Lo strano viaggio di un oggetto smarrito
- Autore: Salvatore Basile
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Garzanti
- Anno di pubblicazione: 2016
Soffia il vento con voce roca, saturo di lacrime non versate, mentre timidamente si perde all’orizzonte, soffia impetuoso sul mare d’autunno, sulle bandierine rosse della spiaggia deserta e solitaria, soffia sulla vita di Michele, immersa in un mondo cristallizzato in un istante di tanti anni prima. La scuote, la percuote, per svegliarla da un lungo sonno. Un flashback, un istantaneo viaggio a ritroso ed è tutto lì, il dolore dell’abbandono, vigliaccamente nascosto, un virus ricombinato col proprio genoma, perfidamente immobile come un rettile pronto al morso, coperto da un’opaca patina di oblio, immortalato nelle immagini della mente, mentre iniziano a susseguirsi, a diventare sequenza di fotogrammi danneggiati dalla vetustà, ma nitidi, uno spezzone di un film malinconico, nostalgico, triste: un bambino sorridente, con la cartella a tracolla e un leggero affanno, la mamma con la valigia e un diario rosso fra le mani:
“ ‘Se ti prometto che non lo leggo, me lo farai tenere?’ Michele non capisce: se non lo legge, che se lo tiene a fare? Però sa che quando hai sette anni ci sono un sacco di cose che i grandi capiscono e tu ancora no.
‘Che fai parti? E dove vai?’ Lei non ha risposto”.
Poi il nulla, il lento distacco, una vita senza suoni, odori, colorata in bianco e nero, consumata fra i vagoni dei treni di una piccola stazione, fra gli oggetti smarriti, “amici” che non contemplano la partenza, l’assenza, la separazione. Michele si sente un “oggetto”, volutamente abbandonato, mai reclamato, non appartenente a nessuno, nemmeno a se stesso. Un fortino, una corazza metallica impermeabile ai sentimenti, intrisa di un dolore illacrimato, un arido deserto, un treno arrivato al capolinea, in perenne attesa di una scintilla per ripartire.
Con un prologo struggente Salvatore Basile, al suo esordio letterario, spinge il lettore dentro la sua narrazione: “Lo strano viaggio di un oggetto smarrito” (Garzanti, 2016). E’ favola dalla morale amara, colorata con sentimenti di speranza, di fiducia, che invita a lasciarsi andare alla deriva nel mare impervio della casualità, dell’inaspettato, dell’imprevisto. Si muove nell’alveo del romanzo psicologico, di profonda indagine introspettiva, anche se la fabula narrativa non è affatto debole, mai banale, focalizzata sui meccanismi mentali dei personaggi, sulle loro emozioni, sui loro stati d’animo, sui loro conflitti interiori. Viene privilegiata l’analisi dei sentimenti, i dialoghi e le scene che permettono alle varie personalità di rivelarsi, mentre il ritmo narrativo suona sul tempo di un valzer lento, lungo lo scorrere di sequenze descrittive e riflessive.
E’ anche romanzo di formazione, che scandisce il passaggio definitivo del protagonista dalla “bolla incantata” in cui si è rinchiuso, prigioniero della propria diffidenza, a quella “adulta”, emancipandosi concretamente e psicologicamente dalla sindrome dell’abbandono, a progettare il proprio futuro in modo autonomo, pronto a nuove esperienze per acquisire conoscenza di se stesso e in relazione agli altri, per non morire vivendo.
Lo scrittore, racconta di oggetti smarriti, che lo affascinano, lo intrigano, perché portatori di un passato misterioso da svelare, vissuto in altri luoghi, in un’altra stagione. E’ metafora dolce e trasognata della vita! Si perdono cose, parole, affetti, si perdono volti, persone, amici, si perdono luoghi, profumi, sapori... e, alla fine, prigionieri della nostre inquietudini e instabilità, come oggetti, anche noi, ci perdiamo, ci smarriamo, non troviamo più la via del ritorno, perché diversi, troppo diversi per riconoscerla. Ma gli oggetti sono testardi, imprevedibili, amano ritornare, per riscrivere una storia o per dipingerne un’altra, per ottenere un tardivo perdono, perché dopo una fine c’è un inizio, dopo il reflusso c’è sempre un’onda. Per Michele la sua onda è uno tsunami di parole, di sorrisi, di abbracci, di baci, di... è Elena! Tutto ciò che lui non è!
“Non era particolarmente bella, ma aveva un sorriso disarmante”.
“Era evidente che quella ragazza non aveva la più pallida idea di cosa significasse entrare nelle stanze e nelle vite degli altri senza chiedere permesso”.
E’ un fascio di luce bianca, splendente, che illumina di giallo, rosso, arancione... i timidi toni di grigio che avvolgono, come natura morta, l’esistenza di Michele. Sente le persone Elena, sente i loro colori, perché come luce bianca li contiene tutti... e Michele, sotto il grigio di una patina di cenere è : “Rosso!”, come il suo diario, che in un avventuroso nòstos, ritrova il suo scrittore.
Due mondi diversi, due modi diversi di affrontare l’abbandono, il dolore: cavalcarli o lasciarsi schiacciare? Rinascere o morire? Un dualismo inconciliabile di pensare la vita, ma, infine, complementari, due facce di una stessa medaglia. Michele intraprende un viaggio, una piccola odissea, alla ricerca della felicità perduta, di sé stesso, di legami spezzati per riannodarli, compito alquanto arduo nella “società liquida” descritta da Zygmunt Bauman, caratterizzata dalla fragilità delle relazioni, delle strutture sociali, in cui tutto si decompone e ricompone rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido e volatile. E’ un peregrinare convulso, incerto, costellato da molteplici personaggi, meravigliosamente descritti con gli occhi di un amanuense medievale, ognuno con la propria storia da riferire, col proprio insegnamento da donare; vicende secondarie che si intersecano, si sovrappongono, si fondono con la trama principale, eppure pilastri su cui si fonda la narrazione, perché la completano, l’arricchiscono.
Salvatore Basile con registro linguistico chiaro, limpido, scorrevole, senza mai perdere in profondità, mette in scena, quasi cinematograficamente, un tòpos ricorrente della letteratura di inizio Novecento, storie di padri e figli, di contrasti, delusioni, tradimenti, perdoni, di decisioni irreversibili che segnano per sempre l’esistenza dei protagonisti, eternamente oscillante tra il quotidiano rimorso e quello che sarebbe potuto essere. L’autore non nega la possibilità di riscatto, la riabilitazione della figura materna, seppure tardiva, ormai persa nei meandri della memoria, nei circuiti neuronali di una mente spenta:
“Le confessò di aver capito che tutti hanno il diritto di seguire un orso bianco, perché rinunciare a farlo vuol dire, semplicemente, rinunciare a vivere”.
L’epilogo de “Lo strano viaggio di un oggetto smarrito” è un inno alla vita, a lasciarsi andare all’imprevisto, alla speranza, a concedere fiducia, perché come dice l’autore citando un antico detto Inca:
“Se un passero dalle ali spezzate riesce a prendere il volo, nessun condor avrà ali tanto robuste da poterlo raggiungere”.
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