Il pianto dell’aragosta
- Autore: Marco Simonelli
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2015
Di Marco Simonelli, giovane poeta-performer-traduttore fiorentino, la casa editrice napoletana D’If ha pubblicato lo scorso anno una raccolta di versi dal titolo insolito e intrigante: “Il pianto dell’aragosta”.
Le tre sezioni di cui si compone il suo libro sono comprese tra due poesie, in apertura e conclusione, che suggerendo e paventando ipotetiche e minacciose persecuzioni o condanne (proprie e altrui, private e sociali), ne irridono sarcasticamente gli effetti:
“levar non sai / quel ghigno rosso fisso sulla faccia / che beffa e burla l’ombra dei tuoi guai”, “è tempo di occhi cerchiati di nero / è tempo d’arrendersi, accendere un cero”.
Già da subito mettendo in campo le armi formali e di contenuto che caratterizzano il poetare dell’autore, intelligentemente allusive all’eredità dal suo più illustre concittadino, Aldo Palazzeschi: l’ironia e l’uso ribadito e spiazzante della rima.
Già da una prima veloce lettura del testo, si viene colpiti dalla franchezza esibita con cui Marco Simonelli si apre a tutto ciò che lo circonda, a qualsiasi cosa riveli un’anima pulsante: personaggi e paesaggi, animali e abitudini quotidiane, amori e delusioni. Raccontando un “noi” coinvolgente e solidale, anche nella critica e nello sbeffeggiamento, con una comprensione canzonatoria ma clemente di tutto quello che è “altro”.
Così nella prima parte, un Bestiario descrive in otto componimenti l’affanno sofferente degli animali, torturati dall’indifferenza umana: chiocciole, roditori, gatti moribondi, coniglietti, cuccioli di cinghiali, e appunto l’aragosta (“L’aragosta va bollita viva. / Stordita dall’ossigeno boccheggia / sul marmo di cucina. //… Si dice che al contatto con la morte / emetta un grido, strilli, / un pianto disperato, stile supplica”). Il confronto tra il dolore innocente e la crudeltà impassibile non dà adito a giudizi recriminatori, ma viene semplicemente inquadrato visivamente in immagini esplicite, che hanno un impatto quasi cinematografico.
La seconda e la terza sezione ci introducono in ambientazioni decisamente più umane, nei rapporti che si instaurano tra amici, nei paesi, in villeggiatura, nei condomini o nei bar. In Cortesie per gli ospiti e ne Il settimo anno, la gentilezza rimane comunque da salvare anche quando le relazioni sono improntate all’interesse, alla vanità, a un’inaspettata invidia, al tradimento. Lo stile scelto per raccontare episodi di vita ha un impianto narrativo e teatrale (che forse manifesta qualche debito al Giudici de “La vita in versi”, e al Luzi di “Nel magma”), ma addolcito da cantabilissimi endecasillabi, e attualizzato da espressioni idiomatiche (“Vacci tranqui”, “Ecchecazzo s’è rotto l’ascensore”).
Raccontati nei loro gesti, tic, atteggiamenti e propensioni morali possono essere i pazienti chemioterapizzati di una clinica asettica, nei loro rimpianti per l’ospedalizzazione più umana del passato (“erano altri tempi quelli lì / si stava male stando tutti insieme”), la compagnia di amiconi che si rivela improvvisamente aggressiva (“Beviamo vino, parliamo dell’amore, / il nostro sciocchezzaio aumenta di volume”), la straripante matrona versiliana che troneggia in spiaggia e nei locali a la page, ma viene tradita dal marito vanesio (“E molle s’affloscia caliente la pelle abbrustolita / croccante panatura un tempo di fanciulla / ormai sfiorita”). Un caravanserraglio di varia umanità, disperata o gaudente, la cui osservazione e descrizione non mette tuttavia al riparo da crisi sentimentali, da rancori riaffioranti come fantasmi del passato, dalle strazianti separazioni dall’amato:
“Sarà come voltarsi all’improvviso / e vedere un totale sconosciuto / là dove poco fa c’era il tuo viso”, “Adesso puoi permetterti di piangere. / Puoi farlo in santa pace, è tuo diritto”.
Una poesia, quella di Marco Simonelli, che non teme di essere dichiarativa, estroversa, antidogmatica e, perché no?, anche sentimentale.
Il pianto dell'aragosta
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