La precisione del faro
- Autore: Leda Palma
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2016
“La precisione del faro”
“può essere inteso come un esercizio di sobrietà sentimentale, un tentativo riuscito di rintracciare un luogo comune che contenga e legittimi il nostro immaginario collettivo”
così scrive Donato di Stasi nella sua approfondita prefazione al libro di versi di Leda Palma, definendolo
“libro composito, sacrale e profano”.
Leda Palma, friulana trapiantata a Roma, ha pubblicato poesia e prosa, ma nel corso della sua esistenza lavorativa si è occupata soprattutto di teatro e televisione, come autrice, regista e attrice (ledapalma.com).
Questo volume, intenzionalmente mirato già dal titolo a un obiettivo di illuminazione e schiarimento - interiore ed esteriore -, ci appare giocato sull’abbandono immediato allo scorrere del tempo, tra presente e passato, memoria recuperata e attenzione all’attualità. Le otto sezioni che lo compongono, infatti, oscillano tra l’idillio nostalgico, la testimonianza di fede, il resoconto di viaggio e l’omaggio affettivo a presenze amicali o familiari, rimanendo sempre e comunque fedeli nello stile a un rincorrersi fluido di suoni e immagini, privo di punti fermi e tassative cesure.
“M’insegue il paese”, dichiara un verso della prima sezione, Geologia del ritorno: e Pagnacco, paese nativo dell’autrice, rimane dopo tanti anni radicato nel ricordo, definito nei particolari concreti (le campane della chiesa, gli scuri e il focolare della casa, la polenta che “sfrigola” sul focolare, il camposanto, il torrente e i prati) come nelle presenze animali (conigli e mucche) e umane (le suore, i “preti laidi vecchi”).
Lo scavo sentimentale nella memoria produce inevitabilmente il recupero di presenze, e ad esse si dedicano versi commossi e grati, tesi a riscattare nella memoria disattenzioni o trascuratezze personali e collettive: la morte e la malattia di amici e parenti non è patita solo come dolore, ingiustizia, inadeguatezza, sensi di colpa, ma conduce a una verità per troppo tempo rimossa, temuta. Al di là di ogni fine va intuito un inizio, che non si spiega solo come consolazione riparatrice o speranza illusoria, ma come effettiva realtà di sopravvivenza:
“la grandezza della vita / del tuo cielo aperto più nulla solo / il mistero del cuore smontato / pezzo a pezzo / ricostruita e in pace finalmente / nell’avemaria del momento / per il tuo bene / o il mio”.
La madre, Silvana, Maria, l’amico suicida, il poeta carnico Tito Maniacco squarciano il buio della notte definitiva con il loro luminoso riaffacciarsi al ricordo, nelle sezioni Attraverso la morte, Tempo dà luce, La presenza dell’anima; mentre nelle pagine conclusive del libro Leda Palma si apre a un presente capace di aderire con solidarietà al mondo vivo, quello che soffre di povertà in India, o viene violentato nell’infanzia, o è costretto a inumane migrazioni
“Non danno scampo le tue labbra mare / fatto destino il tuo fiato deriva / nel fitto delle braccia che / pugnalano un dopo che non c’è”.
Per concludersi infine con un poemetto polifonico - Il cammino di Maya -, che intreccia visioni mitiche a rivisitazioni storiche, memorie personali a descrizioni paesaggistiche, intercalando anche graficamente i caratteri corsivi e tondi dell’immaginazione e della constatazione realistica:
“luna mia gemella d’incertezze / serpente della notte che m’allunga disinganni / ho scritto applausi sulle foglie sipari gonfi d’ambizione / nel finale sempre una paura che tace”.
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