L’uomo che lottava con i cani di Filippo Pace

Un libro strano “L’uomo che lottava con i cani” di Filippo Pace. Comincia in un modo e poi, improvvisamente e continuamente cambia, prende altre vie, deraglia nel tragico o nel surreale, si concede pagine intense e romantiche oppure cattive e ironiche.

Si racconta la storia di Elvio Lamentieri, una persona qualunque che, sin da bambino, è odiato dai cani. Questi, infatti, nei momenti importanti e cruciali della sua esistenza distruggono le sue certezze con violenza: adolescenza, laurea, matrimonio e maternità sono accompagnati da aggressioni canine sempre più strazianti e con conseguenze di volta in volta peggiori. Quello che appare come un gioco assai divertente fra macchiette e situazioni esilaranti, via via si trasforma in qualcosa di più profondo: la ricerca di senso e l’indagine sulla natura bestiale dell’uomo. Elvio cade in una sorta di vuota apatia ed esperisce la curiosa cattiveria dei suoi concittadini. E il libro cambia ancora, di colpo, ed Elvio, stanco, segue per mare due stupidi marinai e comincia un’odissea parodica e tragica, fino a quando per uno strano scherzo del destino viene trasformato in cane. Ecco che il ritorno in Italia sotto sembianze canine diventa sorprendente, paradossale: è la solitudine dell’uomo trasformato in cane, insieme alla violenza della bestia uomo, a diventare protagonista. Il libro segue percorsi non lineari, il tentativo di Elvio di ritornare dalla sua famiglia diventa riflessione sul tempo che trasforma i corpi, ruba le gioie, stravolge ideali, fra digressioni condotte sempre con uno stile diverso. Gli amori sono impossibili e sempre corrotti dalla malinconia. Le donne raccontate sono tante: mogli premurose, madri deliranti, fidanzate picchiate, attrici confuse, prostitute romantiche, psicologhe frustrate, ragazzine annoiate, suore innamorate, maghe alla ricerca della giovinezza perduta.

E poi c’è Colei che Dimentica che, insieme al personaggio di Marea, si pone come il personaggio più fascinoso del libro e che forse rappresenta proprio l’impossibilità di capire e di dare un senso all’esistenza e al Tempo, dolce e folle allo stesso tempo, bellissima e crudele al contempo, evocatrice di emozioni, portatrice di piacere. “L’uomo che lottava con i cani” non è mai quello che sembra possa diventare, ma diviene emblema di un Caos che ogni cosa in sé involge e che spesso dietro il sarcasmo, l’ironia o la denuncia sociale nasconde una nostalgia carnevalesca dell’infanzia e un gusto sinceramente anarchico che colpisce quasi tutte le sovrastrutture culturali dell’Italia degli anni Duemila.