Vasilij Grossman, unanimemente riconosciuto come lo straordinario autore di Vita e destino, non fu solo un grande romanziere ma anche un eccezionale inviato di guerra.
Acuto osservatore, Grossman seppe testimoniare la “spietata verità” della guerra raccontando quanto accadde sul fronte sovietico tra il 1941 e il 1945.
In quegli anni lo scrittore lavorava per il giornale sovietico Krasnaja zvezda (Stella rossa, Ndr) e fu incaricato di seguire l’esercito russo per oltre mille giorni su tutti i fronti di battaglia.
Il risultato fu una documentazione realistica e accurata della quotidianità dei combattimenti. In seguito taccuini di guerra di Grossman furono raccolti e pubblicati in un unico volume. In Italia gli scritti sono stati editi dalla casa editrice Adelphi nella raccolta dal titolo Uno scrittore in guerra (1941-1945) (2015), a cura di Antony Beevor e Luba Vinogradova.
Vasilij Grossman: uno scrittore in guerra
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Negli appunti annotati sui suoi taccuini, Vasilj Grossman seppe unire il talento del cronista all’empatia del narratore trasformando così il suo “bollettino dal fronte orientale” in una serie di osservazioni profondamente umane e penetranti che seppero illuminare uno dei periodi più bui della storia.
I taccuini di guerra hanno inizio il 5 agosto 1941, data in cui Grossman fu inviato al fronte dal generale David Ortenberg, direttore della Krasnaja zvezda.
Nei suoi appunti l’autore scriveva:
Chi scrive ha il dovere di raccontare una verità tremenda, e chi legge ha il dovere civile di conoscerla, questa verità.
Vasilj Grossman aveva trentacinque anni, un fisico leggermente sovrappeso, portava occhiali spessi per problemi di vista e camminava poggiandosi a un bastone. Alla domanda di arruolamento era stato respinto e molti dubitavano della sua resistenza al fronte.
Lo scrittore tuttavia non si fece cogliere impreparato: studiò ogni dettaglio della teoria militare e divenne un esperto del lessico di trincea. Lavorò ai suoi taccuini con impegno meticoloso e dimostrò un coraggio inaspettato sul campo, rivelandosi più audace di molti altri soldati.
Intervistava le reclute sul campo, arrivò persino ad affiancare un cecchino esperto durante un combattimento pur di porgergli delle domande.
Sempre nei suoi taccuini Grossman scriveva:
Amo la gente, amo studiare la vita.
La guerra gli offrì, inaspettatamente, la possibilità di svolgere la sua analisi a trecentosessanta gradi scoprendo la verità crudeli, talvolta spietate che mostravano il lato oscuro dell’esistenza. Sul fronte Grossman provò spesso il “presagio di una disfatta imminente” e non lo nascose.
Dovette realizzare, con il cuore stretto in una morsa, che il destino di una madre o di un bambino era inseparabile da quello di un reggimento accerchiato dal nemico.
Nei suoi appunti Grossman scriveva ogni pensiero, senza temere la censura staliniana. La guerra nelle sue parole si trasforma continuamente, diventando ora dramma ora satira, ora commedia che volge subito in tragedia. In una nota lo scrittore parla di un generale che firma condanne a morte dopo aver mangiato marmellata di lamponi e sorseggiato tè caldo.
La guerra descritta da Vasilij Grossman è una verità spietata e spaventosamente reale: perché non disumanizza la guerra, ma al contrario la umanizza mostrandoci che il male è reale ed esiste allo stato puro.
L’Ucraina vista da Vasilij Grossman
Quando l’Armata Rossa entrò in Ucraina nella tarda estate del 1943, Vasilij Grossman fu sopraffatto sia dall’euforia che dal timore di rientrare in patria. Lo scrittore, nato a Berdičev (una cittadina del nord dell’Ucraina, Ndr) pregustava di scaldarsi al "soffio morbido dell’Ucraina" che finalmente avvertiva di nuovo sul proprio viso e di allietarsi alla vista suggestiva di alti pioppi, capanne bianche e recinzioni di legno nella campagna.
La sorpresa che lo attendeva al varco fu difficile da accettare, un colpo durissimo.
Dopo due anni di occupazione nazista, Grossman trovò la sua bella madrepatria sfregiata da "fuoco e lacrime" e consumata da "tristezza e collera".
Lo scrittore, sotto l’uniforme da inviato di guerra, era sconcertato nel constatare con i propri occhi la devastazione mentre attraversava le varie città ucraine.
Quei luoghi erano a lui cari, erano stati la scenografia della sua intera esistenza, fino a quel momento in cui li osservava distrutti.
I nomi di quei luoghi oggi ci suonano tristemente familiari: Donetsk dove Grossman aveva lavorato come ingegnere nelle miniere di carbone; Kiev, la capitale ucraina con le sue cupole dorate, dove aveva sposato la sua fidanzata Anna Petrovna; e Odessa, il porto del Mar Nero culturalmente ricco, dove molti dei parenti ebrei di sua madre avevano vissuto e poi erano stati massacrati.
In quei giorni Grossman scrisse sui suoi taccuini:
I vecchi, quando sentono parole russe, corrono incontro alle truppe e piangono in silenzio, incapaci di pronunciare una parola. Vecchie contadine dicono con una tranquilla sorpresa: ’Pensavamo di cantare e ridere quando abbiamo visto il nostro esercito, ma c’è così tanto dolore nei nostri cuori, che le lacrime stanno cadendo.
Il contrasto tra la vittoriosa campagna dell’Armata Rossa portata termine in Ucraina nel 1943 e l’invasione del 2022 da parte del presidente Vladimir Putin non potrebbe essere più netto. Putin, nel suo discorso alla nazione per giustificare i motivi del conflitto, fece riferimento proprio a questa storica impresa: riaffermando la simmetria storica di un esercito russo che libera l’Ucraina dall’invasione dei neo-nazisti.
Il risultato è fuoco, fiamme e poco altro, chissà come direbbe Grossman di questa nostra epoca così incerta, confusa e sbadata, che non impara nulla dai propri errori ma invece li ripete. Chissà se troverebbe parole nuove per raccontarla, o se le visioni di ora si sommano a quelle di allora.
Le parole di Vasilij Grossman sulla guerra
Vasilij Grossman era un orgoglioso figlio dell’Ucraina, immerso nella cultura russa. Nacque a Berdičev e morì a Mosca. Lo scrittore stesso è l’incarnazione dell’unione indelebile tra due nazioni che oggi si danno battaglia.
Con il suo sguardo lucido di cronista Grossman seppe investigare i crimini più terribili del proprio tempo, come l’assedio di Stalingrado e la realtà dei campi di sterminio di Treblinka e Majdanek. Scrisse che la guerra “era una spietata verità”, per indicare una verità dura da accettare che tuttavia doveva necessariamente essere raccontata.
Forse Vasilij Grossman scrisse perché certi avvenimenti non si ripetessero mai più nella storia dell’uomo. Scrisse la sua “verità spietata” come un monito, trasformando le parole in talismani nella speranza di allontanare il Male dalla Storia.
Cosa direbbe Grossman del nostro tempo presente?.
Leggendo i suoi taccuini di guerra si ha l’impressione che le parole siano sempre lì, che il suo pensiero sia già stato compiutamente espresso, e non occorra cambiare una virgola per testimoniare la verità della guerra che oggi come ieri è sempre spietata, assurda e insensata.“Fuoco e lacrime”, scriveva Grossman, da grande narratore qual era sapeva che bastano due sole parole per dire “insensatezza” e “orrore”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Uno scrittore in guerra: la “spietata verità” raccontata da Vasilij Grossman
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