Sogni e favole io fingo con questo ritornello, divenuto poi parte del titolo del libro edito da Ponte alle Grazie, Emanuele Trevi nel 2019 riportava in auge la figura di Pietro Metastasio, poeta e drammaturgo.
Ma chi era esattamente il celebre poeta dal nome grecizzante? E cos’hanno ancora da dire i versi di Metastasio ai giorni nostri?
In occasione dell’anniversario della sua nascita scopriamo di più su questo illustre personaggio della cultura italiana.
Chi era Pietro Metastasio
Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi nacque a Roma il 3 gennaio 1698.
Figlio di Felice Trapassi, soldato dell’esercito pontificio e poi salumiere, e Francesca Galastri. La madre morì quando Pietro aveva solo quattro anni e il piccolo fu cresciuto dal padre e dal fratello maggiore Leopoldo.
Leggenda narra che Pietro Metastasio ancora bambino affascinasse la folla recitando versi improvvisati su tema dato. Un giorno, mentre stava recitando nella bottega di un orefice cui era stato affidato per imparare l’arte, fu udito improvvisare da Giovanni Vincenzo Gravina, noto letterato e giurista.
Folgorato dal talento del ragazzo, Gravina decise di condurlo in casa sua dove lo crebbe come un figlio dandogli il cognome greco di Metastasio.
Gravina gli garantì l’istruzione migliore dalla solida base classica, impartendogli lezioni di latino e di diritto, e in seguito lo condusse con sé a Scalea, in Calabria, dove gli fece insegnare la filosofia cartesiana da uno dei più illustri esperti dell’epoca Gregorio Caloprese.
Si racconta tuttavia che Gravina esigesse il massimo dal ragazzo sottoponendolo a continui eventi di improvvisazione poetica in pubblico che esercitarono un forte stress sulla psiche del giovane Pietro.
Una volta tornato a Roma, Metastasio vestì l’abito talare e prese gli ordini minori. Nel 1717 pubblicò la sua prima raccolta di poesie, nella quale era contenuto Il Convito degli Dei, idillio epico in ottava rima, e la tragedia Giustino, che aveva scritto a soli quattordici anni.
Un anno dopo il suo patrigno e mentore Giovanni Vincenzo Gravina morì e Metastasio ereditò una fortuna di diciottomila scudi.
Si trasferì a Napoli dove iniziò a lavorare presso lo studio di un avvocato e, al contempo, si dedicò alla sua attività poetico-letteraria.
Il successo di Metastasio
A soli vent’anni Metastasio era già conosciuto come una figura eminente e di successo nella società italiana del tempo.
Nel 1721 compose la sua prima serenata musicale dal titolo Endimione e il dramma gli Orti Esperidi per incarico del viceré di Napoli.
Al termine di uno spettacolo Metastasio conobbe Marianna Bulgarelli, detta La Romanina, una nobildonna e cantante lirica che aveva recitato il ruolo di Venere nel dramma ed era rimasta impressionata dal talento del librettista.
La Bulgarelli decise di diventare la sua protettrice e lo indusse ad abbandonare la carriera legale per dedicarsi esclusivamente all’arte.
Metastasio e il melodramma
Alcuni anni più tardi Metastasio scrisse il suo primo vero melodramma,
Didone abbandonata (1723), che ottenne accoglienze trionfali e fu in seguito musicato da numerosi maestri.
Metastasio rinnovò il melodramma d’epoca barocca collocando il testo poetico in una posizione prevalente rispetto alla musica e alla rappresentazione. Nei libretti di Metastasio parole e musica vennero fusi armonicamente, garantendo un nuovo equilibrio tra poesia e composizione musicale.
Metastasio alla corte di Vienna
Nel settembre 1729, dopo diversi anni spesi sotto la protezione della Romanina, Metastasio accettò l’offerta di lavorare come librettista presso la corte di Vienna. La corte austriaca gli assicurava un impiego fisso e inoltre finalmente lo svincolava dall’influenza della sua protettrice.
Quella scelta segnò un nuovo periodo nella sua attività artistica. Tra gli anni 1730 e 1740 vennero prodotti per il teatro imperiale i suoi drammi migliori:
- Adriano,
- Demetrio,
- Demofonte,
- L’Olimpiade,
- La clemenza di Tito
Alla corte di Vienna Metastasio conobbe Marianna Pignatelli, vedova del conte d’Althan, alla quale si legò sentimentalmente. Si racconta che Metastasio giunse persino a sposarla in segreto.
Nel frattempo la Romanina gli scriveva lettere affrante invitandolo a tornare in Italia e lasciare la corte austriaca. Metastasio le rispondeva nel suo italiano nitido dissuadendola e manifestando l’intento tenace di restare a Vienna. Si narra che la nobildonna morì dopo essere partita per un lungo viaggio alla volta dell’Austria. Alla morte della Romanina, la sua intera eredità era stata intestata a Metastasio. Ma il poeta la rifiutò, forse afflitto dal rimorso per la morte di lei.
Alcuni anni dopo, nel 1755, morì l’amata Marianna Pignatelli e Metastasio ridusse i suoi rapporti sociali ai soli visitatori che andavano a trovarlo. Diceva di aver perso la sua vena poetica e trascorse gli ultimi anni della sua vita senza più comporre un idillio o un melodramma. Continuò a lavorare come maestro presso la corte austriaca, dove fu precettore di Maria Antonietta, futura regina di Francia.
Afflitto dai malanni della vecchiaia morì nel 1782, fu sepolto nella cripta della chiesa di San Michele a Vienna. Dopo la sua morte furono pubblicate postume le sue opere di critica letteraria.
Sogni e favole di Metastasio: significato
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La vita e le parole di Metastasio sono state riportate all’attualità dal formidabile ritratto che ne fece lo scrittore Emanuele Trevi nel 2019 nel suo libro Sogni e favole (Ponte alle Grazie, 2019).
I quattordici versi endecasillabi che Pietro Metastasio scrive nel sonetto Sogni e favole (1733) diventano il leitmotiv dell’intera narrazione di Emanuele Trevi.
Trevi si serve delle parole di Metastasio per spiegare il miracolo della letteratura e, allo stesso tempo, l’illusione suscitata nell’artista che si trova a essere schiavo della sua stessa immaginazione.
Nella conclusione del romanzo Trevi trasforma Metastasio in una sorta di proprio alter-ego, di rappresentazione di se stesso, e sembra quindi dare una lezione all’umanità tramite le parole del drammaturgo.
Negli ultimi anni della sua vita Metastasio cominciò a interrogarsi sulla scrittura dal punto di vista teorico, leggendo, traducendo e commentando i classici sull’arte poetica come Orazio e Aristotele.
Dalle sue riflessioni scaturì il sonetto che segue, dal titolo Sogni e favole:
Sogni, e favole io fingo; e pure in carte
mentre favole, e sogni orno, e disegno,
io lor, folle ch’io son, prendo tal parte,
che del mal che inventai piango, e mi sdegno.
Ma forse, allor che non m’inganna l’arte,
piú saggio io sono? È l’agitato ingegno
forse allor piú tranquillo? O forse parte
da piú salda cagion l’amor, lo sdegno?
Ah che non sol quelle, ch’io canto, o scrivo,
favole son; ma quanto temo, o spero,
tutto è menzogna, e delirando io vivo!
La salvezza, conclude nel libro Emanuele Trevi servendosi delle parole di Pietro Metastasio, risiede nel fingere che le favole e i sogni che creiamo con l’immaginazione siano veri. Parafrasando il sonetto di Metastasio: “La mia vita è un delirio, un inganno, vivere è delirare”.
Certo, il grande drammaturgo parlava dell’angoscia esistenziale dei poeti, degli artisti, di coloro che vivevano tramite l’arte delle finzioni da loro stessi architettate. Eppure, se letto più a fondo, il sonetto di Metastasio sembra riuscire a cogliere il mistero della condizione umana, che è esattamente ciò che ha dato a Emanuele Trevi l’ispirazione per scrivere il libro omonimo.
Perché non è forse di Sogni e favole, in fondo, che viviamo tutti?
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Pietro Metastasio, chi era il poeta di “Sogni e favole”
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