Primo Levi venne trovato morto l’11 aprile 1987 nell’atrio del palazzo di corso Re Umberto 75 a Torino, dove viveva. Il corpo fu rinvenuto alla base della tromba delle scale dello stabile, a seguito di una caduta.
Ancora oggi sulla morte dello scrittore italiano, sopravvissuto all’Olocausto, permane un alone di mistero. Ci si domanda se lo scivolamento dalle scale sia stato accidentale, oppure volontario.
Le cronache del tempo non lasciarono adito ai dubbi. La Provincia di Torino, il giorno dopo, titolava impietosamente: “Levi era stanco e demoralizzato. Si è buttato dalle scale.”
Ma come andarono realmente le cose? Tentiamo una ricostruzione per scoprire cosa accadde l’11 aprile di trentacinque anni fa.
11 aprile 1987: la morte di Primo Levi
I giornali riportano una cronaca impietosa di quanto accadde in quella tragica giornata. Primo Levi, l’intellettuale simbolo della cultura italiana di metà novecento, era morto all’età di sessantotto anni apparentemente di sua volontà.
Dopo essere sopravvissuto all’orrore dell’Olocausto e dei lager nazisti, Levi aveva reso per anni testimonianza, scrivendo libri, mettendo nero su bianco sempre la disumanità del Male. Ma la vita negli ultimi tempi gli era diventata insopportabile.
“Non bisognava lasciarlo solo”, disse sconsolata la moglie, Lucia Levi. Questo quanto riportano le cronache di quel tragico giorno.
La prima a sentire il botto era stata la portinaia, Iolanda Gasperi, che fu anche l’ultima persona a vedere lo scrittore. Gli aveva appena consegnato la posta del mattino.
In seguito raccontò ai carabinieri che il dottor Levi le era sembrato normale, “Era abbattuto come suo solito”. Cinque minuti dopo la consegna delle lettere, il tonfo. Di fronte agli occhi della portinaia Iolanda si schiude una scena agghiacciante: è subito chiaro che per Primo Levi non c’è più nulla da fare. A poco valgono i soccorsi tempestivi e il pronto intervento del dottor Francesco Quaglia, odontoiatra, che aveva lo studio nello stesso palazzo. Quaglia, vecchio compagno di scuola di Levi, intervenne prontamente; ma ogni suo sforzo si rivelò inutile. Non gli restava che curare i lamenti della vedova, la signora Lucia, che inconsolabile accusava se stessa.
L’antefatto
Pare che da settimane, forse mesi, Levi fosse irrequieto. Non rilasciava più interviste, la sua ultima apparizione pubblica però risaliva a una settimana prima quando si era recato a un convegno su cristiani e cultura.
Dicevano che avesse gli occhi spenti, il passo strascicato. Forse però era minato nel fisico da un recente intervento alla prostata, il che spiega il malessere generale in un uomo di quasi settant’anni.
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Era un uomo mite, riflessivo, equilibrato. Con i ricordi dolorosi della guerra Levi faceva i conti da anni, aveva imparato a combatterli attraverso la scrittura. Il suo ultimo libro I sommersi e i salvati era stato dato alle stampe appena un anno prima. Le recensioni non sempre erano gentili e, soprattutto, spesso mancavano di tatto. Lo descrivevano come un uomo schiacciato dall’esperienza del lager.
Oggi quel romanzo è considerato il suo testamento letterario.
“Non riesco più a scrivere”, aveva confidato, tuttavia, Primo Levi al suo editore Giulio Einaudi poche settimane prima della morte.
L’enigma della morte di Primo Levi
I funerali dello scrittore italiano si svolsero a Torino nel 1987. Il feretro fu portato a spalla da ex partigiani. Sulla sua lapide, nel cimitero monumentale, oggi è possibile leggere un numero: 174517, lo stesso numero identificativo che PrImo Levi aveva tatuato sul braccio durante la prigionia ad Auschwitz.
Il giorno dopo il suo funerale, lo scrittore Ferdinando Camon ricevette inaspettatamente una lettera dello scrittore. Era come se a parlargli fosse un fantasma.
La lettera era arrivata di martedì, quindi Levi doveva averla spedita di sabato. Camon scrisse le sue ipotesi sul quotidiano Avvenire, affermando che sicuramente Levi doveva averla imbucata nel corso della sua passeggiata mattutina.
Il testo dell’ultima lettera di Primo Levi è un inno alla vita. Ferdinando Camon disse che l’amico illustrava un vortice di programmi, speranze, attese: una lista arzigogolata e piena, compilata di suo pugno, scritta dalla mente di un uomo che ancora contemplava il futuro. Un uomo che immaginava di avere ancora di fronte a sé il tempo come una lunga matassa intricata di possibilità: tempo da vivere.
Per Primo Levi quel tragico 11 aprile 1987 non era tempo di morire.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’11 aprile di trentacinque anni fa la misteriosa morte di Primo Levi
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