L’ultimo spartito di Rossini
- Autore: Simona Baldelli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Piemme
- Anno di pubblicazione: 2018
“L’ultimo spartito di Rossini” (Piemme, 2018) di Simona Baldelli, celebra la vita straordinaria di Gioacchino Rossini (Pesaro, 29 febbraio 1792 – Passy, 13 novembre 1868), in occasione dei 150 anni dalla morte del grande compositore.
“Sono un muro che si sta sgretolando”.
Passy, ottobre 1868. Solitamente in autunno la Ville Lumière appariva sfavillante di sole e d’oro, ma non quell’anno. Tutto cospirava contro Rossini, persino il tempo. Cadeva da qualche settimana una pioggia tenue e fastidiosa,
“ritornello mesto che torturava le orecchie”.
Il terribile appetito del genio musicale diventato un classico che l’aveva accompagnato per tutta la vita, era soltanto un ricordo. Nei tempi della ricchezza e dell’ingordigia questo appassionato gastronomo ante litteram era capace di stare a tavola un’intera giornata, perché per riempirsi lo stomaco, a quella maniera, ci volevano ore. L’abitudine di mangiare a piccoli bocconi, lentamente (gli amici lo chiamavano “Pizghén”, “pezzettini” in dialetto pesarese)
“era nata in tempi bui, quando per sfamarsi, nei giorni fortunati, c’erano un tozzo di pane e una mela da dividere in due”.
Ora alle soglie di una seconda operazione prevista per tentare di arginare un grave tumore, Rossini sentiva la fine vicina. Forse era per questo che il musicista, il quale da più di trent’anni si era chiuso in un lungo e doloroso silenzio lavorativo, ripensava al passato, alla sua esistenza tumultuosa, che si stava esaurendo nella sua residenza di Passy, presso il Bois de Boulogne. Nonostante ciò, nella mente di Rossini aleggiava quell’ultimo spartito, quell’opera sublime mai scritta ma capace di sedurre pubblico e critica.
“Per essere capace di scrivere così, avrebbe dato tutto quello che aveva: la villa di Passy, la casa di Parigi, le residenze di Bologna e Castenaso, i poderi e, soprattutto, gli ultimi trent’anni di vita che non erano serviti a niente se non a campare a fatica”.
Nel romanzo con la dedica “A mio padre, clarinettista in gioventù”, come in un crescendo rossiniano, la brava Simona Baldelli, dopo aver sfogliato con emozione testi autografi, lettere, spartiti e appunti conservati a Pesaro nella Biblioteca della Fondazione Rossini, ripercorre le tappe fondamentali della vita del più gourmet dei musicisti. I primi passi a Pesaro del piccolo Gioacchino, nato da Giuseppe Rossini, detto “Vivazza” per il suo spirito allegro e gioviale, suonatore di tromba nella banda cittadina e fervente sostenitore di Napoleone, e dalla cantante Anna Guidarini
“la più bella ragazza di Pesaro”.
La disastrosa “prima” nel 1816 al Teatro Argentina di Roma dell’opera Il barbiere di Siviglia con la sinfonia iniziale
“scritta di corsa, al galoppo, ed era una cascata di note e premonizioni”
dove vi furono tafferugli, persino il lancio sulla scena di un gatto rossiccio, causati con ogni probabilità dai detrattori di Rossini; l’opera ebbe infatti un grande successo pochi giorni più tardi. La passione per la seconda moglie Olympe Pélissier, (la prima era stata la cantante lirica Isabella Colbran, sposata da Rossini nel 1822 e dalla quale si era separato nel 1830) celebre cortigiana, amante di pittori come Horace Vernet per il quale aveva posato per Giuditta e Oloferne e di scrittori quali Honoré de Balzac ed Eugène Sue.
“A me, di Rossini, interessava soprattutto il silenzio. E capire perché si levassero, costanti, fastidiose, le voci puntigliose del dissenso; tanto più indispettite quanto più il musicista arrivava al cuore del pubblico. Quasi si fosse imbattuto, con duecento anni d’anticipo, in quel livore sociale di cui oggi tanto si dibatte”
chiarisce Simona Baldelli nelle pagine finali del testo. Ricordiamo che Rossini compose la prima opera all’età di quattordici anni e scrisse trentanove opere di rilievo in diciannove anni, prima del suo improvviso abbandono del teatro nel 1829. All’età di trentasette anni ritirandosi dalla mondanità a vita privata, il musicista continuò a comporre musica per sé, per la seconda moglie Olympe e per gli amici. Le spoglie del “Titano di potenza e d’audacia” e del “Napoleone d’un’epoca musicale”, come Rossini venne definito da Giuseppe Mazzini, dapprima tumulate nel cimitero parigino del Père Lachaise, furono traslate in Italia nel 1887 su iniziativa del governo italiano e riposano definitivamente nella Basilica di Santa Croce, a Firenze.
“Parigi, 5 luglio 1858. Questo è il mio testamento. In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Nella certezza di dover abbandonare questa vita mortale, io mi sono determinato a fare le ultime mie disposizioni”.
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