno dei temi centrali del romanzo. La relazione tormentata e tragica tra l’imperatore Adriano e il giovane schiavo Antinoo fu una delle ragioni che spinsero Yourcenar a scrivere l’opera. Ne era rimasta intrigata, stregata a tal punto da pensare di raccontare Memorie di Adriano attraverso la voce di Antinoo stesso.
Al giovane schiavo Marguerite Yourcenar aveva dedicato persino una poesia dal titolo Apparition (Apparizione, Ndr) che scrisse a soli quindici anni. Divenuta più adulta l’autrice capì che in realtà la voce narrante della sua storia non poteva essere lo schiavo morto probabilmente suicida, ma colui che era sopravvissuto alla sua morte e, dunque, all’amore più straziante, Adriano. Fu proprio attraverso la maschera dell’imperatore che Yourcenar riuscì a donarci una delle più affascinanti e struggenti definizioni dell’amore.
Se un essere solo, anziché ispirarci tutt’al più irritazione, piacere o noia, ci insegue come una musica e ci tormenta come un problema, se trascorre dagli estremi confini al centro del nostro universo, e infine ci diviene più indispensabile che noi stessi, ecco verificarsi il prodigio sorprendente, nel quale ravviso ben più uno sconfinamento dello spirito nella carne che un mero divertimento di quest’ultima.
Cos’è l’amore secondo Marguerite Yourcenar
Nel mezzo di una storia che si focalizzava sui trionfi e i fallimenti e indagava le traiettorie inspiegabili del destino (“la vita di un uomo si compone di tre linee sinuose che proseguono all’infinito”, scriveva l’autrice nei suoi appunti, Ndr) Yourcenar si sofferma sul concetto più sfuggente di tutti: l’amore, e ne fornisce un’intensa descrizione filosofica, piena di grazia e di potenza, senza tempo.
Nelle parole della scrittrice l’amore diventa incontro “tra sacro e segreto”, una sorta di prodigio che si verifica senza alcuna spiegazione e, soprattutto, sfuggendo a ogni logica razionale. In pagine ricche di intensità Yourcenar descrive l’amore come una forza capace di trascinare l’essere umano in universo insolito, nuovo e ignoto, quasi parallelo alla vita stessa.
Confesso che la ragione si smarrisce di fronte al prodigio dell’amore, strana ossessione che fa sì che questa stessa carne, della quale ci curiamo tanto poco quando costituisce il nostro corpo, preoccupandoci unicamente di lavarla, di nutrirla, e - fin dov’è possibile - d’impedirle che soffra, possa ispiraci una così travolgente sete di carezze sol perché è animata da una individualità diversa dalla nostra. (...)
Di fronte all’amore, la logica umana è impotente, come in presenza delle rivelazioni dei Misteri: non s’è ingannata la tradizione popolare, che ha sempre ravvisato nell’amore una forma d’iniziazione, uno dei punti ove il segreto ed il sacro s’incontrano. (...)
L’amore, non altrimenti della danza delle Menedi e del delirante furore dei Coribanti, ci trascina in un universo insolito, ove in altri momenti è vietato avventurarci, e dove cessiamo di orientarci non appena l’ardore si spegne e il piacere si placa.
L’amore tra l’imperatore Adriano e Antinoo
L’imperatore Adriano conobbe il giovane Antinoo una sera, nel corso di un incontro letterario tenutosi in una lussuosa villa in Oriente.
A un tratto intravede un giovinetto seduto in disparte, dall’aria pensosa e, al contempo, distratta: ne rimane colpito, accosta metaforicamente la sua immagine a quella di un pastore nel cuore della foresta, presto decide di avvicinarlo.
Fu l’inizio di quel “percorso dove cessiamo di orientarci”, così descrive Yourcenar il sentimento amoroso. Da quel momento Antinoo diventerà il prediletto dell’imperatore e lo seguirà ovunque, in ogni viaggio, per sei anni.
La magia dell’incontro cedette tuttavia il passo al più tremendo degli orrori. Durante uno dei tanti viaggi in Oriente Antinoo morì, annegato nel Nilo. Una “morte per acqua” come quelle divinizzate dagli Egizi. Fu suicidio? Oppure omicidio? Non è dato sapere. Ma l’ombra di quella morte accompagnò Adriano per tutto il resto della sua vita. Non potendo riavere indietro il suo amante, l’imperatore ne fece una divinità. In assenza del suo corpo vivo fece erigere un’infinità di statue marmoree che ne replicassero l’effigie.
Villa Adriana, a Tivoli, divenne un vero e proprio simulacro alla memoria di Antinoo: le immagini del giovinetto erano in ogni dove, scolpite nel marmo, nel bronzo, nel quarzo rosa, nel tentativo di eternarne la memoria. Lo aveva trasformato in un Dio.
Eros e thanatos, le due pulsioni opposte, che Marguerite Yourcenar individua e riesce a custodire magnificamente nelle sue pagine. Perché non si sarebbe potuta raccontare la storia di Adriano senza narrare di Antinoo, il suo tormento e la sua estasi ciò che lo rese vivo. Nel suo appassionato studio dell’imperatore romano, la scrittrice francese capì che non doveva indagare le temerarie imprese, le costruzioni architettoniche, la saggezza delle biblioteche: ma l’amore, il vero nocciolo di una vita mortale. E riuscì a dare, attraverso la scrittura, la forma concreta al sentimento più sfuggente e difficile da definire.
Marguerite Yourcenar e il destino di Adriano
Il grande scrittore francese Gustave Flaubert nel 1821 scrisse:
Cantami della sera odorosa in cui udisti / levarsi dalla barca dorata di Adriano / il riso di Antinoo e per placare la tua sete lambisti / le acque e con desiderio guardasti / il corpo perfetto del giovane dalle labbra di melograno.
La scintilla dell’ispirazione di Marguerite Yourcenar partì proprio dal suono cristallino, evanescente del riso di Antinoo eternato nella poesia di Flaubert. Capì che doveva raccontare quello, nel suo romanzo della vita: una felicità smarrita per sempre che si sarebbe eternata attraverso la scrittura.
Nel corso del processo tenutosi per oltraggio alla morale a Parigi, nel 1857, Gustave Flaubert difese il suo romanzo-capolavoro Madame Bovary affermando: “Madame Bovary c’est moi!”.
Certamente Marguerite Yourcenar, se interrogata in proposito, potrebbe dire lo stesso del suo imperatore: “Hadrien c’est moi”.
Da uomo a donna e da donna a uomo, la scrittura è in grado di compiere incredibili trasfigurazioni, metamorfosi impreviste che ci restituiscono una visione universale della vita, nel segno dell’umano.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Memorie di Adriano”: il capolavoro senza tempo di Marguerite Yourcenar
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