In occasione della Giornata mondiale contro la malaria, perché non ricordiamo con allegria l’innocua zanzara comune (Culex pipiens) protagonista di un divertissement barocco?
Anche se non viene mai nominata, si capisce subito chi è la protagonista del sonetto di Gian Francesco Maia Materdona.
Ma prima di scoprirne testo, figure retoriche e commento... Conoscete l’autore? Probabilmente no, perché questo celebre sonetto barocco ha vampirizzato il Materdona, su cui non si hanno notizie biografiche certe. Sacerdote leccese, è autore di opere di carattere morale e di raccolte in versi. Ricordiamo Le Rime del 1629, da cui è tratto il testo.
Il testo della poesia
Animato rumor, tromba vagante,
che solo per ferir talor ti posi,
turbamento de l’ombre e de’ riposi,
fremito alato e mormorio volante;per ciel notturno animaletto errante,
pon freno ai tuoi susurri aspri e noiosi;
invan ti sforzi tu ch’io non riposi:
basta a non riposar l’esser amante.Vattene a chi non ama, a chi mi sprezza
vattene; e incontro a lei quanto più sai
desta il suono, arma gli aghi, usa fierezza.D’aver punta vantar sì ti potrai
colei, ch’Amor con sua dorata frezza
pungere ed impiagar non poté mai.
Analisi
L’autore, con un virtuosismo tipicamente barocco, che mutua dal Marino, non usa mai il termine zanzara. Designa l’insetto con una serie complessa di figure retoriche variamente ripetute, che ne sottolineano le caratteristiche.
La zanzara è un insetto sempre in movimento, rumoroso, che si ferma solo per pungere. Per questo infastidisce il sonno. Disturba specialmente il riposo notturno dell’io lirico, già angustiato dalle pene d’amore. Di conseguenza l’innamorato, non corrisposto, intima alla zanzara di andare a disturbare la sua bella con il ronzio e una robusta dose di punture. Così l’insetto potrà vantarsi di aver ferito la donna, che la freccia di Cupido non è riuscita a ferire. E dunque senza riuscire a farla innamorare.
Le due terzine sono focalizzate sulle caratteristiche dell’insetto, indicate mediante perifrasi metaforiche e iperboliche. Le caratteristiche sono movimento, ronzio e puntura, un trio assai molesto specialmente di notte.
Le due quartine, di contro, invitano l’insetto a infastidire la donna che non ricambia l’amore dell’io lirico.
Qual è il senso di questo sonetto? Il testo non comunica un messaggio, in quanto volto a suscitare la meraviglia del lettore. Non solo per l’oggetto poetico scelto: una zanzara, ma soprattutto con lo stile arguto. Non conta il significato, ma il significante. Perché la forma da mezzo espressivo diventa fine.
Analisi metrica e retorica
A una zanzara è, come già detto, un sonetto. La poesia è dunque composta da 14 endecasillabi, che seguono lo schema ABBA, ABBA, CDC, CDC.
Per quanto riguarda le figure retoriche, ecco un elenco delle principali:
- Iperbole: un esempio è "tromba vagante", presente già al primo verso. Il paragone implicito con una tromba esagera la sonorità del ronzio.
- Metafora: "tromba vagante" è anche una metafora. Perché non è semplicemente una perifrasi? Perché i due termini, la zanzara e la tromba, sono associati per analogia. Il significato è intuitivo: il ronzio disturba come una squillo di tromba.
- Perifrasi: "animaletto errante", "animato rumor", "fremito alato" e "mormorio volante". Infatti queste espressioni designano la zanzara attraverso due caratteristiche, ovvero il movimento continuo e il fastidioso ronzio.
Tutte le espressioni indicanti la zanzara sono perifrasi, chiamate comunemente giri di parole. Però alcune perifrasi, come "tromba vagante", sono anche una metafora e un’iperbole, perché contengono rispettivamente un paragone implicito con uno strumento musicale (la tromba) e perché tale accostamento è esagerato. Tecnicamente si tratta di perifrasi metaforiche e iperboliche.
La poetica della meraviglia
Ecco il pilastro della lirica del Seicento. "Sia del poeta il fin la meraviglia" scrive Giovan Battista Marino (1569 - 1625). La meraviglia, fonte di diletto, è la più alta espressione del piacere estetico. Il poeta può colpire l’immaginazione con il contenuto e con le stile. Per questo sceglie soggetti inusuali e stravaganti: il brutto, il grottesco, l’eccentrico (la donna strabica, vecchia, gobba, con gli occhiali; che munge, nuota, cuce).
Questa peculiarità, detta realismo barocco, non ha nulla a che vedere con il realismo del naturalismo. Se il primo vuole stupire con effetti speciali, il secondo tende a riprodurre la fotografia delle nuove realtà sociali degradate frutto, nel caso della narrativa francese, dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione.
Riguardo allo stile, il poeta barocco sperimenta la vasta gamma di variazioni offerta dalla retorica, con una predilezione per la metafora. Questa figura retorica di significato, infatti, permette di accostare termini distanti suscitando meraviglia, in un modo che il lettore a noi contemporaneo considererebbe un po’ stiracchiato.
Provo a stupirvi con altre due metafore argute. Cosa sono “una navicella d’avorio su onde dorate” e un “mobile ordigno di dentate rote”? Un pettine d’avorio tra capelli biondi e un orologio.
Le metafore sono sempre uguali?
Queste metafore non rispondono alla nostra sensibilità, abituata alla metafora analogica, indicativamente, dal Simbolismo in poi.
Come osserva il grande Giovanni Getto, infatti, le metafore non sono tutte uguali. Vediamo perché. La metafora barocca svolge una funzione descrittiva ed esornativa, come esemplifica chiaramente il sonetto A una zanzara di Materdona. Inoltre, traduce il modo di sentire del Barocco in quanto "riflesso dell’instabilità del reale".
Di contro, la metafora dei simbolisti, o di Montale o Zanzotto o De Angelis — gli esempi non si contano —, è una metafora analogica e polisemica, che spesso allude a una realtà indecifrabile e misteriosa.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: A una zanzara: testo e commento della poesia di Gian Francesco Maia Materdona
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