Il 31 marzo 1914 nasceva Octavio Paz, considerato il poeta di lingua spagnola più importante del Novecento. Fu il primo autore messicano a ricevere il premio Nobel per la Letteratura nel 1990.
Per celebrarlo nell’anniversario della nascita abbiamo scelto una sua poesia Tra l’andarsene e il restare, contenuta nella raccolta Albero interiore (1976-1987) edita in Italia da Garzanti nel volume Il fuoco di ogni giorno (1992, trad. di Ernesto Franco).
La poesia di Octavio Paz è carica di simboli. Le parole evocano legami e, come in un quadro surrealista, rimandano ad altro. Nulla è quel che sembra e anche la pittoresca descrizione di un tramonto in realtà allude a una dimensione più profonda che va oltre la superficie piana delle cose.
Scopriamo testo, analisi e commento della poesia dell’autore premio Nobel.
Tra l’andarsene e il restare di Octavio Paz: testo
Tra l’andarsene e il restare dubita il giorno,
innamorato della sua trasparenza.La sera circolare è già baia:
nel suo quieto viavai oscilla il mondo.Tutto è visibile e tutto è elusivo,
tutto è vicino e tutto è intoccabile.I fogli, il libro, il bicchiere, la matita
riposano all’ombra dei loro nomi.Palpitare del tempo che nelle mie tempie ripete
la stessa ostinata sillaba di sangue.La luce fa del muro indifferente
uno spettrale teatro di riflessi.Nel centro di un occhio mi scopro;
non mi guarda, mi guardo nel suo sguardo.Si dissipa l’istante. Senza muovermi,
io resto e me ne vado: sono una pausa.
Tra l’andarsene e il restare di Octavio Paz: analisi
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La poesia è strutturata in otto strofe composte di due versi ciascuna, non ci sono rime ma solo assonanze.
Tra l’andarsene e il restare vuole esprimere una dimensione fondamentale nella vita delle persone che è il tempo. Nella lirica infatti vengono rappresentati due tipi di tempo: il primo fa riferimento a tutto ciò che è misurabile, oggettivo (come la lunghezza del giorno, Ndr) mentre il secondo è soggettivo (scandito dal battito vitale del sangue nella tempia dell’uomo, Ndr).
Il titolo stesso della poesia Tra l’andarsene e il restare fa riferimento a una condizione in bilico tra passato e futuro, che sembra eludere il momento presente - che è l’attimo del dubbio per eccellenza - nella sua brevità.
I primi versi descrivono un tramonto che si riflette su un lago. L’Io lirico che osserva la scena ne è rapito, ma allo stesso tempo consapevole della sua estraneità a quanto sta osservando. Il mondo esterno è vicino, eppure pare irraggiungibile: segue una strofa i cui versi sembrano in perfetta antitesi tra loro e si riflettono in un gioco di specchi “tutto è visibile/tutto è elusivo”; “tutto è vicino/tutto è intoccabile”.
La luce esterna proietta un’ombra sul tavolo della casa dalla quale lo spettatore anonimo osserva il tramonto.
Allora il focus si sposta lentamente sui pensieri dell’uomo, esprimendo i suoi pensieri. L’uomo che osserva il tramonto sente che sta invecchiando mentre osserva il sole che scompare spegnendo il giorno.
Il sole svanisce, ma l’uomo resta e contempla questo cambiamento totale senza neppure muoversi. “Io resto e me ne vado”, osserva l’uomo colpito da una folgorazione che non riguarda solo lui, ma l’intera specie umana.
“Sono una pausa” con questa affermazione l’Io lirico sembra alludere alla sua condizione esistenziale presente, in perenne bilico tra passato e futuro. Il tramonto è già passato e all’uomo rimane il ricordo del sole, perché la sua memoria riesce a catturare ogni cambiamento trasformandolo in un’istantanea.
Tra l’andarsene e il restare di Octavio Paz: commento
La poesia di Octavio Paz è metafisica, sembra evocare i contorni surrealisti di un quadro di Magritte. Il lettore, così come l’osservatore di un dipinto, sembra essere deputato all’osservazione, spinto sulla soglia tra realtà e rappresentazione.
Nella lirica di Paz, così come in una celebre tela di Magritte intitolata La condizione umana (1933), viene raffigurata un’atmosfera sospesa in cui i confini tra ciò che l’occhio vede e il mondo effettivo appaiono labili e indefiniti.
Magritte commentava il suo dipinto dicendo che vediamo il mondo come al di fuori di noi anche se in realtà è solo frutto d’una rappresentazione mentale che creiamo dentro di noi. Allo stesso modo Octavio Paz nella sua poesia Tra l’andarsene e il restare coglie un momento mentale: l’attimo del presente eterno, in cui l’Io lirico sembra assentarsi dal mondo esterno che intanto oscilla imperturbabile nel suo quieto via vai. C’è questo scollamento tra quando accade all’esterno e il pulsare del sangue nella mente dell’uomo che sembra scandire un tempo altro, il tempo breve della vita.
L’andarsene e il restare sono infatti, a ben guardare, i due antipodi della condizione umana: la vita e la morte, due stati dell’essere sui quali non abbiamo scelta.
Octavio Paz in questa lirica dà voce al pensiero esistenzialista. Anche se i tramonti, ovvero i giorni, passano e corrono, l’uomo rimane come una pausa nel lungo cammino dell’eternità. Attraverso una poesia l’autore premio Nobel fotografa la condizione umana. E lo fa con il surrealismo tipico della pittura di Magritte, quindi accostando tra loro gli oggetti e mostrando un paesaggio che non è quel che sembra.
Tra l’andarsene e il restare non è che, in fondo, che la visione evocata dalla contemplazione di un tramonto che scolora nelle acque del lago diventando metafora del tempo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Tra l’andarsene e il restare”: la poesia metafisica di Octavio Paz
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