Cento anni fa il 27 gennaio 1922, si spegneva nella sua Catania lo scrittore Giovanni Verga, uno degli autori più importanti del panorama culturale italiano.
Verga trascorse gli ultimi quindici anni della sua vita in ritiro nella sua abitazione catanese di via Sant’Anna, scrivendo poco o nulla, sentendo di aver perso la forza ispiratrice alla base della sua scrittura. Morì all’età di ottantun anni a seguito di un’emorragia cerebrale. Oggi riposa nel "viale degli uomini illustri" del Cimitero monumentale di Catania.
Giovanni Carmello Verga, oltre che scrittore, è stato anche drammaturgo e fotografo italiano. Per via delle sue opere e del suo pensiero, Giovanni Verga è considerato il maggiore esponente della corrente letteraria del Verismo.
Giovanni Verga nasce muore in Sicilia e proviene da una famiglia che ha tutte le caratteristiche di tante famiglie che faranno poi parte dei suoi romanzi. Dal lato paterno, il suo è un albero genealogico di galantuomini. I Verga sono però nobili di provincia dalle scarse risorse finanziarie, costretti a ben apparire dato il ceto sociale di appartenenza.
Vediamo la storia della vita, le opere e lo stile di uno degli autori più noti della seconda metà dell’800 italiano, indissolubilmente legato alla corrente del Verismo Italiano e autore di celebri capolavori come I Malavoglia e Rosso Malpelo.
La vita di Giovanni Verga
Giovanni Verga nasce il 2 settembre del 1840 a Catania da madre appartenente alla borghesia catanese e padre proveniente dal ramo cadetto di una famiglia nobile. La famiglia Verga Catalano, come già anticipato, pur non avendo chissà quale disponibilità finanziaria, deve apparire in una certa maniera date le nobili radici e verrà da lui presa come modello per molte delle sue opere.
Verga ha anche dei parenti ricchi, con cui però è in lite: dalle zie zitelle e avare allo zio Salvatore, che in virtù del maggiorascato ha ereditato, a patto di rimanere celibe, tutto il patrimonio di famiglia. Suo compito è amministrarlo anche a favore dei fratelli.
Sotto la guida di Carmelino Greco e di Carmelo Platania, Verga compie gli studi elementari e medi e segue anche le lezioni di Antonio Abate, romanziere, poeta, patriota e proprietario di uno studio di Catania. In questi anni Vergaentra in contatto con i grandi classici della letteratura italiana: Petrarca, Dante, Tasso, Manzoni, Monti e Ariosto.
A causa di un’epidemia di colera, nel 1845 la famiglia Verga è costretta a trasferirsi a Vizzini. Qui Giovanni inizia e termina, a soli 15 anni, il suo primo romanzo Amore e Patria, che sotto consiglio di Mario Torrisi, maestro di Verga, non viene pubblicato. Per assecondare il volere del padre, Verga si iscrive alla facoltà di legge dell’Università di Catania, pur nutrendo scarso interesse per gli studi giuridici, che abbandona infatti nel 1861. Da quel momento, incoraggiato dalla madre, si dedica all’attività letteraria.
Intanto, nel 1860 Verga si arruola nella Guardia Nazionale, istituita dopo l’arrivo di Garibaldi a Catania, e vi rimane per circa quattro anni. Fonda e dirige, per soli tre mesi, il settimanale "Roma degli Italiani". Collaborando con Nicolò Niceforo e Antonino Abate, l’idea che persegue il giornale è quella di un programma unitario e anti-regionalistico.
Nel 1861 iniziano le pubblicazioni, a sue spese e presso l’editore catanese Galatola, del romanzo I carbonari della montagna, che era in lavorazione già dal 1859.
Nel 1862 esce il quarto e ultimo tomo del libro, che Verga invierà persino ad Alexandre Dumas. L’autore collabora con la rivista "L’Italia contemporanea", su cui pubblica il primo capitolo di un racconto realista.
Nel 1863 arriva il primo lutto grave per Verga, la perdita del padre, e a maggio si reca per la prima volta a Firenze, centro della vita politica e intellettuale dell’epoca. A questo periodo risale la commedia I nuovi tartufi, inedita e inviata anonima al Concorso drammatico Governativo.
Verga sarà poi costretto, nel 1867, a tornare a Firenze per colpa di un’altra epidemia di colera, e sarà questa volta introdotto negli ambienti letterari fiorentini. Nei salotti di Ludmilla Assing e delle signore Swanzberg entra in contatto con autori e intellettuali come il Prati, l’Aleardi, il Maffei, il Fusinato e l’Imbriani. Risale a questo periodo l’inizio dell’amicizia con Luigi Capuana, anch’egli intellettuale e scrittore del sud Italia. A questo punto Verga comincia a scrivere Storia di una capinera, che uscirà a puntate sul giornale "La Ricamatrice", e il dramma Rose caduche.
Mentre si trova a Firenze, Verga tiene una regolare corrispondenza coi familiari, informandoli della vita che conduce. Il trasferimento a Milano risale al 1872 e qui Verga rimarrà, pur tornando frequentemente in Sicilia, per vent’anni. A Milano Verga frequenta, grazie a Tullo Massarani e Salvatore Farina, i più noti ritrovi sia letterari sia mondani. Sbocceranno molte amicizie, che si riveleranno tramite fondamentale per scoprire la Scapigliatura e i temi affrontati dal gruppo, cui facevano parte Arrigo Boito, Emilio Praga e Luigi Gualdo.
Nel 1874, per via del rifiuto di Tigre reale, Verga passa un periodo di sconforto che lo spinge quasi a tornare in Sicilia, ma la vita mondana milanese lo aiuterà a superare le difficoltà. Tra feste, veglioni e teatri, Verga scrive in soli tre giorni Nedda e la novella viene pubblicata sulla "Rivista italiana di scienze, lettere e arti", ottenendo un successo inaspettato per l’autore, che continua a non manifestare nessun interesse - se non economico - per quanto riguarda il genere del racconto.
Spinto dal successo di Nedda, Verga scrive in autunno alcune novelle di Primavera e comincia a ideare una bozza di Padron ‘Ntoni, che diverrà poi parte de I Malavoglia. La scrittura del romanzo procede lentamente, soprattutto per via di due gravi perdite nella vita dello scrittore: nel giro di poco tempo muoiono Rosa, la sorella prediletta, la madre di Verga, amata profondamente.
Inizia così un grande stato di crisi, che lo spinge a lasciare Catania per tornare nuovamente a Firenze e poi, ancora, a Milano, dove riprende a lavorare con accanimento. Vita dei campi esce nel 1880 e raccoglie le novelle pubblicate in rivista dal 1878 al 1880. Il lavoro a I Malavoglia prosegue, intanto, e in primavera invia i primi capitoli dell’opera al suo editore. Risale a questi anni la sua relazione con Giselda Fojanesi, incontrata dopo quasi dieci anni, e che dura circa tre anni. La storia con la donna viene adombrata da Di là del mare, novella epilogo delle Rusticane, nella quale il rapporto viene descritto nella sua evoluzione e nell’inevitabile fine.
L’anno 1881 è quello della pubblicazione de I Malavoglia, accolto dalla critica in modo assai freddo. Nel 1887, in seguito alla corrispondenza epistolare con lo scrittore svizzero Edourad Rod, I Malavoglia verrà tradotto in francese e pubblicato. In questi anni lavora anche ad altre opere, continuando la relazione con Giselda, cacciata di casa per la scoperta di una lettera compromettente.
Nel 1884 Verga esordisce in teatro con Cavalleria Rusticana, spettacolo accolto negativamente da un gruppo di amici dello scrittore, ma molto apprezzato da Torelli-Viollier, il fondatore del "Corriere della Sera". Il dramma verrà rappresentato per la prima volta con Eleonora Duse nei panni di Santuzza, con grande successo, a Torino.
Pur portando avanti varie opere, Verga entra in crisi psicologica per la fredda risposta del pubblico al suo dramma In portineria e, complici anche alcune difficoltà economiche, passerà anni difficili, con un picco di negatività nel 1889. Dovrà fare anche richieste di prestiti ad amici.
Anche l’uscita francese de I Malavoglia nel 1887 riscontra poco successo e, visti i fallimenti, Verga torna in Sicilia e qui alloggia per un po’ di tempo, fino a novembre 1890. In primavera conclude le trattative per la pubblicazione di Mastro-don Gesualdo.
L’esilio siciliano di Verga continua, permettendo all’autore di dedicarsi al rifacimento di Mastro-don Gesualdo, che ha un discreto successo.
Dalla causa per i diritti di Cavalleria, rappresentato da Mascagni senza averli pagati, recupera 140.000 lire e i suoi problemi finanziari cessano dopo un decennio di disagi. A questo punto si stabilisce in via definitiva a Catania, dove rimane fino alla morte con brevi permanenze a Roma e a Milano. Nel 1885 incontra a Roma Émile Zola, esponente della corrente del Naturalismo francese, molto affine al Verismo.
Nel 1903 gli vengono affidati i figli del fratello Pietro in seguito alla morte di lui. Fino al 1920, quando viene nominato senatore, continua a occuparsi a tempo pieno delle sue opere e muore nel gennaio del 1922 a causa di un ictus.
Le opere di Giovanni Verga
Autore particolarmente prolifico, ecco la lista delle più importanti opere di Giovanni Verga:
- Una peccatrice, Torino, Negro, 1866;
- Storia di una capinera, Milano, Lampugnani, 1871;
- Eva, Milano, Treves, 1873;
- Eros, Milano, Brigola, 1875;
- Tigre reale, Milano, Brigola, 1875;
- I Malavoglia, Milano, Treves, 1881;
- Mastro-don Gesualdo, Milano, Treves, 1889;
- La duchessa di Leyra, incompiuto, in Federico De Roberto, Casa Verga e altri saggi verghiani, Nedda. Bozzetto siciliano, Milano, Brigola, 1874;
- Rosso Malpelo, in "Fanfulla", 2-5 agosto 1878;
- Vita dei campi. Nuove novelle, Milano, Treves, 1880. [Fantasticheria, Jeli il pastore, Rosso Malpelo, Cavalleria rusticana, La lupa, L’amante di Gramigna, Guerra di Santi, Pentolaccia];
- La roba, in "Rassegna settimanale di politica, scienze, lettere ed arti", 26 dicembre 1880;
- Libertà, in "Domenica letteraria", 12 marzo 1882;
- Novelle rusticane, Torino, Casanova, 1883. [Il Reverendo, Cos’è il Re, Don Licciu Papa, Il Mistero, Malaria, Gli orfani, La roba, Storia dell’asino di S. Giuseppe, Pane nero, I galantuomini, Libertà, Di là del mare]
A queste opere si aggiungono anche numerosi testi teatrali.
Lo stile di Giovanni Verga
La poetica e lo stile di Verga sono caratterizzati da una costante sfiducia nei riguardi del mondo cittadino, che lo spingono preferire il mondo contadino siciliano. Per descriverlo Verga fa appello alla tecnica dell’impersonalità (cioè non esprime giudizi) e della regressione, effettuata tramite un abbassamento costante del punto di vista (sceglie di parlare dal punto di vista del popolo).
Nella poetica di Verga il progresso è paragonato a un fiume (la famosa "fiumana") che travolge i vinti, coloro che non riescono ad adattarsi e a rimanere al passo con esso. Proprio dei vinti Verga sceglie di parlare nei suoi romanzi e nelle novelle, così da ripagare in qualche modo la loro sconfitta rispetto al progresso, esponendo il loro punto di vista agli occhi del mondo.
Rispetto a Zola, esponente del Naturalismo, che preferisce per il suo narratore sempre un punto di vista esterno e onnisciente, Verga adotta per i suoi scritti la regressione del punto di vista. Per capire il perché di questa fondamentale differenza, bisogna ricordarsi che Zola ritiene possibile per la letteratura intervenire sulla realtà, mentre per Verga, a prescindere da tutto, la realtà non è modificabile.
Nel corso della sua carriera Verga scrive romanzi con temi anche molto diversi tra loro, da quelli patriottici a quelli mondani. Il ritorno alle radici di Verga nasce da una crescente sfiducia nei confronti delle grandi città in cui vive e della vita mondana che conduce. Verga è insoddisfatto della frivolezza degli ambienti romani e diffidente nei confronti del sentimentalismo romanzesco.
Attratto dal Naturalismo francese, preferisce così occuparsi della questione meridionale e dei vinti, alimentando così la nostalgia per la sua amata terra. La prima novella che testimonia questo ritorno alle origini è Nedda.
Come già accennato, Verga sfrutta le tecniche narrative dell’impersonalità e della regressione, tipiche del suo stile. Per descrivere il mondo siciliano, fisso nei propri valori, secondo l’autore è necessario uno stile di scrittura oggettivo, spogliato da opinioni e sentimenti dell’autore. Serve che l’autore si metta da parte, senza influenzare in alcun modo il racconto con le sue conoscenze o i suoi giudizi, per guardare al mondo contadino e dei pescatori da una certa distanza, allo scopo di restituire la verità, il fatto nudo e crudo in sé.
Verga si cala nei panni del contadino o del pescatore, arrivando a parlare con la sua bocca e vedere con i suoi occhi, e suscita così nel lettore un effetto di straniamento: non è il narratore a prendere le distanze da quanto narrato, ma il lettore, che può giudicare il dato oggettivo che gli è stato presentato.
Un esempio fondamentale per capire questo meccanismo è l’incipit del celebre racconto Rosso Malpelo:
"Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo."
Davvero un ragazzo ha i capelli rossi perché è cattivo? Esiste una correlazione causa-effetto tra questi due aspetti? Verga non esprime un giudizio, si limita a riportare il dato, calandosi nelle credenze popolari. Il lettore invece, che non condivide quelle convinzioni e quei valori, può prendere le distanze (straniarsi) e giudicare quanto accade con cognizione di causa.
Gli eventi di #Verga100
In occasione del centenario della morte di Giovanni Verga sono numerose in Italia le manifestazioni dedicate alla memoria del celebre scrittore siciliano, uno dei più autorevoli esponenti del Verismo.
Verga100, questo il nome della ricorrenza supportata dal Parlamento Europeo, propone una serie di attività e iniziative che si svolgeranno online date le restrizioni dovute alla pandemia.
Per l’occasione verrà emesso pubblicamente il Francobollo del Centenario, promosso dalla Dreamworld Pictures e Festival Verghiano al Ministero dello Sviluppo economico.
Saranno inoltre mandati in onda i film teatrali, prodotti in questi anni nello scenario originale del Borgo Cunziria, tra questi Cavalleria Rusticana, Jeli il Pastore, La Lupa e una piccola anticipazione del nuovo Mastro Don Gesualdo.
E ancora un evento con il duo musicale dei Bellamorea che intonerà un pezzo in omaggio al novelliere.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Giovanni Verga: vita e opere che lo hanno reso immortale
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