“Sono l’Impero alla fine della decadenza” è una frase che viene ripetuta spesso, talvolta in maniera pomposa e altisonante, per indicare uno stato d’animo caratterizzato da profonda malinconia, noia o solitudine esistenziale.
La celebre citazione pullula nelle narrazioni teatrali o cinematografiche parlando per bocca di personaggi che si sentono degnamente rappresentati da questa condizione, ed è ormai diventata di uso comune.
Sono l’Impero alla fine della decadenza: uso comune
Non è raro sentire l’espressione persino nel parlato quotidiano. Alla domanda “Come ti senti?” ci si potrebbe sentir rispondere con ironia: “Sono come l’impero alla fine della decadenza”, il che non è certo lusinghiero ma aiuta a sdrammatizzare.
L’Impero alla fine della decadenza è anche una delle immagini più rappresentative per esprimere il concetto della “fine della gloria”: per dire “i miei tempi sono ormai finiti” eccetera.
La frase è insomma parte integrante del lessico d’uso comune, un’espressione che di tanto in tanto ci riecheggia nelle orecchie con un non so che di familiare e ci appare a volte come un vecchio vestito abbandonato su una gruccia nell’armadio.
Ma chi fu la prima persona a pronunciare questa frase? Da dove deriva l’espressione “Sono l’Impero alla fine della decadenza” che è ormai diventata un modo di dire?
Sono l’Impero alla fine della decadenza: chi l’ha detto
La paternità dell’espressione è da attribuire al poeta francese Paul Verlaine che la scrisse come verso di apertura di un celebre sonetto dal titolo Languore.
Nell’originale francese infatti la frase è ancora più melodica e ritmata:
Je suis l’Empire à la fin de la décadence.
Languore, contenuto nella raccolta Allora e ora (Jadis et naguère, Ndr) (1883), è considerato uno dei componimenti emblematici della corrente del Decadentismo.
Il sonetto fu pubblicato il 26 maggio 1883 sul famoso periodico francese Le Chat Noir e diede origine al movimento decadente che mostrava lo smarrimento delle coscienze e la crisi dei valori in atto a fine Ottocento.
In un solo verso “Sono l’Impero alla fine della decadenza” Paul Verlaine riesce a condensare uno stato d’animo e, al contempo, il presagio della fine di un’epoca. L’autore si serve del crollo dell’Impero Romano d’Occidente come metafora per indicare la decadenza della poesia nel proprio tempo.
Il grande poeta simbolista associa per analogia, secondo un procedimento a lui ben noto, il proprio stato d’animo di languore all’atmosfera di decadenza di un Impero. La fine di un regno è infatti percepita come un’epoca di debolezza morale e di ricerca di evasione nei piaceri più superficiali che tuttavia non danno più alcuna gioia. Nel sonetto Verlaine afferma “Tutto è bevuto! Tutto è mangiato! Niente più da dire!” andando quindi a rinforzare questo sentimento di languore che non solo dà il titolo al componimento ma lo pervade interamente, determinandone anche ritmo e musicalità.
Nel finale della lirica Verlaine esprime il concetto di “tedio”, una noia pervasiva e generalizzata di ogni cosa che è ormai attaccata all’anima. Anche in questa espressione vi è molto dello stile simbolista del poeta francese: la noia “attaccata” all’anima appare quasi come un cancro, una malattia incurabile, dal quale forse lo stesso malato non vuole neppure essere guarito.
Il “languore” descritto da Paul Verlaine è come un’edera che si inerpica sui muri, umida e soffocante, che sembra avvolgere tutto con l’invadenza delle piante lianose.
Sono l’Impero alla fine della decadenza: significato
Questa sensazione di vuoto, questo stato di prostrazione, caratterizza il sentire dell’Io lirico portandolo a uno stato di passività estrema che non gli fa desiderare più nulla, né di vivere né di morire. L’associazione tra il sentire dell’uomo e la fine di un Impero raggiunge quindi il culmine nell’esemplificare uno stato d’animo di passività e inerzia.
L’espressione sembra sottintendere il ritratto di un essere umano prossimo al disfacimento in un mondo in cui tutto sta per corrodersi e sgretolarsi.
Allo stesso tempo quel verso melodioso “Sono l’Impero alla fine della Decadenza” conserva un fascino inedito che porta con sé la fine inevitabile di tutte le cose. Un fascino decadente, diremmo oggi, che è poi ciò che ci fa amare i ruderi e la contemplazione delle rovine antiche.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Sono l’Impero alla fine della decadenza”: chi l’ha detto e perché
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